La fine di un Regno (1909)/Parte III/Documenti vol. II/XIII

Documento XIII

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Documento XII, volume II, cap. XVIII.


Cronistoria dei fatti politici e militari
avvenuti nell’anno 1860 nella Città di Pescara
piazza forte dell’ex Reame di Napoli
narrata da un testimone oculare.


Parte I.


La Piazza forte di Pescara racchiudeva nella cinta delle sue mura la Città, ed era costituita da un pentagono di ciaque Bastioni sulla [p. 132 modifica]destra sponda del fiume omonimo, con cortine, casamatte e passaggi, Gifesi e coperti, e relativo fossato. Sulla sinistra sponda si ergeva una testa di ponte con altri 5 Bastioni ed accessori, in difesa al nord-ovest del Pentagono principale. Tutti armati da artiglierie da piazza.

Fra questa testa di ponte e la Piazza convergevano le strade principali esterne, e vi era il passaggio del fiume, costituito da un ponte a battelli.

Nel 1860 la sua guarnigione militare era composta da un battaglione di Cacciatori (1200 uomini) da 6 compagnie di Zappatori del Genio, e da un centinaio di artiglieri. In tutto circa 2000 uomini, oltre una batteria completa di pezzi da campagna, trainata da 80 muli e rimasta precariamente nella Piazza.

Sul finire dell’anno 1859 il governo di Napoli preoccupato dall’ammassamento dei volontari italiani, comandati dal Generale Garibaldi, alla Cattolica e Rimini, e dopo aver fatto inutili pratiche col Governo di Roma per unire le sue forze con quelle del Generale Lamoricière, stabili ed attuò per inutile sua tarda difesa un Corpo di truppe di osservazione sotto il comando del Generale Pianell dietro la linea del fiume Tronto, la cui base veniva fissata alla Piazza forte di Pescara.

Per questo fine la Piazza forte fu febbrilmente rimessa in assetto di guerra con munimento di artiglierie ed approfondamento dei fossati, senza dire che in essa fu immagazzinata ogni necessaria provvista di generi varî, grano, salami, vino, vestiari ecc.

Nell’aspettativa dei fatti che si svolgevano, si ebbe notizia che Francesco II aveva elargito con atto del 25 giugno 1860 il ripristino della Costituzione dell’anno 1848. Come a Napoli, anche nella nostra regione di Abruzzo, la notizia fu accolta freddamente, e fu incentivo al movimento e alle aspirazioni più palesi verso l’agognato desiderio della Unità Italiana. Fra i giovani Uffiziali della nostra guarnigione si appalesò più vivo ed aperto il patriottico sentimento, e si fecero più intime le relazioni di costoro con tutti i liberali cittadini che formavano la popolazione di Pescara. Scorsero così i due mesi di luglio ed agosto.

Finalmente giunse quel giorno memorando del 7 settembre 1860, giorno della entrata di Garibaldi a Napoli. La nostra piazza era comandata dal vecchio Colonnello Piccoli col suo Stato Maggiore; l’artiglieria dal Tenente Colonnello Gaudiani persona cortese e patriota; il Genio dal Tenente Colonnello Antonelli; il 12° Cacciatori dal Maggiore Pirelli; i Zappatori dal Capitano D’Escamard, e la batteria da campagna dal Capitano Baker, se mal non ricordo.

Verso le ore 22 di quel giorno giunse dispaccio da Napoli al Comandante la Piazza, col quale, annunziandosi l’entrata di Garibaldi [p. 133 modifica]e la costituzione del governo provvisorio, si faceva invito agli Uffiziali della Guarnigione di fare adesione al nuovo ordine di cose. Nella incertezza e perplessità che dominò subito il Corpo Militare, fra coloro animati dal patrio sentimento che volevano affrettare l’adesione, e coloro più pochi che conservavano affetto alla Dinastia, sorse alquanta confusione che scosse la disciplina della bassa forza. Questa cominciò a tenere in diffidenza i propri superiori ed a girare a gruppi armati di fucili e daghe, per le vie della Città, non senza minacciare in modo ben comprensibile la popolazione, che vigile 08servava e s’impensieriva dello incomposto movimento dei militari.

