La donna vendicativa/L'autore a chi legge

L’autore a chi legge

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Lettera di dedica Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE1.


Q
UESTA che ha per titolo la Donna Vendicativa, è l’ultima Commedia da me composta negli anni cinque, ne’ quali impiegata ho la mia penna pel Teatro detto di Sant’Angiolo, in Venezia, padronato di sette Famiglie nobili di questa Serenissima Dominante. Impresario del Teatro medesimo per detto tempo fu il Signor Girolamo Medebach Romano, in società unito col Signor Gaspero Raffi, parimente Romano, padre della moglie del Socio, per nome Teodora, chiamata sulle Scene Rosaura, giovine di ottimi costumi, e nei caratteri dolci, amorosi e gentili graziosissima attrice, che ha fatto piangere parecchie volte nella tenerezza delle passioni toccanti il cuore. Devo renderle questa giustizia, d’aver ella con ammirabile prontezza e docilità accolte e bene eseguite le migliori parti delle mie Commedie nel carattere di prima Donna, fra le quali si è segnalata nelle parti di Bettina, nella Putta Onorata e nella Buona Moglie, di Doralice, nella Suocera e Nuora, di Rosaura, nell’Avvocato Veneziano, nella parte di Pamela egregiamente, in quella di Guerina nel mio Moliere a meraviglia bene, e in tante altre; ed in tutte ha sempre fatto grata ed onorevole la sua comparsa; ringraziandola io nuovamente del piacere che dimostrava ella nel recitare le cose mie, e dell’onore che alle medesime ha fatto. Anche del Marito suo onoratissimo, e nei caratteri caricati eccellente, grata memoria conservo, lodandomi della buona maniera con cui, quasi per anni cinque, ha corrisposto alle mie attenzioni. Del mio discioglimento da lui ho dovuto discorrere nel Manifesto2; ma siccome a quello diede motivo non l’amicizia, ma il dispiacere, salve le ragioni allegate, e separando nelle varie sue [p. 472 modifica]circostanze una verità dall’altra, deggio dar lode alla di lui onestà e al di lui valore.

Egli fu quello che con avidità più d’ogni altro, da per tutto dove trova vasi, andava a caccia delle cose mie teatrali, e mi ha eccitato a compome fra le cure forensi in Pisa, indi mi ha dato animo ad intraprendere nuovamente l’abbandonato esercizio delle Commedie. Sulla fiducia in me appoggiata, condusse egli in Venezia l’accennato Teatro, e fattone nel 1748 per un anno l’esperimento, ci stabilimmo vicendevolmente per altri anni quattro, e se alcuno piacer avesse di saper anche i patti che fra noi correvano, ecco una copia della scrittura nostra.

Adì 10 Marzo 1749. Venezia,

Colla presente privata Scrittura, da valere e tenere come un pubblico istrumento, promette e si obbliga il Signor Dottore Carlo Goldoni essere impiegato in qualità di Poeta nella compagnia del Signor Girolamo Medebach, con i seguenti patti e condizioni, cioè:

Primo, che la presente scrittura d’obbligazione d’ambe le parti debba durare anni quattro principiati il primo di della corrente quaresima 19 Febbraio, e termineranno l’ultimo giorno di Carnovale dell’anno 1753.

Secondo, che il Signor Goldoni sia obbligato in ciascun anno comporre otto Commedie e due Opere, e far quelle introduzioni che fossero necessarie, siccome accomodar qualche soggetto vecchio, e far altre simili cose, secondo il bisogno ed il piacere del Signor Medebach, e parimente assistere alle prove ed ai concerti delle Opere e delle Commedie suddette.

Terzo, che il Signor Goldoni debba seguitare la Compagnia comica ovunque anderà per detti quattro anni.

Quarto, che non possa detto Signor Goldoni per detto tempo scrivere per alcun Teatro Comico di Venezia.

Quinto, che possa però scrivere per un Teatro di musica, sia seria, o sia buffa.

Sesto, che il signor Girolamo Medebach sia tenuto pagare al Signor Goldoni per ciaschedun anno ducati quattrocento [p. 473 modifica]cinquanta da lire sei, soldi quattro per ducato, e questi a’ suoi tempi, come converranno verbalmente.

E per manutenzione di tutte le suddette cose, obbligano le parti le loro persone, e loro beni presenti e futuri in forma ecc.

Io, Carlo Goldoni, affermo, prometto, e m’obbligo quanto sopra, et in fede mano propria.

Io, Girolamo Medebach, affermo, prometto, e m’obbligo quanto sopra, et in fede mano propria.

