La contessina/Nota storica

Nota storica

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Atto III

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NOTA STORICA

Fino ad ora il Goldoni aveva scritto dei semplici Intermezzi per musica, di due o al più tre personaggi: "divertimento per musica" chiamò la Fondazion di Venezia, "dramma eroicomico" o piuttosto "serio-comico" l’Aristide, "dramma comico" o "bernesco"(noi diremmo "parodia") la Lugrezia Romana. Finalmente la Contessina fu la sua prima "commedia per musica". Nella prefazione dell’ultimo tomo (t. XVII) dell’edizione Pasquali, dove racconta le proprie memorie del 1742, poco prima di abbandonare per cinque anni Venezia, dice di aver composto il presente libretto nell’autunno, dopo il ritorno dalla terraferma della compagnia del teatro di S. Samuele. "Si mantenevano ancora in qualche credito gl’Intermezzi; e perciò composi una Operetta buffa per musica, intitolata la Contessina, la quale riuscì a maraviglia" (vedi vol. I della nostra edizione, p. 140). E già nel 1753, nella prefazione dell’edizione Paperini di Firenze, l’autore ricordava la Contessina fra gli altri Intermezzi composti per i comici del San Samuele. Come si vede, il Goldoni non faceva gran distinzione fra l’Intermezzo e la Commedia per musica: probabilmente anche la Contessina fu recitata negli "intermezzi" di qualche commedia dell’Arte. Vero è che i personaggi sono cinque, non due o tre, e fin dalla prima stampa troviamo la divisione in tre Atti, non più in semplici Parti, e ogni Atto è suddiviso in Scene. Ormai l’Intermezzo ha assunto un maggiore sviluppo; è già una vera commediola e può rappresentarsi da sè, sui teatri musicali, come le opere buffe napoletane. Si badi che dopo l’Amante cabala, nell’autunno del 1736, il Goldoni non aveva più scritto nessun altro Intermezzo (salvo i pasticci del Finto pazzo e di Amor fa l’uomo cieco nel ’41), bensì aveva fatto recitare a San Samuele le nuove commedie, il Momolo cortesan, il Momolo sulla Brenta, il Mercante fallito (v. vol. I presente ed.) e ora, nell’anno comico 1742-43, stava creando la Donna di garbo.

È cosa superflua ricordare che "commedie per musica" s’intitolavano anche le opere buffe napoletane, ma in dialetto com’erano e con poco sviluppo musicale, non osarono abbandonare le ridenti spiagge sulle quali erano nate. Maggior fortuna ebbero nella prima metà del Settecento, come abbiamo risto nel volume precedente, le Farsette per musica, o Intermezzi: anzi, musicalmente, è proprio un intermezzo, la Serva padrona (1733) del Pergolesi, che si può vantare come la prima vera opera comica (Della Corte, L’Opera Comica Italiana nel ’700, Bari, 1923, vol. I, p. 64). A Venezia il Goldoni era stato preceduto fin dal 1711 dal Lalli (Sebastiano Biancardi, nato a Napoli: pp. 33-34) che chiamò la sua Elisa "comedia da rappresentarsi per musica" (Scherillo, L’Opera buffa Napoletana, in Collezione Settecentesca [p. 156 modifica]Sandron, 1916, p. 490. Vedi pure Drammaturgia Allacci, Venezia, 1755). “Comi-drama in musica” s’intitola l’Ambizione castigata del Mazzari, nel 1717, e “drama comico in musica” Chi la fa l’aspetti e il Vecchio deluso del Passerini, nel ’17 e nel ’18, e “divertimento comico” la Figlia che canta dello stesso, nel ’19. Altri “divertimenti comici per musica” diede ai teatri veneziani il Buini, poeta e compositore bolognese degno di studio: come le Frenesie d’amore nel ’26, Fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio nel ’31, Chi non fa non falla nel ’32, e nell’anno medesimo l’Ortolana contessa (Groppo, Catalogo di tutti i Drammi per musica recitati ne’ Teatri di Venezia dall9 a. lo37 ecc. sin all’a. presente 1748 e T. Wiel, I Teatri Musicali Veneziani del Settecento, Venezia, 1897). Osservo che l’elemento comico sembra di nuovo esulare dai teatri musicali di Venezia per un decennio, dopo il ritorno definitivo di Ap. Zeno da Vienna, mentre per alcuni anni, specialmente dal 1734 al ’36, e poi di nuovo nel 1741, dopo la prima recita pubblica sulle lagune della Serva padrona (nell’autunno del 1740, a Sant’Angelo), trionfarono le farsette o Intermezzi, specialmente nel teatro comico di San Samuele. Nella fiera dell’Ascensione del 1742 si allestì nel teatrino di S. Moisè la Zanina maga per amore del Buini; e a Sant’Angelo si rividero tre vecchi intermezzi, Monsieur di Porsugnacco, la Serva padrona, l’Impresario delle Canarie e se n’ebbe uno nuovo, Un marito geloso (Wiel). Nel 1743, l’anno in cui fu cantata a San Samuele dalla campagnia comica Imer la Contessina del Goldoni, troviamo improvvisamente un’“opera bernesca” a S. Moisè, l’Orazio (ossia il Maestro di musica, 1734) del Pergolesi, con pezzi aggiunti da Latilla (v. Radiciotti, p. 30); a Sant’Angelo la Finta cameriera del Barlocci, musicata dal Latilla; a S. Cassiano la Libertà nociva e l’Ambizione delusa, musicate da Rinaldo da Capata, e Madama Ciana del Barlocci, musicata da Latilla e Galuppi; e perfino a S. Giov. Crisostomo un vecchio “scherzo comico pastorale”, la Ninfa Apollo (1709) del Lemene, musicata di nuovo dal Bernasconi.

