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della Religione, cui ella si prestò con sentimento di angelica rassegnazione.

I medici del consulto ritornarono dopo vari giorni e trovarono che il male di Beatrice, non essendosi molto avanzato, offriva però una lontana speranza di guarigione: ciò nulla di meno esortarono il Marchese Rionero a non abbandonarsi a così fatta speranza, la quale avrebbe potuto ingannarlo con maggiore strazio del suo cuore.

Il Marchese, dopo l’orrenda prognosi fatta gli da’ medici, più non era che lo spettro di sè medesimo; egli avea dato giù di tal maniera che la sua esistenza parea sostenersi soltanto per la forza del dolore... Sembra talvolta impossibile che l’uomo non soccomba all’eccesso dei patimenti, ma negli estremi dolori vien dal cielo un’ignota energia, una possanza di lotta, una forza morale che ha pur le sue voluttà, la sua compiacenza: l’aspettativa dei mali è terribile e mortale, ma la certezza di una sventura ravviva il coraggio, rialza l’uomo e il nobilita.

Il Marchese ora ormai certo dell’orrenda sventura che lo avrebbe colpito; poco s’illudeva sulla guarigione della figliuola, avvegnachè tutt’i rimedi che la scienza sa dettare le fossero apprestati. Questa volta il misero padre non permetteva a nessuno della famiglia quelle minute cure che lo stato dell’inferma richiedeva: tutto di presente egli volea far da sè medesimo, nè mai, per qualsivoglia cagione, si rimovea dal letto dell’amatissima figliuola. Con occhio secco