La madre (Deledda)/Capitolo 10
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Poi di nuovo riprese a ragionare.
Come il malato si contenta di conoscere almeno la diagnosi del suo male, egli si sarebbe contentato di sapere almeno perchè gli accadeva tutto questo. Volle anche lui rifare tutta la strada della sua vita come la madre.
Il rumore del vento accompagnava i suoi ricordi più lontani e più vaghi. Si rivedeva in un cortile, dove, non sapeva; forse il cortile della casa dove serviva la madre; arrampicato al muro con altri bambini. Il muro era tempestato di pezzetti di vetro acuti come punte di pugnale: ciò non impediva ai ragazzi di affacciarvisi, anche se si tagliavano le mani; anzi provavano un certo gusto a ferirsi, e si mostravano il sangue l’uno con l’altro, poi se lo asciugavano sotto l’ascella, immaginandosi che così nessuno si accorgerebbe delle loro ferite. Dal muro essi vedevano solo la strada, nella quale erano liberi di andare: ma amavano arrampicarsi sul muro perchè ciò era proibito; e si divertivano a buttare sassi sulle poche persone che passavano, nascondendosi poi, fra il gusto della prodezza commessa e la paura di venire scoperti. Una ragazzina storpia e sordomuta sedeva ai piedi della legnaia, in fondo al cortile; e di laggiù li guardava con due grandi occhi scuri, supplichevoli e severi: i ragazzi avevano paura di lei, ma non osavano molestarla, anzi abbassavano la voce come s’ella avesse potuto sentirli, e a volte la invitavano a giocare con loro. Allora la bambina rideva, con una gioia quasi folle, ma non si moveva dal suo cantuccio.
Egli rivedeva ancora quei due occhi profondi, già pieni di una luce di dolore e di voluttà; li rivedeva in fondo alla sua memoria come in fondo al cortile misterioso: e gli pareva che rassomigliassero a quelli di Agnese.