Richiama la nostra attenzione sopra tutte l’“opera giocosa”del poeta romano Giovanni Barlocci, Madama Ciana, ricavata dall’“opera scenica” omonima stampata a Bologna nel 1733, senza nome d’autore (presso Lelio della Volpe); e rappresentata la prima volta a Roma nel 1738 nel teatro Valle, con musica dei maestro Gaetano Latilla; poscia a Venezia, nel 1744, con musica del Latilla e forse, in parte, del Galuppi; quindi nel 1747 a Torino, col titolo l’Ambizione delusa, nel 1748 a Vienna col titolo la Nobiltà immaginaria, nel 1749 a Bologna e poi a Ferrara col titolo Ciana, nel 1753 a Parigi, col titolo les Artisans de qualité o gli Artigiani arricchiti, seguita da una parodia anonima, l’Artisan enrichi (v. Quadrio, Allacci, Ricci, Wiel, Toldo, spec. Piovano in Rivista Musicale Italiana, 1906, pp. 706-707, e 1908, p. 262, Dictionnaire Léris e A. Marandet, Manuscrits inédits de la famille Favart, Paris, 1922, p. 114). - Ciana e Sfrappa, figli di Panicone, ottimo plebeo, montano in superbia e si spacciano arcinobilissimi, ma Sfrappa finisce per isposare la serva Fiammetta e Ciana un falso conte Sgrana, adulatore e parassita, nato contadino. - In questa ridicola favola, a cui s’intreccia l’amore infelice d’una gentildonna povera (Marzia) e d’un onesto gentiluomo (Orazio), scoperse A. De Carli qualche reminiscenza di Molière, specialmente [p. 157 modifica]dalle Preziose (L’influence du théâtre français à Bologne de la fin du XVIIe siècle a la grande Révolution, Torino, Chiantore, 1925, pp. 176-179).

E difficile che il Goldoni nell’autunno del ’42, quando scrisse la Contessina, potesse conoscere Madama Ciana, ma il vanesio conte Baccellone e la figlia sua erano già personaggi notissimi, sotto i più buffi nomi, nel teatro francese del Seicento; e non erano del tutto ignoti al precedente teatro spagnolo. In fatti dal Marquis de Cigarral di don Alonzo Solorzano ebbero orìgine Don Bertrand de Cigarral (1650) di Tommaso Corneille e Dom Japhet d’Arménie (1652) di Scarron. Marchesi ridicoli, nobili di provincia, finti nobili e borghesi gentiluomini formano tutta una gran famiglia, su cui si spande immortale il riso di Molière. Ecco qui, per citare le opere più famose, le Marquis ridicule (1656) di Scarron, le Campagnard (1657) di Gillet de la Tessonnerie, le Baron de la Crasse (1662) di Poisson, le Baron d’Albikrac (1668) e la Comtesse d’Orgueil (1670) di Tommaso Corneille, le Gentilhomme de Reauce (1670) di Montneury, les Nobles de province (1678) di Hanteroche: ma le date veramente storiche sono quelle delle Précieuses ridicules (Mascarille, finto marchese), 1659, di Monsieur de Pourceaugnac, 1669, del Bourgeois gentilhomme, 1670, e della Comtesse d’Escarbagnas, 1671.

