La cieca di Sorrento/Parte sesta/VI
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VI, ED ULTIMO
il tramonto del sole.
Dopo il giorno del consulto, altri dì passarono senza grandi cangiamenti nello stato di salute di Beatrice, tranne che la famiglia, in obbedienza delle prescrizioni dei medici, dispose l’inferma si fosse confortata cogli aiuti della Religione, cui ella si prestò con sentimento di angelica rassegnazione.
I medici del consulto ritornarono dopo vari giorni e trovarono che il male di Beatrice, non essendosi molto avanzato, offriva però una lontana speranza di guarigione: ciò nulla di meno esortarono il Marchese Rionero a non abbandonarsi a così fatta speranza, la quale avrebbe potuto ingannarlo con maggiore strazio del suo cuore.
Il Marchese, dopo l’orrenda prognosi fatta gli da’ medici, più non era che lo spettro di sè medesimo; egli avea dato giù di tal maniera che la sua esistenza parea sostenersi soltanto per la forza del dolore... Sembra talvolta impossibile che l’uomo non soccomba all’eccesso dei patimenti, ma negli estremi dolori vien dal cielo un’ignota energia, una possanza di lotta, una forza morale che ha pur le sue voluttà, la sua compiacenza: l’aspettativa dei mali è terribile e mortale, ma la certezza di una sventura ravviva il coraggio, rialza l’uomo e il nobilita.
Il Marchese ora ormai certo dell’orrenda sventura che lo avrebbe colpito; poco s’illudeva sulla guarigione della figliuola, avvegnachè tutt’i rimedi che la scienza sa dettare le fossero apprestati. Questa volta il misero padre non permetteva a nessuno della famiglia quelle minute cure che lo stato dell’inferma richiedeva: tutto di presente egli volea far da sè medesimo, nè mai, per qualsivoglia cagione, si rimovea dal letto dell’amatissima figliuola. Con occhio secco ma stralunato e delirante, egli guardavala incessantemente e come si guarda un oggetto carissimo che tantosto si dovrà perdere per sempre. Quali erano i suoi sentimenti rispetto a Gaetano? Mal potremmo dirlo... Il Marchese comprendea che la precipua cagione della infermità di Beatrice era il figliuol di Pisani; senza volerlo, costui gli rapiva la figliuola, come il padre di lui gli avea morta la sposa. La scena dell’anello avea gittate nel seno di Beatrice il germe dell’atroce morbo che le troncava lo stame di vita; l’impression dolorosa che l’aspetto di Gaetano produceva sull’animo di lei per effetto di quel creduto sogno, è che mantenea sempre viva l’eccitazione mentale della fanciulla, avea di poi potentemente contribuito a sviluppar quel male onde la donzella si morìa. Queste cose non si dissimulava Rionero; laonde ben giusto era il sentimento di ripulsione che avrebbe dovuto ispirargli Gaetano... Ma questi non avea forse voluto, col nobile sacrificio di sè stesso, rimuover per sempre ogni ostacolo alla vita e alla felicità di Beatrice? Non era stato egli stesso (Rionero) quegli che gli avea comandato di vivere e di ravvicinarsi alla figliuola, nella speranza di salvarla? Non soffriva il povero Gaetano la più crudele espiazione, il più profondo dolore? Non era questi tutto amore, tutto abnegazione, tutto dilicatezza inverso quella famiglia? D'altra parte, Rionero avea nelle sue mani la sorte di quell'infelice: con una parola egli avrebbe potuto allontanar per sempre Pisani da Sorrento; con una parola lo avrebbe deciso a sparire anche dal mondo... Ma Rionero non potea rinnunziare alle affettuose tendenze del suo cuore per un basso desiderio di stolta ed inopportuna vendetta.
Dal suo canto, Gaetano, suspicando in sulle prime, esser egli la cagione della tristezza e del male di Beatrice, avea pensato di allontanarsi per sempre... Ma un tal pensiero si dissipava all’idea che, morta Beatrice, il Marchese sarebbe rimasto solo... solo in sulla terra, mentre egli (Gaetano) avea giurato di consacrare il resto de’ suoi giorni per la felicità di quell’uomo. Oltracciò, egli era nel dovere di vegliare giorno e notte, di esaurire tutti i lumi della scienza per proccurare di strappare la giovinetta al morbo che la divorava. Allontanarsi!... Gaetano sentiva che questo gli era impossibile; egli avrebbe potuto rinunziare alla vita, ma viver lontano da Beatrice, da Rionero!
