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CLVI CLVIII

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CLVII. — In questa parte dice lo conto, che quando T. intese queste parole, fue molto allegro imperciò ch’egli avea molto grande volontade di vederlo, per amore del corno aventuroso, lo quale egli avea mandato a corte, laonde la bella Isotta e molte altre dame e damiscelle ebero molto grande vergogna e onta. E istando per uno poco, e T. disse a l’Amoratto: «Amoratto, per mia fé, ora se’ tu morto né da me non può’ tu campare in nessuna maniera; imperciò ch’io voglio che tu sappie ched io sí sono T. di Cornovaglia, per le cui mani tu dei morire, se Dio mi salva la mia mano dritta. Imperciò che tu mandasti lo corno aventuroso a corte per mio dispetto, ed io sí ti lasciai ali paviglioni del re per cortesia, ch’io non volli allora combattere teco, imperciò che a me parea che tu avessi fatto troppo d’arme. Onde ora sarae quello giorno che tu combatterai con meco e che noi meneremo a fine nostra battaglia, e ora si parrá chi sará pro cavaliere d’arme. E sí ti dico, ched io ora non ti lasceroe piú per cortesia in nessuna maniera; e imperciò io sí t’appello ala battaglia». Ma quando l’Amoratto intese queste parole, fue molto doloroso e disse: «Per mia fé, T., io vi dico ch’io non voglio piú combattere con voi, ma io sí vi lascio questa battaglia; perché intra noi due non ha ora neuna querella, perché nostra battaglia debba essere menata a fine. E imperciò io vi dico che non combatteroe piú con voi a questa fiata». E [p. 206 modifica] quando T. intese queste parole, disse: «Per mia fé, Amoratto, a voi non vale neente vostro disdire, che noi compiamo nostra battaglia; e imperciò vi dico che voi si vi guardate da me, imperciò ch’io vi disfido. Im[per]ciò il ti dico perch’io non voglio che tu possi dire ch’io ti feggia a tradimento». Ed allora incontanente T. sí fedio l’Amoratto sopra l’elmo, e diedegli sí grande colpo che l’Amoratto perdeo lo vedere e non sapea se fosse campato o no. E quando l’Amoratto sentío lo grande colpo, lo quale T. gli avía dato, fue molto dolente e dicea infra se istesso: «Certo io veggio e sento bene che se T. mi dona piú di questi colpi, io sono sicuro di morire». E istando per uno poco, e l’Amoratto disse a T.: «Per mia fé, T., voi avete troppo fallito quando voi mi ferite, dappoi ched io non voglio piú combattere. E imperciò vo’ priego, che voi non mi dobiate piú fedire, imperciò ched io sí vi lascio questa battaglia». E quando T. intese queste parole, disse al’Amoratto: «E com’è ciò che voi dite? E credete voi ch’io non mi ricordi di quello che voi mi faceste, quando voi mandaste lo corno aventuroso a corte, per mio dispetto, onde madonna Isotta e molte altre dame sostennero molto dolore? Laond’io vi dico per lo certo che voi saprete s’io potroe combattere con voi». Ed allora incontanente T. sí ’l ferio un altro colpo dela spada sopra la spalla sinestra, e diedegli sí grande colpo ch’egli gli taglioe lo scudo e l’asbergo e fecegli molto grande piaga e profonda, sí che l’Amorat si perdeo molto sangue a dismisura.