Ignoro se già nella Contessa di Barcellona (commedia edita a Napoli nel 1691) di Raffaele del Tauro e nel Conte di Cutro ("dramma civile", Firenze, 1682 e 1698) di Giovanni Andrea Motriglia si trovino spunti comico-satirici: meglio ricorderemo il Barone di Birbanza di Carlo Maria Maggi, edito soltanto nel tomo primo delle Commedie e rime del poeta milanese, nel 1701, ma scritto molto prima. Certo l’efficacia del teatro francese, specialmente di Molière, si avverte in Italia fin dal principio del Settecento; e la satira della nobiltà di campagna e della falsa nobiltà continua fortunatissima per tutto il secolo. Fin dal 1702 Pietro Piperai stampa a Benevento la Contadina Marchesa, commedia in prosa; tra il ’20 e il ’30 a Milano l’ardito marchese Gorini Corio si compiace di sbozzare il Frippon Francese, il Baron Polacco e il conte di Montefiascone (nelle Cerimonie); e il Fagiuoli a Firenze scherza sul conte di Bucotondo (in Nobiltà vuol ricchezza): ma pei teatri musicali il maestro Orlandini scrive le note dell’Artigiano gentiluomo (Firenze, 1722 e 1732: musicato anche dal m. Hasse, Napoli 1726 e Londra 1737, col titolo Vanesio and Larinda, e Venezia 1739, col titolo di Bottegaro gentiluomo: v. spec. Toldo, Molière, p. 431, n. 2), intermezzo del vi, e di Monsieur de Porsugnacco (o Porsugnacco e Grilletta, Milano 1727, Venezia 1727, 1741, 1742, Faenza 1728, Londra 1737, e con musica del cav. Motti, Milano 1735: v. Wiel, Toldo, l. c., Fassini, Il melodr. ital. a Londra ecc. Torino, 1914, p. 117) e il maestro Buini compone l’Ortolana contessa (Venezia 1732). Ricordiamo poi a Napoli alcune opere buffe: il Baron della Tròcciola di Tomm. Mariani, musicato da Gio. Fischetti nel 1736 (dal George Dandin di Molière: Toldo), il Marchese Sgrana di Ant. Palomba, con musica di Auletta, nel 1738 (anche a Firenze, 1742) e il Barone di Zampano del Trinchera, con musica del Porpora, nel 1739 (Schedilo). Un ridicolo gentiluomo è pure il Conte Còpano che dà il titolo a un Intermezzo del noto avvocato Antonio Gori veneziano, recitato probabilmente a S. Samuele [p. 158 modifica] nel 1733 o nel ’34 (v. vol. precedente, pp. 124-125 e p. 56), edito senza data a Venezia e a Bassano; e un finto Marchese si trova nella Conciateste dello stesso, rappresentata colà nel ’35.

Esempi, dunque, a cui ispirarsi il Goldoni ne aveva anche troppi. Nella Contessina, specie di farsa per musica, mise in caricatura l’albagia di un nobile parabolano e della sua degna figliuola, come non ne mancavano a Venezia nella schiera dei barnmaboti, ma più ve n’erano in provincia, delineando il solito contrasto, così frequente nella società e nel teatro del Settecento, fra la nobiltà povera o recente, gonfia di superbia, e la nuova borghesia arricchita, fidente di sè e del suo avvenire. Pancrazio, che somiglia al vecchio Pantalone, fingesi marchese Cavromano (e qui satira e parodia aumentano di forza), ottenendo in tal modo per il figlio Lindoro la mano della Contessina. Qualche punta colpisce il cicisbeismo, poiché la damigella, per seguire la gran legge degli usi aristocratici, si provvede di cavalier servente prima del matrimonio, con poca contentezza del buon Lindoro.

Più di trent’anni fa il Maddalena mise in evidenza il presente libretto e lo analizzò col suo fine garbo (Un libretto del Goldoni, Trieste, 1897: dal Corriere Nazionale di Zara). “Certo l’arte vi è scarsa”: concluse. “Sono le grasse risate d’un borghese allegro e di buon senso sulle smorfie e la cascaggine della nobiltà;” ma “specialmente notevole in questo dramma giocoso è la franchezza, la violenza quasi dell’espressione, a cui il Goldoni ci ha davvero poco avvezzi nelle sue commedie”. Il Maddalena vuol alludere alla satira sociale, già avvertita di volo da Ernesto Masi ne’ suoi studi Sulla storia del teatro italiano nel secolo XVIII (Firenze, 1891, pp. 278-279). Strano che non ne parlasse il Falchi nel libro sugli Intendimenti sociali di C. Goldoni (dove s’accontenta di citare in nota il Maddalena: Roma, 1907, p. 14). Artiglio Momigliano riferì in una sua antologia goldoniana (Le opere di C. G. scelte e illustrate, Napoli, 1914, pp. 64-66) la scena 3 del 1 atto e parte della 4 e della 5; e in nota così commenta: “Questo melodramma ha del buono per il modo come sono ritratti la contessa e il padre: quante altre volte ritorneranno queste figure nel teatro goldoniano!” E dell’argomento svolto nel libretto dice: “Semplicissimo, bene impostato, ma svolto senza misura”. Aggiunge poi di aver scelto un melodramma del 1743 “per far vedere che già allora il C. era capace d’una certa finezza artistica, e che quanto v’è di buono nei suoi melodrammi ha gli stessi caratteri delle sue commedie”.