Onde provvedere alla incolumità generale delle principali famiglie della Città, si pensò di emigrare nei luoghi vicini, e la popolazione tutta patriottica, ne segul l’esempio, di modocchè fra il giorno 8 al 12 settembre forse qualche paio di centinaia di pescaresi soltanto rimasero nelle loro abitazioni.

Questo provvedimento necessario per la propria vita, se non per l’incolumità delle private sostanze, irritò i militari rimasti fedeli, poichè gli Uffiziali patriotti abbandonarono subito la Piazza, correndo a Napoli per affrettare la richiesta adesione. L’irritazione crebbe fino al punto che le sentinelle di servizio tiravano delle fucilate a quei cittadini che dissimulavano alla meglio la loro partenza.

Verso le ore 10 dell’11 o 12 settembre fu di passaggio il Sig. Clemente De Cesaris, liberato quale condannato politico dal bagno penale, e conosciuto anche dai militari per i suoi sentimenti liberali. I soldati tumultuariamente lo rincorsero sullo stradale allorchè ripartiva, dopo essersi alquanto fermato in città, e lo condussero prigioniero al Comando di Piazza, poi in carcere fino al sabato 15 settembre. La presenza di costui, e la emigrazione di quasi tutti i pescaresi, che nel 12 aumentò di molto, accrebbero ancora l’irritazione e fecero sospettare che i cittadini fossero andati a riunirsi con altre guardie nazionali per assaltare la Piazza. Seguirono tre o quattro giorni di pericoli, minacce, perplessità di ogni genere. I Zappatori che alloggiavano fuori il maschio della Piazza si sollevarono al grido di: “Viva il Re„; provarono di gittare al fiume l’uffiziale del Genio Forti di servizio, e istigati da alcuni contadini abitanti in campagna, che si univano a loro, con armi, utensili e sacchi, irruppero verso la principale Porta di entrata della destra sponda. Ma il 12° Cacciatori, che vi era a guardia, chiuse e difese la porta, impedendo così l’entrata alla città ed il minacciato saccheggio. Questo fatto risultò a grande onore di quel Corpo, i cui elementi non erano viziati come in altri, perchè composto di reclute.

La notte del 12 e quella successiva del 18 la Guarnigione, sempre in tumulto e compresa dal ridicolo sospetto che i pescaresi ed [p. 134 modifica]altre guardie nazionali stessero appiattati nei pressi della piazza, onde sorprenderia ed assaltarla, tirarono incessanti cannonate in tutte le direzioni del raggio. Ma avvenne poi che per una fortunata eventualità il giorno 14 dalla nostra piazza fu vista molto accostarsi nella rada la flotta italiana del Persano, il quale correva ad Ancona per espugnarla. Questa circostanza determinò nella Guarnigione un panico fra i soldati principalmente, i quali decisero di mandare a Chieti, dove noi pescaresi ci trovavamo nella miglior parte, un uffiziale come parlamentario, un certo Utrech, a domandare dalla Tesoreria provinciale ducati 3600, promettendo che, avendoli, si sarebbero sciolti. Non dico le ripugnanze che avvennero colà a facilitare la richiesta, e scongiurare mali maggiori. Il tesoriere volle un verbale firmato indicandovisi l’indeclinabile necessità che si affacciava, ma mi pare che noi soli pescaresi lo firmammo a garanzia del Tesoriere.

Quando tornò l’uffiziale a Pescara coi denari, trovò che il panico dei soldati era tanto cresciuto che senza aspettare il suo ritorno sì erano già quasi tutti sbandati dalla piazza, onde raggiungere in diverse direzioni i loro paesi. Pochi aspettarono il denaro che venne, come poi mi dissero, distribuito ai rimasti, e che fu anche restituita una piccola somma al Sig. De Cesaris di suo uso pel viaggio, e che aveva volontariamente anticipata.

