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CLV CLVII

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CLVI. — A tanto dice lo conto, che quando T. sentio lo grande colpo dalo cavaliere e sentio sí come lo cavallo gli era inginocchiato sotto, incominciossi molto a maravigliare dela grande forza delo cavaliere. Ed incontanente ismontoe da cavallo e imbraccioe lo scudo e andò inverso la fontana, e quando fue ala fontana, ed egli sí disse alo cavaliere: «Cavaliere, io v’appello ala battaglia dele spade, ed imperciò che se a me è fallito lo cavallo d’inginocchiarsi, egli non è mia colpa. E imperciò sí faremo uno assalto o due ale spade e quivi si parrá quale tra noi due sarae buono cavaliere». Ma quando l’Amorat intese le parole delo cavaliere, lo quale volea combattere co lui, allora incontanente sí prese lo scudo e andò inverso lo cavaliere. E quando fue a lui, ed ambodue sí misero mano ale spade e imbracciarono li scudi e andaronsi a [p. 204 modifica] fedire e incominciarono lo primo assalto; e davansi sí grandi colpi l’uno all’altro, sí che tutte l’arme si falsavano e molto malvagiamente, sí che ciascheduno avea assai a fare di suo compagnone. Ma tanto menarono lo primo assalto, che ambodue si incominciarono a riposare per cogliere forza e lena. Ma tanto dimorarono in cotale maniera, che eglino sí ricominciarono lo secondo assalto, ed incominciaronsi a dare di molto grandi colpi. Ma l’Amoratto sí feria a T. di molto grandi colpi, sí che T. si maravigliava molto dela prodezza delo cavaliere e com’egli potea fare tanto d’arme. Ma quando T. ebe veduto tutto lo schermire che lo cavaliere sapea fare, ed egli sí incominciò astare a lui, e davagli sí grandi colpi che tutte l’arme gli togliea da dosso cola spada, e incominciollo a fedire molto malamente, sí che l’Amoratto perdea molto sangue. E quando l’Amoratto sentio li grandi colpi che lo cavaliere gli dava ispesse fiate, fue molto dolente e dicea infra se istesso: «Per mia fé, io abo a combattere colo piú grorioso cavaliere che sia al mondo, quando io credea avere vinta la battaglia e non credea che lo cavaliere potesse piú combattere. E io veggio fermamente ched egli è lo piú forte cavaliere e lo piú pro che sia al mondo, e veggio bene che alo diretano dela battaglia io non poroe sofferire co lui in nessuna maniera, imperciò ch’egli è bene piú pro cavaliere che non son io». Molto si dolea l’Amoratto di questa aventura. Ma tanto dimoroe la battaglia in cotale maniera, che l’Amoratto vide bene sí com’egli perdea tutto il sangue ed iera giá quasi tutto disarmato del’asbergo. E quand’egli vide queste cose, fu tanto doloroso che volea morire; e incominciò a pensare in fra se istesso e dicea: «Certo io voglio domandare questo cavaliere com’è suo nome, imperciò ch’egli mi pare lo migliore cavaliere con cu’ io unqua mi combattesse. Ma per mia fé, io credo ched egli sia monsegnor Lancialotto di Laca, imperciò che non porea tanto d’arme neuno cavaliere quanto igli». E istando per uno poco, ed ambodue si trassero indietro e ’ncominciaronsi a riposare. E l’Amoratto disse: «Cavaliere, io mi sono tanto combattuto con voi, che io veggio bene che [p. 205 modifica] voi siete lo migliore cavaliere che sia al mondo, né con cu’ io unqua mi combattesse. E imperciò vi priego, che voi si mi dobiate dire vostro nome, e io vi dirò il mio imprimieramente; imperciò che voi potreste essere tale cavaliere che noi lasceremo questa battaglia, e tale cavaliere potreste essere che noi sí meneremo a fine nostra battaglia». E quando T. intese queste parole, fue molto allegro e disse: «Cavaliere, ora dite lo vostro nome, e appresso sí vi dirò lo mio». E quando Io cavaliere intese queste parole, disse: «Cavaliere, ora sappie ched i’ hoe nome l’Amoratto di Gales e lo re Pellinoro fue mio padre».