Letta che taluno avrà la scrittura fedelmente esposta, dirà: dove sono elleno le due opere per ogni anno dallo scrittore promesse? Sappi, Lettor curioso, che veggendosi gradite dall’universale le Commedie mie, dette di carattere, e queste, per esperienza, alle composizioni chiamate Opere preferite, anche al numero di queste altrettante di quelle con piacere dell’Impresario ho sostituito, e perchè non credasi essere questa mia una magra scusa, e che più tosto (come alcuni malevoli hanno disseminato) mancato abbia al numero delle cose promesse, voglio anche prendermi la pena di dare una distinta nota delle quaranta Commedie, colle quali ho supplito nel corso dei quattr’anni agl’impegni miei, ed eccole qui per ordine e fedelmente distese: 1. Il Cavaliere e la Dama; 2. La Buona moglie: 3. L’Avvocato Veneziano: 4. La Famiglia dell’Antiquario, o sia La Suocera e la Nuora: 5. Il Padre di Famiglia: 6. Pantalone imprudente, Commedia che non fu mai rappresentata, forse perchè cattiva: 7. I Flati ipocondriaci: 8. Le Amorose fattucchierie di Brighella: 9. I Fratelli riconosciuti, le quali tre ultime Commedie sono di quelle dette a soggetto, colla loro Dote, cioè con parte delle scene scritte: 10. Il Teatro Comico: 11. La Bottega del Caffè: 12. Le Femmine Puntigliose: 13. L’Adulatore: 14. I Poeti: 15. La Pamela: 16. Il Cavaliere di buon gusto: 17. Il Giocatore: 18. Il vero amico: 19. La Finta ammalata, o sia Lo Speziale: 20. La Dama prudente: 21. L’Incognita perseguitata: 22. L’Avventuriere onorato: 23. La Donna volubile: 24. I Pettegolezzi delle donne: 25. Il Moliere: 26. La Castalda: 27. L’Amante militare: 28. Il Tutore: 29. Il Trionfo della prudenza in Rosaura moglie amorosa, o sia [p. 474 modifica]La Moglie saggia: 30. Il Marchese di Monte Fosco, o sia Il Feudatario: 31. Le Donne gelose: 32. La Serva amorosa: 33. I Puntigli domestici: 34. La Figlia obbediente: 35. I Due Pantaloni, o sia I Mercatanti: 36. La Locandiera: 37. Le Donne curiose: 38. L’Imprudente, il di cui argomento niente ha che fare col Pantalone imprudente. Commedia quinta: 39. La Donna vendicativa: 40. Il Bugiardo.

Metto Il Bugiardo per ultimo, quantunque sia andato in iscena nell’anno secondo della scrittura, perchè su questo mi si può fare un obietto, ed io lo voglio risolvere. Premettasi alla risoluzione e all’obietto stesso, che nell’anno 1748, prima che scrittura alcuna passasse fra il Medebach e me, col patto verbale di zecchini cento, le seguenti cose per il di lui Teatro ho composte: 1. L’Erede fortunata, recitata poi l’anno dopo: 2. La Vedova scaltra: 3. Il Sensale da matrimoni: 4. L’Uomo prudente: 5. La Putta onorata: 6. Il Nerone, tragedia: 7. Il Bugiardo, e varie altre Commedie, di quelle che a soggetto si chiamano, parte di nuovo composte, e parte sopra soggetti dell’arte regolate e condotte; non numerandosi fra le Commedie fatte pel Medebach le altre due dal medesimo nell’anno primo rappresentate, cioè: Il Tonin Bellagrazia e I due Veneziani Gemelli; poichè queste erano per avanti state da me composte per il di lui celebre Pantalone Cesare d’Arbes, da me altre volte ne’ fogli miei commendato.

