La leggenda di Tristano/XLVIII

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XLVII XLIX

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XLVI1I. — Ma in questa parte dice lo conto che dappoi che la damigella dell’Agua dela Spina andava con Blanore e vide che T. no la sicorea, mandogli una damigella per diregli villania. E dappoi che la damigella fue ali padiglioni, incomincioe a guardare lo re e tutti li cavalieri suoi sanza nessuno salutare. E riguardando in tale maniera, e lo re sí disse: «Damigella, molto ci avete riguardato sanza dire nessuna cosa». E la damigella disse: «Io non vi veggio quello cavaliere ch’io volea». E lo re disse: «Dimi chi è lo cavaliere: io ti lo farò vedere, se egli è in mia corte». Allora disse la damigella: «Io voglio T. vostro nepote». E lo re fece chiamare T., e dappoi ch’egli fue venuto e la damigella disse: «T. tu sie lo maltrovato, sí come lo piú falso e disleale cavaliere che si possa trovare. E credo fermamente che per la tua mislealtade tu sarai distrutto. Ma se lo re Marco e tutti li suoi baroni e cavalieri conoscessero bene la tua mislealtade, sí come faccio io, eglino non starebero con teco solo uno giorno, e molto ne sono eglino vitoperati, perché tu se’ istato con loro. Io t’hoe dette queste parole, imperciò ch’i’ ho fatto lo comandamento, lo quale mi fue comandato». E lo re Marco disse: «Damigella, dimi di che T. t’hae diservito? imperciò ch’egli è mio nepote. Perché tu gli hai detta tanta villania?». E la damigella a queste cose non rispuose, ma incontanente la damigella si partío dali padiglioni e andoe a sua via, e tanto cavalca in tale maniera, che giunse la damigella dell’Agua dela Spina. [p. 57 modifica]

Ma T. lo quale rimase ali padiglioni, molto è dolente dela villania che la damigella gli disse. E disse che si meterebe in aventura per andare a cercarela, e incontanente prese l’arme e montoe a cavallo, e Governale gli fae compagnia e portagli lo scudo e la lancia. E partironsi dali padiglioni, e cavalcando in cotale maniera e Governale disse a T.: «Come se’ tu messo in aventura?». E T. disse: «Io mi sono messo in aventura per sapere chi è la damigella, la quale m’hae detta villania davanti alo re Marco e ali suoi cavalieri». E cavalcando trovarono Ghedin, lo quale iera tutto pieno di sangue, e T. disse: «Ghedin, chi t’hae fedito?». Ed egli disse: «Due cavalieri erranti». E allora disse Governale: «Per mia fé, Ghedin, io so bene che neuno cavaliere errante non t’avrebe fedito, se tu non avessi fatto lo ’mperchee». Allora disse Ghedin: «Egli è bene vero che lo re Marco sí mi mandava dietro a quegli due cavalieri erranti, che dovessero tornare a lui, imperciò che gli volea domandare di novelle di loro reame de Longres. E io trovando li cavalieri, sí dissi loro da parte del re Marco ch’egli dovessero tornare a lui; ed eglino non vogliendo tornare per me, allora io sí presi lo freno deio cavallo dell’uno deli cavalieri e sí lo menava. E per questa cagione li cavalieri sí mi fedirono». Allora disse Governale: «Per mia fé, Ghedin, tu non ieri ben savio, quando tu per forza volei menare li cavalieri erranti. E imperciò T. io non ti consiglio che tu combatti coli cavalieri, imperciò che tu dei combattere la ragione, e se tu per questa cagione combatti coli cavalieri, a me pare che tu combatti lo torto». E T. disse: «Io non combatto lo torto, dappoi ch’egli ha fedito Ghedin ch’iera disarmato». E appresso queste parole si parte T. e cavalca appresso deli cavalieri erranti e molto tostamente. E cavalcando in tale maniera vede li cavalieri in uno prato appresso ad una foresta. E T.: «Cavalieri, guardatevi da me, ch’io vi diffido». E li cavalieri, quando intesero ch’ierano diffidati ed appellati ala battaglia, si volsero le teste deli loro distrieri inverso T. e T. bassa la lancia e viene a fedire l’uno deli cavalieri. E lo cavaliere sí fedío a T. sopra lo scudo di tutta [p. 58 modifica] sua forza, sí che la lancia si ruppe in pezzi, e no lo potte muovere da cavallo. Ma T. ferio a lui e passogli lo scudo e l’asbergo e misegli lo ferro dela lancia nele coste sinistre bene in profondo, e portollo a terra del cavallo; e ritrasse a sé la lancia sanza rompella, e lo cavaliere alo cadere che fece si tramortio. E dappoi che l’altro cavaliere vide lo suo compagnone andato a terra, si dirizzoe la testa delo suo distriere inverso T. e T. si dirizzoe inverso di lui e vegnosi a fedire dele lancie; e lo cavaliere fiedí a T. sopra lo scudo e ruppegli la lancia addosso ned altro male no gli fece. Ma T. sí ferío a lui e mise lui e lo cavallo in terra. E allora disse T.: «Ghedin, ora ti puoi ritornare a corte quando a te piacerae, e dirai al re Marco che li cavalieri non vogliono tornare per te, e guardati bene che tu non dichi nulla di queste cose». E allora torna Ghedin a corte, ma molto si maraviglia di T. che s’è cosí diliverato da due cavalieri erranti, perché egli non credea che T. fosse di sí grande forza. E dappoi che fue giunto al re Marco, disse che li cavalieri non voliano tornare per lui, «anzi mi fecero villania. E io trovando T. si mi richiamai a lui, ed egli sí si diliveroe da ambedue li cavalieri». Molto si maraviglia lo re Marco di T., che cosí leggieramente si diliveroe dali due cavalieri erranti, ed incomincioe ad avere grande paura di lui.