Tali erano la posizione e i sentimenti di Rionero e di Gaetano. Questi due esseri presentavano ormai due tipi che tanto onoran la specie umana: il primo, l’uomo esemplare, evangelico, sempre grande e sublime, anche in lotta con l’avversità e col dolore, il secondo, l’uomo nobilitato dal pentimento e dalla gratitudine, l’essere rialzato dal fango dell’avvilimento, e capace di ogni più eroica virtù!
Il rimanente de’ personaggi che circondavano Beatrice non cessavano un sol momento di attestarle tutta quella calda amicizia che le virtù e le sventure di lei ispiravano.
Un giorno (eran circa le sei dopo il mezzodì) Beatrice si destò da un sonno che avea fatto, ma così placido, così sereno come se destata si fosse ne’ suoi giorni di freschezza e di salute.
Le guance erano leggiermente colorate, lo sguardo più vivo e meno annebbiato da foschi e sinistri vapori...
La famiglia che le stava d’attorno la vide a destarsi con tanta placidezza e muover sorridendo gli occhi amorosi su tolti quelli che la circondavano; una speranza rinacque nel cuor di tutti; un lampo di gioia sfavillò negli sguardi che scambiaronsi Rionero e Gaetano sulla fronte di Beatrice, nel suo sguardo, su tutta la sua fisonomia vagava qualche cosa di straordinario come sul volto di un artista nel momento di afferrare un concepimento divino... Le sue pupille si issarono lungo tempo nel padre, poscia su Gaetano, indi su Geltrude, su Carolina, sulle cameriere: quelle pupille aveano un linguaggio solenne: in quello sguardo fisso, incantato, in quello sguardo pregno di amore e di vita che dardeggiava dal volto immobile di un cadavere, in quello sguardo, luce dell’anima immortale vicina a sprigionarsi da’ suoi ceppi mortali, era un mistero inenarrabile, una potenza di affetti, uno sfogo di lacerante tenerezza.
Rionero, Gaetano, Carolina, Geltrude rimanevano affascinati da quello sguardo... Pallidi, muti, il cuore battea loro con forza estrema ed aspettavano anelanti che la fanciulla avesse loro rivolta la parola.
Beatrice non indugiò a far adire la sua voce.
— Che giorno è questo? ella chiese.
— Il 15 agosto, le rispose il padre... è il giorno dell’Assunzione, figlia mia... La Madre di Dio ci accorda la grazia di ridonarti a noi.
— Bel giorno!! Oh... n’ero sicura... la Vergine esaudisce le mie preghiere... Salve o Regina, Madre di Misericordia... mormorava con fioca voce la giovinetta: il resto della prece passò sulle labbra di lei, ma non nelle orecchie degli astanti.
Pochi minuti passarono in silenzio.
Beatrice fece con la mano un gesto al padre dicendogli che si fosse più avvicinato a lei. Rionero accostò il suo volto a quello della figlia, la quale gli disse alcune parole all’orecchio.
Il Marchese pregò Carolina e gli altri famigliari di allontanarsi.
La fanciulla restò sola col padre e con Gaetano.
— Avvicinate il mio letto più dappresso al balcone, disse l’inferma, fate che io vegga il ciclo, le colline... gli alberi.
Il Marchese e Gaetano si affrettarono di appagare i desiderii di lei.
Il sole tramontava dietro i colli di Napoli: il suo disco di fuoco si era fermato sulla più alta vetta di essi, e salutava di un estremo addio il sereno golfo di Sorrento. La volta del cielo si riposava nella mitezza del suo azzurro dalle ardenti fiamme onde l’astro del giorno l’avea incendiata per lunghe ore, se non che, a seconda che il sole spariva sotto la porpora e l’oro, si andava spiegando lo quella parte dell’orizzonte il ventaglio de’ suoi raggi che ritti si levavano nell’aere puro come l’aureola di un genio.
Il tramonto di un giorno estivo è la più pura immagine della morte di una vergine: la volta del cielo rimane bella e serena ma fredda; nulla vi manca fuorchè la luce; così il corpo della vergine si riman bello e sereno ma freddo, nulla vi manca, fuorchè l’anima.