Tolto il maggior numero di personaggi e di scene, cioè la maggior ampiezza di svolgimento, la Contessina non si distingue per l’arte dagli altri Intermezzi: vi rimane la caricatura esagerata dei caratteri, vi rimane il travestimento di Pancrazio in Marchese. I versi, spesso bruttissimi, tradiscono la consueta facilità e negligenza dell’autore. Anche qui meglio di tutti parla il barcaiolo Gazzetta nel suo bel dialetto veneziano. Eppure lo spirito comico, anche se rozzo, qua e là scoppietta, come nelle farse dell’Arte, e ci strappa qualche sorriso. Ma più di tutto ha importanza storicamente la Contessina, ventanni prima del Mattino di Giuseppe Parini, come satira d’una società che si avviava per la china fatale verso la Rivoluzione. Questo libretto, artisticamente molto umile, ci dimostra che l’ingegno del Goldoni non era nè timido nè cieco, in mezzo alla società del Settecento, come troppi credettero e [p. 159 modifica]ripeterono, copiandosi l’un l’altro. I personaggi della Contessina riapparvero più volte nelle commedie del dottor veneziano, come dobbiamo ricordare, durante i primi cinque anni della riforma teatrale, quando il Goldoni scriveva per il Medebach, ossia per il teatro di Sant’Angelo. Istituita la censura dal governo di S. Marco per le beghe e le imprudenze dell’abate Chiari e dei suoi seguaci, cresciute le accuse dei rusteghi, gelosi del passato e nemici d’ogni riforma, stabilitosi il dottor Carlo nel teatro di S. Luca, agli ordini del nobile Vendramin, dovette per forza abbandonare la satira e dirizzò la sua fantasia verso le false commedie orientali, ma sempre più si piacque delle immortali visioni di costume popolare, nelle quali trovò la sua più felice e potente espressione. Per l’arte non fu dunque un male. Ad altri la gloria della satira: l’anima del poeta veneziano, composta d’indulgenza e di sorridente bontà, respinge ogni amarezza dalle più originali creazioni della commedia e si riconcilia con la società umana, avvolgendone in un’onda gaia e benefica di riso le debolezze e i difetti.

I continuatori veneziani della Drammaturgia di Lione Allacci (Venezia, 1755) indicano come autore della musica della Contessina il maestro romano Giacomo Maccari, del quale abbiamo pochissime notizie (vol. XXVI, pp. 128-129) sebbene musicasse la più parte degli Intermezzi goldoniani. Era zio (?) della nota romanina Costanza Maccari, famosa per il canto, per la bellezza e per la romanzesca avventura con monsignor Zeccadoro (Carletta [Ant. Valeri], Vecchi drammi romani - Un monsignore e una cantante, in Fanfulla della domenica, XIX, n. 21, ossia 23 maggio 1897). Dal 1705 al 1718 cantò Costanza nei teatri veneziani (v. Wiel) e certo in questo periodo anche Giacomo migrò da Roma a Venezia dove poi sempre abitò. Non ci consta che la Contessina del Maccari godesse favore in altre città. Nel 1755 il libretto del Goldoni fu musicato dal maestro Paolo Kurzinger a Monaco (C. Musatti, I drammi musicali di C. G., Venezia, 1902, p. 20: notizia di G. Pavan); e nel 1759 a Milano dal maestro G. B. Lampugnani (v. Paglicci-Brozzi e Musatti cit.); e nel 1766 a Pisa dal maestro Filippo Gherardeschi (Musatti, dal Dizionario inedito del Pavan).