Dopo questi avvenimenti, il De Cesaris, liberato dal Carcere militare, venne la sera del 15 a Chieti con veste di Governatore della Provincia alla quale forse fu elevato per dispaccio del governo dittatoriale di Napoli. Immediatamente egli convocò quanti pescaresi di di guardia nazionale eravamo colà, e ci ordinò di partire in armi subito per occupare la piazza di Pescara, sgombra già dai soldati della guarnigione. Obbedimmo allegramente e ci mettemmo nella stessa notte in marcia nel numero esiguo di una ottantina, sebbene potessimo attenderci pericolosi agguati dalla truppe sbandate che fuggivano. Non vi furono incidenti, e verso l’alba del 16 settembre ci trovammo in riga in una piazza della Città. Si procedè subito a raccogliere tutto ciò che era stato dissipato dai soldati, armi, vestiario ecc., che furono riposti nei magazzeni militari. Non appena giungemmo ci si presentarono ufficiali superiori, che, temendo di rappresaglie nel loro cammino per raggiungere la truppa raccolta a Gaeta e dintorni da Francesco II, domandavamo da qualche autorità un salvacondotto, che fu loro dato. Uno di essi il Maggiore Pirelli, esclamò: “Ecco qua, con la vostra condotta avete fatto dissolvere una bella truppa„, gli rispondemmo “essere effetto della indisciplina e del disordine dei soldati che ci obbligarono a porre in salvo le nostre vite„.

Ci dissero che quegli uffiziali andarono subito a Gaeta per giustificare al re la perdita della piazza di Pescara, ed è evidente che [p. 135 modifica]quel re in vista di tal fatto, credette ordinure alla sinistra delle sue truppe, come più vicine, comandata dal Generale Scotti, di marciare negli Abruzzi riprendere Aquila e Pescara, e fare di noi pescaresi principalmente un macello. Questa colonna Scotti però si mosse lentamente, arrestata od impaurita del concentramento a Castel di Sangro di molte compagnie di volontari garibaldini, i quali difendevano i valichi per gli Abruzzi, e fu tanto inoperosa per una ventina di giorni e più, che diede tempo poscia al Generale Cialdini d’incontrarla al Macerone e sconfiggerla facendo prigioniero anche lo Scotti.


Parte II.


Cessato pertanto allora ogni pericolo col possesso della Piazza forte, Pescara, con una sola mente ed un sol cuore, attese partecipandovi largamente, allo svolgimento delle cose, alle aspirazioni del prossimo conseguimento della libertà ed Unità d’Italia. Ed all’adempimento dei precari doveri di conservare tutto ciò che sì trovava ammassato nella Piazza, materiale, munizioni e provvigioni da bocca. Il Municipio ebbe cura degli 80 muli e cavalli della batteria Baker, alimentandoli per più di un mese. La spesa di essi non è stata mwui rimborsata, nè il Municipio la domandò per senso di alto patriottismo. Dopo 2 giorni la nostra Guardia Nazionale venne rinforzata da altre compagnie nazionali dei luoghi vicini.

Dopo il 16, si seppe il passaggio della frontiera dello Stato Romano ad opera delle truppe di Vittorio Emanuele, capitanate da Fanti e Cialdini, come la brillante azione di Castelfidardo e l’espugnazione di Ancona. Ma nel frattempo il giubilo generale era funestato dalle notizie che giungevano da Napoli, dove vi era lotta di preponderanza fra il partito Mazziniano e quello liberale monarchico italiano, per l’indirizzo da darsi al movimento unitario. In Abruzzo con generale malcontento giungevano ordini, disprezzati e ineseguiti, di opporsi ad ogni intervento eventuale del Piemonte, e non mancarono gravi minacce. Le popolazioni dell’Abruzzo, più esposte, non vi badarono, finchè sul finire dello stesso settembre una sol voce confortante si diffuse: “Andiamo, quanti più possiamo, come rappresentanti, al re Vittorio Emanuele, magari, a Torino, onde invitarlo a salvare l’ex Reame di Napoli„. Il giorno dopo di questa voce vi fu una partenza generale per Ancona di moltissimi in tale veste, specialmente del Teramano. Noi di Pescara ne fummo cinque, e tutti ci trovammo giunti in Ancona nel giorno 30 di quel mese, cioè uno o due giorni dopo della espugnazione di quella Piazza.