E Beatrice, fattosi adagiare il capo sopra un macchio di guanciali, guardava il tramonto del sole, assorta in estasi divina. Le sue mani riposavano, l’una in quelle del padre, l’altra in quelle di Gaetano.
— Che cosa è questa luce che mi circonda?.. diceva la giovinetta parlando lentissimamente e cogli occhi rivolti sul lontano orizzonte... Oh è troppa luce! Come è pallido il sole in mezzo a quei fiume di splendore!... Oh quante stelle si aggirano sul mio capo! Ecco... si aprono questi astri lucidissimi... la volta del cielo si dischiude... Ascoltate... ascoltate che melodia di arpi!... Chi è che mi solleva dal letto? Ah! sei tu, madre mia... Che tu sii benedetta, io ti aspettava... Come sei bella! Sollevami... sollevami nelle tue braccia; fammi recitare l’Ave Maria... Sostienmi, madre mia, oh come son debole! Quanto ho sofferto!... Oh io non posso! Le mie membra si rifiutano, sono stanca... stanchissima! Ah... non mi lasciar, madre mia non mi lasciare... Ecco, son caduta!...»
Beatrice si tacque... Il suo respiro era corto, affannoso, convulsivo. Rionero la chiuse nelle sue braccia.
— Figlia, Beatrice, rientra in te... Dinne se alcuna cosa brami... Guarda tuo padre...
E veggendo che la figliuola il guardava trasognata, Rionero proruppe in lagrime.
— Coraggio, sig. Marchese, diceagli Gaetano; ricordate che la malattia di questa cara creatura riconosce la precipua ma cagione nell’eccitabilità nervosa: il vaneggiamento è quindi naturale.
Beatrice sollevò alquanto il capo: le sue pupille luccicarono ancora di viva luce:
— Oh... chi è mai quel Cavaliere che monta su per il colle? Il sole gli sta a’ piedi... Come è bello!... Vedete le piume del suo cappello, sembrano due iridi... E perchè si ferma adesso? perchè mi guarda?... Egli mi saluta... Lo riconosco... Ma or più nol veggo... si è dileguato!!...
Beatrice ripiombò su i cuscini e prese quell’atteggiamento che soglion prender gli infermi allorchè si avvicina l’ora estrema...
Gaetano trasse a sè il Marchese che non volea dipartirsi dal fianco della figlia.
— In nome di Dio, signore, in nome di vostra figlia, per la memoria di vostra moglie... allontanatevi, signor Marchese...
— Allontanarmi da mia figlia!...
— Ella si muore, sig. Marchese... È necessario scacciar dalla sua mente ogni profano pensiero...
— Mia figlia si muore!... mia figlia si muore! ripeteva stupidamente il Marchese, e parea come se non avesse compreso il significato di queste parole.
Gaetano suonò il campanello.
— Un sacerdote... presto... un sacerdote.
Il Parroco di Sorrento venne di persona.
Il Marchese Rionero e Gaetano si allontanarono per poco.
Il casino risuonava di pianto e di preghiere.
Mezz’ora passò.
Il Parroco entrò nelle stanze interne ad avvertire la famiglia che Beatrice era del tutto preparata al solenne passaggio... ma che questo non sembrava così imminente.
La famiglia fu di bel nuovo a’ suoi fianchi.
L’inferma chiese da bere.
Poco stante, ella spalancò gli occhi, guardò intorno a sè.
— Padre... Padre mio, esclamò, dove sei?... Oliviero... Carolina... dove siete?
— Siam qui, figlia mia, vicini a te... la Vergine Assunta ci farà la grazia di ritornarti a noi...
