La chioma di Berenice (1803)/Considerazione XI
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considerazione xi
Corona d’Arianna.
D’Arianna abbandonata da Teseo vedi in Catullo nell’epitalamio di Thetide, v. 164 e Tibullo, lib. iii, elegia vi, 39
Gnosia, Theseae quondam perjuria linguae
Flevisti ignoto sola relicta mari.
Properzio nell’elegia a Bacco, lib. iii, xvii, v. 7
Te quoque enim non esse rudem testatur in astris
lyncibus in coelum vecta Ariadna tuis.
Della costellazione parlano Manilio (lib. v, v. 262) e Virgilio, Georg. i, 223:.
Gnosiaque ardentis decedens stella coronae.
E l’Alighieri tocca questa favola nell’Inferno (canto xii, vers. 20), e descrive la costellazione della corona nel Paradiso (canto xiii, 14). Ma spesso e più a lungo ne canta Ovidio; l’amore e il tradimento di Teseo è passionatamente dipinto nell’eroide x, la più bella forse dopo l’epistola di Saffo a Faone, e da cui l’Ariosto derivò la sua Olimpia abbandonata. Non so dire quale mistero velasse questa corona nella teologia degli antichi. Si dice che Vulcano la compose d’oro e di gemme, con le quali Teseo diradando le tenebre del laberinto sia uscito salvo. Igino riferisce (lib. ii, 5) che fu donata da Bacco ad Arianna come dono di amore, ed Ovid. metam. lib. viii, 176-
— Desertae et multa querenti,
Amplexus et opem Liber tulit: utque perenni
Sidere clara foret, sumtam de fronte coronam
Immisit caelo: tenues volat illa per auras,
Dumque volat, gemmae subitos vertuntur in ignes:
Consistuntque loco, specie remanente coronae:
Qui medius Nixique genu est, anguemque tenentis.