La leggenda di Tristano/CXCIX
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CXCIX. — A tanto dice lo conto, che quanda lo re Arturi e monsignor T. fuorono partiti dalo palagio dela damiscella, sí come detto è, ed eglino sí cavalcarono molto tostamente per la foresta. Ma cavalcando in cotale maniera, e lo re si disse: «Cavaliere, io vi priego per amore e per cortesia, che voi sí mi dobiate dire vostro nome, ché per mia fé io abo maggiore volontade di sapere vostro nome, che di neuna cosa che sia al mondo, perché voi m’avete fatto piú di bene e d’onore che neuno altro cavaliere, imperciò ch’io sono campato da morte per voi. E imperciò io vorrei sapere vostro convenentre, perch’io lo potesse ricordare ala mia corte, quand’io saroe con tutti li miei cavalieri». E quando T. intese queste parole, fue molto doloroso a dismisura, perché non vorrebe che le sue cavalerie si sapessero in nessuna maniera. E stando per uno poco, ed egli sí disse: «Monsignor, io vi priego per onore e per cortesia che voi non mi domandiate ora di mio nome, imperciò ch’io non ve lo potrei dire in nessuna maniera di mondo, imperciò ch’io l’abo in comandamento da mia dama». E quando lo re Arturi vedea ch’egli non potea sapere suo nome, fue molto dolente; ma tutta fiata sí voglio che sapiate che lo re no lo dimandoe piú di suo nome. Ma che vi dirò io? Eglino sí cavalcarono ambodue per lo diserto; e tanto stettero in cotale maniera che T. sí disse: «Monsignor lo ree, a me fa grande maraviglia, quando voi avete cosí morta quella damiscella, imperciò che a me è aviso che non si convenia a neuno cavaliere né a voi, che siete lo piú alto re che sia al mondo; e imperciò io vi priego che voi sí mi dobiate dire la cagione». E quando lo re Artú intese queste parole, disse: «Cavaliere, io sí vi diroe tutta l’aventura di questo convenentre, imperciò ch’io so bene che a me torna molto grande damaggio, quando li cavalieri udiranno dire come io abia morta una damiscella. E imperciò io sí vi diroe tutta questa aventura, sí come me è addivenuto. Ora sappiate ched io sí mi partio di Camellotto, giá è uno anno passato, e misimi in aventura in questo diserto; onde io sí andava tutto solo e non avea compagnia di neuno cavaliere. Onde tanto cavalcai per questo diserto, ch’io sí pervenni ala fontana Aventurosa, imperciò che a quella fontana si truovano piú aventure che in nulla parte che sia in questo diserto. E quando io fui ala fontana, e io istetti dalo maitino per tempo infino all’ora di prima, e a quell’ora si venne ala fontana una damiscella, la quale sí cavalcava tutta sola e avea molto grandi capegli e iera molto bella di sua persona. E quand’ella fu a me, ed ella sí mi disse: — Cavaliere, io sí vi priego per onore e per cortesia, che voi sí dobiate venire co meco, e sappiate che se voi verete co meco, io vi mostreroe le piú alte aventure, che unqua fossero mai vedute al mondo; imperciò ch’io so che voi andate cercando aventure per questo diserto. — Ond’io intendendo queste parole, fui molto allegro e dissi: — Damiscella, se voi cosí alta aventura mi mostrerete, e io sí verroe volontieri. — E appresso ella sí incominciò a cavalcare innanzi, e tanto cavalcammo insieme intrambodue che noi sí pervenimmo ad uno molto grande palagio. E quando noi fummo alo palagio, ella smontoe da cavallo, e io simigliante[mente] altresí. Ed ella sí mi prese per la mana e menòmi in una sala molto bella, e quivi sí mi fece disarmare, ed apresso sí mi vestio di molto begli drappi e donòmi uno anello molto bello ed avenante, e io il mi misi in dito. E quando il m’ebi messo in dito, incontanente fui sí forte incantato, ch’io no mi aricordava dela reina Ginevra né delo mio reame né di neuno cavaliere, se no di quella ch’io vedea davanti a me, e in tutto avea obriato ogn’altro pensieri e non curava d’altra dama né d’altra damiscella, se non di lei. Ed ella mi facea servire di tutto quello che me abisognava, e la notte sí dormia co lei ed ella si prendea di me tutto quello diletto ch’ella volea, ed io l’amava di molto grande amore. Ed ella sí mi facea combattere tutto giorno coli miei cavalieri, e ogne giorno mi facea tramutare insegne e cavallo, perch’io non fosse conosciuto; e io combattea coli miei cavalieri e tutti gli abattea e non trovava neuno che contra me potesse durare, né io non avea podere di parlare a loro in nessuna maniera, ma tutti gli andava distruggendo. E la notte tornava co lei, e quando iera co lei, e a me sí parea avere tutto lo solazzo che unqua fosse al mondo. E imperciò si misero in aventura tutti li miei cavalieri e sono andati erranti, giá è più d’un anno passato. E tanto vi sono istato dinfino che la dama di Lacca m’intramise quella damiscella la quale [sí] menoe voi [a me; e allora mi scontrò] davante [la porta del] palagio [che voi vedeste]. Ma quando la damiscella m’ebbe veduto, ella sí venne inverso di me e mi prese per lo freno, e non mi lasciò infino ch’ella mi tolse l’anello di dito, ond’io iera cosí incantato. E quando m’ebbe tolto l’anello, ed ella andò a sua via. Ma la damiscella, la quale m’avea cosí incantato, vedend’ella com’io era diliverato di quello anello, incontanente sí fece montare a cavallo iiij cavalieri, i quali erano suoi cuscini, e vennermi a ferire, ond’eglino sí mi misero in terra del cavallo, sí come voi vedeste. E quando la damiscella mi vide a terra delo cavallo, incontanente sí mi prese per l’elmo e slacciolmi, ed allora incontanente li cavalieri si ismontarono da cavallo, salvo uno, e voliami uccidere. E imperciò sappiate che quella damiscella, la quale sí vi menò a me, quella fue la damiscella dela dama di Lacche. Onde voi m’avete per vostra prodezza diliverato, perch’io sono al certo ch’io sarei morto, se voi non m’aveste soccorso. Onde io pensando nel grande damaggio che la damiscella m’avea fatto e sí com’ella mi volle uccidere, io non mi potti attenere in nessuna maniera, ch’io no l’uccidesse. E per questa cagione fu’ io preso in questo diserto. Oggimai non mi ne puote riprende[re] neuna persona e non credo che né da voi né da neuna persona io ne debia essere biasimato, per questa cagione ch’io detto v’hoe».