Ora premesse le allegate cose, l’obietto è questo: il Bugiardo composto fu il primo anno, innanzi la formazione della scrittura; non si recitò in quel tempo, ma solo due anni dopo, e non per questo potrà comprendersi nel numero delle quaranta nel quadriennio dovute; dunque il Goldoni restò al Medebach debitore d’una Commedia. Rispondo: che nell’anno primo, la Commedia intitolata Il Bugiardo riuscì cattiva, perchè niuno scrittore promettere si può di far sempre cose buone, e fu giudicato a proposito di non esporla. Due anni dopo, cioè nell’anno secondo della scrittura, presa per mano una tal Commedia già abbandonata, serbato appena il soggetto, fu poi nuovamente scritta, ed in altro aspetto prodotta; onde ecco una nuova Commedia, che compie il numero delle [p. 475 modifica]quaranta; siccome lo avrebbe compiuto anche una semplice traduzione. Se ciò non camminasse a dovere, e temuto avess’io di poter venire rimproverato (come pur troppo alcuno, che in ciò non ha parte, si è divertito di fare) poco a me costava dar un’altra Commedia, ed obbligo non aveva di darla o di carattere, o interamente scritta; ma un sol soggetto potea bastare. Leggi, Lettor carissimo, il capitolo secondo della scrittura nostra, e vedrai essere stato l’impegno mio di dar otto Commedie e due Opere per ogni anno; e non dicesi: Commedie di carattere, o Commedie scritte, ma era in arbitrio mio di darne ancora a soggetto, e al più a due per anno poteva essere astretto, corrispondenti alla fatica delle due Opere che obbligato era di fare; eppure in quaranta Commedie, tre sole ne troverai a soggetto, e trentasette di carattere, intieramente scritte, con che dovrei certamente essermi acquistato non poco merito, giacchè delle mie fatiche abbondevole fu reso il frutto. Sono però contentissimo di quel che onoratamente mi è stato, giusto alla convenzion, mantenuto, siccome del regalo di mezzo palco, fattomi per tre anni dall’Impresario, nell’ultimo ordine del Teatro, di venti zecchini regalatimi in cinque anni, e di alcuni pranzi offertimi gentilmente ne’ giorni dei concerti, o sian prove. Bastami che rendasi a me pure giustizia, che non vengami imputata mancanza; per lo che anche di questo articolo, siccome di tanti altri che me risguardano, giudice ho voluto rendere il Mondo.

Rifacciamoci ora da capo, ragionando della Donna vendicativa, ultima Commedia della mia accennata condotta. Fu da me consegnata nel Carnovale dell’anno 1752, a tenor dell’impegno, ma fu poi posta in iscena dal Medebach in Venezia la prima sera dell’Autunno seguente. Ciò egli avrà fatto, perchè così di comodo e di piacere gli sarà riuscito; ma alcuni spiriti capricciosi, che tutto in mala parte convertono, hanno disseminato ch’ei nella prima sera dell’Autunno suddetto la facesse rappresentare, temendo che in altro Teatro prima di lui divisassi di esporla. Conosco il carattere del Medebach, egli non è solito pensare sinistramente dei galantuomini, e sa per prova non essere io capace di farlo. Se avessi avuto la prava intenzione di prevenirlo nella [p. 476 modifica]recita di tal Commedia, avrei potuto stamparla nel primo Tomo in Firenze; ma ho riserbato a farlo sin qui, per allontanarmi appunto da ogni taccia di supposto malanimo.

Io questo malanimo non l’ho mai avuto, e non l’ho certamente verso di lui. Prego Dio, benedette sieno le sue fatiche, le sue intraprese, e mi consolo di cuore, ch’egli nell’anno scorso abbia fatto del bene, e glielo auguro maggiore nell’avvenire. Godo che una compagnia da me prediletta per cinque anni, continui nel credito, nell’applauso di prima, e godo altresì, che chi per quella ha intrapreso di scrivere3, facendo a me l’onore di seguitare il novello metodo da me introdotto, fatichi di proposito con animo di migliorare. Troppo sarei ardito, prosontuoso e ignorante, se pretendessi esser solo, e peggio, se mi credessi di esserlo. Il Mondo è grande; molti sono i Teatri; numeroso è il popolo che vi concorre; evvi campo aperto per tutti, e tutti aver possono la loro parte di gloria. Basta a me il compatimento alle miserabili mie fatiche, senza togliere alle altrui il merito o la fortuna. Cosa buona sarebbe, e da desiderarsi, che più persone di proposito a faticar s’impiegassero per la riforma del Comico Teatro nostro: opera a cui nè due, nè tre, nè quattro penne bastanti sono, e bene impiegati sarebbero i ragionamenti e gl’impegni de’ partigiani, se tendessero questi ad animare, anzi che a deprimere gli scrittori, i quali sudano pel proprio onore, e per l’altrui onesto divertimento.

Ma tante parole ho spese su questi fogli, che la Commedia della Vendicativa precedono, e di essa nulla ho ancor ragionato.4 [p. 477 modifica]Contenti dovrebbero essere di ritrovarvi un Protagonista vizioso, coloro che ad imitazione delle antiche, così vorrebbero le Commedie moderne; ma io non sono di ciò persuaso, e mi faranno giustizia i più delicati ancora, che grata rendesi molto più la Commedia, quando l’argomento di essa appoggiato veggasi ad una virtù; ad una virtù, io intendo, non tragica, non severa, ma che il lepido soffra, il piacevole, il comico, e che il vizio abbia in aspetto più ridicolo, in suo confronto; poichè se vogliono i partigiani dell’antichità, che questo il soggetto abbia da essere della Commedia, unicamente perchè dall’odio ch’egli eccita, s’innamorino gli uditori della virtù, meglio s’avrà l’intento, se questa meglio risalta, e più ridicolo sarà il vizioso, se più lo sfregia il confronto.