[p. 136 modifica]Giunti in Ancona, questi rappresentanti, condotti da Francesco De Blasiis e Giuseppe Devincenzi, furono informati che il Re Vittorio, arrivato a Bologna, avrebbe fatto il suo ingresso ad Ancona per la via del mare, prendendo imbarco a Rimini o alla Cattolica. Vedemmo difatti i necessari preparativi; e nella mattina del 2 o 3 ottobre, se non sbaglio nella memoria, piovigginosa alquanto, il Re fece il suo entusiastico ingresso nel porto e nella Città, montando a cavallo. È mio debito accennare la grande commozione che provammo in quei pochi giorni che colà rimanemmo. Le accoglienze patriottiche fatte dalla intera popolazione di Ancona a ben 45000 uomini dello esercito piemontese, segnano una pagina luminosa di quella cara Città, ed esse sono indescrivibili.

Il Re, che andò ad alloggiare in un villino esterno, seppe dell’arrivo in Ancona di numerosa Deputazione degli Abruzzi, che domandava essere ricevuta per esporre i bisogni e le generali aspirazioni dell’ex Reame.

Attendemmo per un paio di giorni le Reali disposizioni, quando improvvisamente, il Re, entrato nella Città, ordinò che le Deputazioni gli fossero presentate subito. Partirono corrieri per la Città per chiamarci in tutti i luoghi, poichè non avvertiti prima, andavamo a diporto. Si corse a palazzo non ordinatamente, e ci fu ressa nello ingresso della sala di ricevimento. L’abate Settimio De Marinis, uomo di profonda dottrina, ed ardente liberale, uno dei cinque rappresentanti pescaresi, dovè animatamente lottare per non rimanere fuori della sala. Il Re se ne avvide, e vedendo con piacere che un sacerdote faceva parte della Deputazione, gli si fece incontro e gli disse: “Donde viene? — Maestà, da Pescara„ Replica il Re: “Che fanno i soldati di quella Piazza? — Maestà, rispose, la Piazza è libera ed affidata alla Guardia Nazionale, i soldati si sono sbandati. “Bene„ finì il Re.

Accolti il giorno dopo dal ministro Farini, il quale accompagnava il Re, sapemmo che questi, dopo scambio di telegrammi, aveva già dato ordine alle sue truppe di iniziare la marcia verso gli Abruzzi. Ci preparammo tutti a tornare per dare la lieta novella, senza curarci delle ricevute minacce emanate dal Governo politico di Napoli.

Sulla metà dell’ottobre le truppe italiane giunsero e si accamparono a Pescara, Il Re Vittorio giunse pure con l’esercito, dopo essere stato caldeggiato dalle popolazioni nelle sue fermate a Giulianova e a Castellamare. Qui prese stanza nel villino Coppa sul territorio di Castellamare. Nel giorno dopo l’arrivo entrò a cavallo a Pescara per osservare la Piazza, circondato dalla popolazione festante ed entusiastica. Vide gli armamenti, sali e si fermò sul Bastione più esposto, denominato della Bandiera. Contemplò i dintorni e rivoltosi [p. 137 modifica]all’abate De Marinis, che gli stava a fianco disse queste precise parole: “Ho che bel sito per una grande Città!...„

L’esercito italiano prese possesso della Piazza forte e degli approvigionamenti in essa contenuti, e nel giorno successivo il Re parti alla testa delle sue truppe, passando per Chieti, mentre l’avanguardia comandata da Cialdini era già partita a marce forzate verso Castel di Sangro, dove forse aveva avuto sentore che si trovava, incerta e perplessa, la Colonna del generale borbonico Scotti, che voleva avanzare verso gli Abruzzi. Difatti la detta Colonna di Scotti, come si è detto, fu incontrata e distrutta al Macerone dal generale Cialdini.

Dopo il Plebiscito e la resa di Capua nel novembre, l’ingresso e la permanenza a Napoli del Re Vittorio, questi volle tornare in Piemonte, prendendo la stessa via della sua marcia, cioè quella degli Abruzzi, Il 28 decembre 1860 doveva passare per Pescara oltre la mezzanotte. I cittadini approntarono un padiglione e dei rinfreschi al passaggio. Giunse col seguito in vettura chiusa. Senza scendere, permise che noi tutti ci accostassimo agli sportelli, parlando con noi familiarmente. Alla preghiera di pensare ed interessarsi al riscatto di Roma e Venezia, ci rispose: “A poco a poco„. Accettò un rinfresco e partì.

Pescara, 28 dicembre 1907.

Marchese Francesco Farina.