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58 | la leggenda di tristano |
sua forza, sí che la lancia si ruppe in pezzi, e no lo potte
muovere da cavallo. Ma T. ferio a lui e passogli lo scudo e
l’asbergo e misegli lo ferro dela lancia nele coste sinistre bene
in profondo, e portollo a terra del cavallo; e ritrasse a sé la
lancia sanza rompella, e lo cavaliere alo cadere che fece si
tramortio. E dappoi che l’altro cavaliere vide lo suo compagnone andato a terra, si dirizzoe la testa delo suo distriere
inverso T. e T. si dirizzoe inverso di lui e vegnosi a fedire
dele lancie; e lo cavaliere fiedí a T. sopra lo scudo e ruppegli
la lancia addosso ned altro male no gli fece. Ma T. sí ferío
a lui e mise lui e lo cavallo in terra. E allora disse T.:
«Ghedin, ora ti puoi ritornare a corte quando a te piacerae,
e dirai al re Marco che li cavalieri non vogliono tornare per
te, e guardati bene che tu non dichi nulla di queste cose».
E allora torna Ghedin a corte, ma molto si maraviglia di T.
che s’è cosí diliverato da due cavalieri erranti, perché egli
non credea che T. fosse di sí grande forza. E dappoi che fue
giunto al re Marco, disse che li cavalieri non voliano tornare
per lui, «anzi mi fecero villania. E io trovando T. si mi richiamai a lui, ed egli sí si diliveroe da ambedue li cavalieri».
Molto si maraviglia lo re Marco di T., che cosí leggieramente
si diliveroe dali due cavalieri erranti, ed incomincioe ad avere
grande paura di lui.
XLIX. — Ma ora lascio lo conto di parlare del re Marco, perché non appertiene a nostra materia, ché bene lo saperemo trovare, quando luogo e tempo sarae, e torno a T., per divisare come si diliveroe dalo cavaliere, che ne menava la damigella dell’Agua dela Spina. Ma li cavalieri, li quali fuerono abbattuti da T. dissero: «Cavalieri, di che paese siete voi?». E T. disse: «Io sono di Cornovaglia». E li cavalieri dissero: «Oramai siemo noi piú che vitoperati, dappoi che noi siamo abbatutti da cosí vile gente, come sono quegli di Cornovaglia. E impermò noi [no] porteremo giamai piú arme infin a tanto che noi non uderemo dire che li nostri compagnoni, cioè dela Tavola ritonda, siano abbattuti per cosí vile