— Oh... io più non vi scerno!... Abbracciami, padre mio... fa... che io senta... il tuo volto... le tue labbra... sulla mia fronte... io... più non veggo... Padre, padre mio, non mi abbandonare... io moro... vado a raggiungere... mia madre... ella mi aspetta... son pur... felice!... La Madre di Dio... ha esaudito... le mie preghiere... Oggi... è il giorno dell’Assunzione!... Oh... perdonami, padre mio... Oh quanto... hai sofferto per me!... Iddio ti renda... felice... E tu, Oliviero stringi la mia mano... io ti... ringrazio della luce... che desti agli occhi miei... ti ringrazio dell’amore che avesti per me... tu sei nobile... sei generoso... perdona... ah... io ti amava... Ci rivedremo... sposo mio, ci rivedremo... Carolina, Geltrude amiche... mie, addio... abbiate... di me memoria... Oh... mi assista Iddio... anima di mia madre... vieni, assistimi... Confortami... Ah!... come soffro!... mi... sento... strappare... il... respiro... mi sento raffreddar... tutta... addio... addio... padre... padre mio... Abbracciami... e perchè ti allontani?... Ah!.. pad... re...
Beatrice più non parlò...
Gaetano prese il polso dell’inferma, le toccò il cuore...
— È morta! sclamò ìndi... morta!...
Un grido straziante fu udito, al quale succedette un silenzio di tomba.
Poco stante il marchese Rionero con occhi deliranti si alzava dalla sedia a bracciuoli su cui era caduto fulminato dal suo dolore e si slanciava sul corpo della figlia...
Gaetano il respinse.
— Scostatevi, gridò questi con ruggito di leone, scostatevi... Nissuno ha ormai il dritto di abbracciare il primo questo cadavere... Signor Marchese, questa donna ormai mi appartiene; essa è mia, soltanto mia... Io son suo marito... Io son geloso di questo cadavere... Vieni, sposa mia, diletta Beatrice, anima cura, vieni... e che io senta una volta almeno questo mio cuore battere contro il tuo, or che è freddo e immobile... Ch’io possa una volta almeno avvicinare le mie labbra alle tue, or che morte vi ha passato l’eterno suo ghiaccio.
Gaetano si abbandonò sul corpo di Beatrice, baciò mille volte quelle gelide labbra...
Più tardi, tutto era silenzio in quella camera. Beatrice più non vi era.
La stanza nuziale fu coperta di funebri tele. La sposa intatta riposava in su magnifica bara rischiarata da moltissimi ceri.
Gaetano entrò nella stanza del marchese Rionero.
— Signore, gli disse questi, ecco il segreto della tristezza di Beatrice... ecco la parola dell’enigma.
Così dicendo gittava sul tavolo il ritrattino che la fanciulla avea trovato nella stanza della madre e che ella con cura grandissima custodiva sotto i guanciali del suo letto.
Rionero rimase per qualche tempo muto e pensieroso, indi con voce solenne:
— Nessun pensiero che non sia santo e puro contamini mai quell’anima cara... L’originale di questo ritratto è morto da anni moltissimi... Egli era... il fratello di mia moglie.
Quel ritratto era di Errico Monfort.
riepilogo.
Pochi minuti di poi che le spoglie di Beatrice furono trasportate all’eterno riposo Gaetano entrò di bel nuovo nella stanza dei Marchese.
— Tutto è finito, signore... Che più ci rimane?
— Un eterno dolore e la sua memoria.
— E chi colmerà ormai il vuoto d’un’esistenza a noi sì cara?
— Iddio... I nostri doveri non sono ancora compiuti, Oliviero; i miseri, gli egri e i sofferenti han d’uopo di noi; andiamo, ci resta ancora qualche cosa da smaltire a pro dell’umanità, a me le dovizie, a te la scienza... Noi abbandoneremo questa terra, ma non già il mondo... Iddio e Beatrice ci comandano di vivere.
— Uomo sublime! esclamò Gaetano cadendo a’ suoi ginocchi, lascia ch’io baci la polvere che tu calpesti.... Tanto dolore e tanta virtù! Dio, Dio mio, la mia ragione si confonde... abbi pietà di noi... pietà di me!...
— Alzati, Oliviero... tutto ancora non è perduto per noi sulla terra; ci rimane a te un padre, a me un figlio. Vieni abbracciami, figlio mio, consacriamo il resto de’ nostri giorni a piangere Beatrice e ad onorarne la memoria amando e consolando i nostri fratelli che piangono.
Otto giorni dopo la morte di Beatrice, due passeggieri, immobili sul cassero dei battello a vapore, piangendo salutarono per l’ultima volta le colline di Napoli. La meta del loro viaggio era l’America.
Quei due passeggieri erano il marchese Rionero e Gaetano Pisani.
fine del romanzo.