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XLVI XLVIII

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XLVII. — Ora dice lo conto che dappoi che Lambegues vide che lo cavaliere andoe via cola damigella, prese l’arme e montoe a cavallo e andoe dietro alo cavaliere. E tanto cavalcoe in tale maniera che lo giunse in uno bello prato. E incontanente che lo vide, sí lo isgridoe e dissegli: «Cavaliere, guardati da me, ch’io ti disfido». E allora incontanente li cavalieri sí si dirizzarono le teste deli distrieri l’uno inverso l’altro e abbassano le lancie e vegnosi a fedire, e feggonsi insieme li cavalieri e ruppersi le lancie addosso. E Lambegues andoe in terra del cavallo e fortemente innaverato e Blanore sí si n’andoe cola damigella. Ma T. volontieri sarebe andato a combattere con Blanore, se non fosse per paura del re Marco, perch’egli sapea che lo re l’amava di tutto suo cuore, e imperciò non andoe egli a combattere con lui. E istando in cotale maniera, ed egli si passarono dappresso ali padiglioni due cavalieri erranti, armati di tutta arme, e andavano per la via diritto al diserto di Nerlantes, e non salutarono lo re Marco né sua corte. E allora disse lo re a Gheddino: «Vae dirieto a quegli cavalieri, e di loro da mia parte ch’egli tornino a me a dirci novelle delo re Arturi e dela reina Ginevra e come fanno li buoni cavalieri». E Ghedin disse: «Questo farò io volontieri». Allora montò a cavallo e tenne dirieto ali cavalieri e tanto cavalca in tale maniera che gli ebe giunti in una grande valle. E disse loro: «Cavalieri, lo re Marco vi manda a dire per me che voi dobiate tornare a lui che egli vi vuole domandare di novelle». E li cavalieri dissero che dovesse loro perdonare e dovessegli iscusare al re Marco e dovessegli dire ch’eglino non potiano tornare ora, «imperciò che noi andiamo in una aventura. Ma ala nostra ritornata noi torneremo a lui molto volontieri». Allora disse Ghedin: «Questa villania non farete voi giá, che voi non torniate a lui, dappoi ch’egli il vi manda a dire per me». E li cavalieri dissero: «Noi non torneremo in nessuna maniera». E Ghidin disse: «E si farete al nome di Dio, se no io vi ne meneroe per forza, o vogliate voi o noe». Ed allora Gheddin si prese per lo freno l’uno deli cavagli deli cavalieri, e menavane lo [p. 56 modifica] cavaliere. E lo cavaliere disse: «Gheddin, per mia fé tu non se’ bene cortese [né savio], quando per forza tu mi credi menare. Non credi tue, quando io vorrò, ch’io da te mi possa diliverare?». E incontanente si mise mano ala spada e disse: «Lasciami, cavaliere». E quegli no rispuose, ma lo menava tuttavia. E lo cavaliere alzoe la spada e fedio Gheddin nel capo piattone dela spada, sí che Gheddin andoe in terra del cavallo. E allora si partirono intrambo li cavalieri e prendono loro commiato. Ma Gheddin sí si rilevoe al piú tosto ch’egli potte e tornòsi inverso li padiglioni.