Cosa odiosissima è la vendetta; la necessità di far più Commedie in un anno, anche di questo tristo argomento mi ha consigliato a valermi. Studiato ho di raddolcire il tetro di un tal carattere col ridicolo di due collerici, uno de’ quali, il più violento, il più interessante, vinto e ridotto a fremere dall’amore. Per ravvivare un’opera resa tetra dall’argomento medesimo, ho pensato di lavorare il terz’atto al costume degli Spagnuoli, con imbrogliato intreccio e copia d’accidenti, che hanno un poco del sorprendente5; da quali poi ne traggo lo scoprimento del cattivo animo della Vendicativa, e al fine, il di lei avvilimento, la confessione e il castigo. Due sole sere rappresentata fu nella occasione suddetta una tal Commedia, non so se arrestato fosse il suo proseguimento da poco applauso, ma posso asserire per la verità, che l’ho veduta egregiamente rappresentare, e la celebre Corallina6 principalmente ha sostenuto a meraviglia la parte della Vendicativa, quantunque di malanimo lo facesse, e chiedesse al popolo scusa, con un Sonetto non mio, di avere un tal carattere rappresentato, imputando a me [p. 478 modifica]la colpa di aver alle Donne appropriato lo spirito della vendetta7. Donne mie gentilissime, non son nemico del vostro sesso, se talora con lieve sferza lo pungo; far lo deggio, perchè la comica arte voi dalla critica non esime. Piacciavi però osservare, che gli uomini non istan meglio nelle mie scene, e che di lodi son prodigo con voi ancora, dove la ragione e l’opportunità lo permetta.8

  1. Questa prefazione, di cui a nessuno sfuggirà l’importanza per la storia del teatro goldoniano, uscì la prima volta nel t. VII dell’ed. Paperini di Firenze, sulla fine del 1754.
  2. Intendesi il manifesto dell’ed. Paperini di Firenze.
  3. Alludesi all’ab. Pietro Chiari.
  4. Qui soltanto comincia la prefazione nell’ed. Pasquali (t. XVI) di Venezia, omesso tutto quel che precede: Di questa mia Commedia mi persuado che contenti esser dovrebbero coloro che ad imitazione delle antiche vorrebbero le moderne Commedie, ritrovando in questa un Protagonista vizioso. Voglio però che si sappia, che io non son persuaso, e spero giustizia ancora dai più delicati, confessando esser vero che molto più grata si renda una Commedia, quando l’argomento di essa è appoggiato ad una virtù non tragica, non severa, come mi esprimo, ma che soffre il lepido, il piacevole, il comico, e che in suo confronto abbia il vizio in aspetto più ridicolo. - La vendetta è cosa odiosissima; valendomi di questo argomento, ho raddolcito il tetro di questo carattere col ridicolo di due collerici, il più violento, il più interessante de’ quali è ridotto a fremere per amore. Per ravvivar questa mia produzione resa tetra dall’argomento medesimo ecc.
  5. Segue nell’ed. Pasq.: da’ quali ne ho ricavato lo scoprimento del mal animo della Vendicativa, non meno che il di lei avvilimento, confessione e gastigo. - Ho preveduta la querela che far potrebbero le Donne, per averle appropriato lo spirito della vendetta. Ma, Donne mie gentilissime ecc.
  6. Maddalena Marliani, più volte ricordata.
  7. Il sonetto era opera di Pietro Chiari, e si legge infatti a pag. 202, t. I, delle Poesie e prose (Venezia, Pasinelli, 1761) dell’abate bresciano: «Finale d’una commedia intitolata - La serva vendicativa. A’ Poeti e a’ Pittor tutto è permesso. - Donne, al giudizio vostro io m’abbandono: - Col far vendicativo il nostro sesso, - Un’onta se gli fa per fargli un dono. - L’ire vendicatrici io spoglio adesso, - Dimentico qual fui, torno qual sono - Sì pronta a perdonar, che a quello stesso - Che odiosa mi fece, io qui perdono. - Per bocca sua parlando arsi di sdegno, - Parlando or qui per la mia bocca il core - L’arte di vendicarsi a tutti insegno. - Amate chi v’offende, e a mio rossore - Se mai v’offese il finto mio contegno, - L’ira in voi finta sia, vero l’amore».
  8. Aggiunge l’ed. Pasq.: Di tal protesta dovreste essere paghe e contente. Voi vivete felici.