Ma molti anni dopo, nel 1770, quando il Goldoni era da un pezzo in Francia, il poeta e avventuriere livornese Ranieri Calzabigi, trovandosi a Vienna, pensò di riformare a modo suo il libretto del Goldoni e lo fece musicare da Floriano Gassmann, maestro della cappella imperiale (Ghino Lazzeri, La vita e Topera letteraria di R. Calzabigi. Città di Castello, 1907, pp. 24 e 215). Certamente questo libretto, che il Lazzari ci descrisse senza ricordare il Goldoni (pp. 82-84), viene attribuito per errore a Mario Coltellini il quale forse vi aggiunse qualche scena (come fece per la Finta giardiniera: ivi, p. 215). - Gazzetta, servo qui di Lindoro e amante di Vespina, cameriera della Contessina, aiuta la vendetta di Pancrazio, fingendosi genealogista col nome di don Tiritofolo, e poi contadino bergamasco, parente del conte Baccellone. - Nella Biblioteca Palatina di Vienna, oltre al manoscritto della nuova Contessina, si trova anche la traduzione tedesca di Gio. Adamo Miller, Die junge Gräfin oder der Adelsstolz (Lazzeri, 215). La prima recita fu probabilmente a Neustadt, in Boemia, nel 1770 (Musatti, l. c.: dal Riemann), poi a Vienna, nel 1771 (Sonneck, Catalogue ecc.: da Schatz). [p. 160 modifica]Altra recita a Firenze, nel ’72 (v. libretto nel Liceo musicale di Bologna), e altra a Torino col titolo il Superbo deluso (nello stesso anno il Bertati scriveva la Contessa di Bimbimpoli, musicata da Gennaro Astarita a Venezia: v. Rolandi). Nel ’73 si recita a Roma, nel teatro delle Dame, con Musica di Marcello di Capra (il libretto è anche presso la biblioteca del Liceo Musicale di Bologna). Nel ’74 vediamo una recita a Lisbona, col titolo il Superbo deluso e musica del Gassmann (qualche alterazione subì il libretto: v. Sonneck) e una a Brescia nell’agosto, con musica di Gassmann e d’altri (Sonneck) e una a Modena, come sopra (v. Gandini, II, 38); nell’autunno dell’anno stesso si rappresenta a Venezia col titolo di Conte Baccellone e musica del maestro Giacomo Rust (v. Wiel). Scriveva in questa occasione il Giornale Enciclopedico (nov. 1774), diretto da Domenico Caminer e dalla figlia Elisabetta: "Questo libretto è originariamente del signor Dottor Goldoni scritto per intermezzo; fu poi ridotto ad Opera dal Signor Calzabigi col titolo la Contessina. Fu recitato per quasi tutta la Italia con aggiunte ecc., ed è molto ridicolo". Nel medesimo anno anche l’Astarita musicava la Contessina (v. Fétis e altri); e l’anno dopo il giovane Cimarosa. Un’altra recita della Contessina ebbe luogo a Verona, nel ’75, con musica di Niccolò Piccinni: il libretto porta il nome del Coltellini (v. Sonneck e Schatz). In questo anno si diede pure a Dresda, con musica del Gassmann (v. Wotquenne). Una Contessina si cantò poi a Bologna nel 1778 con musica di Astarita, Cimarosa, Gassmann (Musatti, l. c., e la Contessina del Gassmann riapparve nell’anno stesso nel teatro di Kjòbenhavn (Sonneck). Una Contessina troviamo a Parma nel 1779 (v. P. E. Ferrari) e a Rimini nel 1780 (libretto presso il Liceo Musicale di Bologna) e a Pavia (con musica del Gassmann) nel 1782 (Bustico, Drammi, cantate ecc. di C. Goldoni, 1925, p. 28). Una fortuna più strepitosa non potevano augurarsi il conte Baccellone e la sua vana figliuola; ma non credo che se ne rallegrasse molto Carlo Goldoni, saccheggiato e maltrattato da poetastri e da compositori, senza lode e senza frutto.

Dopo la stampa dal 1743, fatta a Venezia dal Fenzo, di cui si vede l’intestazione a p. 117, la Contessina fu raccolta dal Tevernin nel t. IV (1753) delle Opere Drammatiche Giocose di Polisseno Fegejo P. A., e fu riprodotta a Torino nella ristampa dell’Olzati, t. IV (1757). Ignoro se il libretto fosse ristampato a Milano per la recita del 1759 e a Pisa per quella del 1766. Uscì a Lucca, nel tomo V della Biblioteca Teatrale Italiana scelta e disposta da Ottaviani Diodati patrizio lucchese, in Lucca, 1762, per Gio. Della Valle. Finalmente la ritroviamo nel t. 38 (t IV, cl. IV) delle Opere Teatrali del Goldoni edite dallo Zatta a Venezia, il quale porta la data del 1769. Delle stampe dell’Ottocento qui non mi curo.

G. O.