La chioma di Berenice (1803)/Coma Berenices/Versi 7-10

Coma Berenices - Versi 7-10

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Idem me ille Conon coelesti lumine vidit
     8E Bereniceo vertice caesariem
Fulgentem dare; quam multis illa Dearum,
     10Laevia protendens brachia, pollicita est;

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varianti.

Verso 7. Principe, edizioni 1487, 1488, coelesti munere. Aldine, Guarino, Ernesto numine. Stazio nomine. Valcken. Santeno coelestum munere. Volpi in lumine. — Verso 8. Principe e Boroniceo, altra corsiniana Ebore niteio. Tanaquillo Le-Fevre E Beroniceae come i greci Penelopea, Issipilea. Tutti quattro mss. Ambrosiani sono corrottissimi.

Verso 9. Vossi, Volpi, Doering e talun’altra edizione di minor conto Deorum. Le altre ed i 4 mss. Ambrosiani Dearum.

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note.

Idem me ille. I due pronomi e nel latino, e presso gli italiani qualificano la fama di chi si nomina.

Vertice. Berenice non consecrò tutte le chiome, ma le più cospicue che scendeano dalla cima del capo: vedi anche verso 51. Non riconosce la Crusca la parola vertice in questo significato. L’ho usurpata nella mia versione; ch’io altra voce non trovo che risponda alla latina, ed all’immagine; e so che moltissime cose belle ha la Crusca, e molte non ha. E questa cade da materno fonte.

Multis dearum. Il frammento originale, che riporteremo qui sotto, dice θεοῖς Dei e Dee ., voce promiscua. Calvo presso Servio pollentemque Deum Venerem. Italianamente Numi. E le chiome erano in custodia delle Dee, di che ti sarà detto nella considerazione iv.

Pollicita est. Frequenti sacrificj di chiome celebrano le antiche memorie; niuno, ch’io mi sappia, per la salute [p. 78 modifica]del marito. Ond’è singolare il voto della regina, e pieno di amore.

Parte di questo e dell’antecedente distico serbasi originale nello scoliaste di Arato.

     Ἡ δὲ Κόνων μ´ ἔβλεψεν ἐν ἠέρι, τὸν Βερενίκης
          Βόστρυχον, ὅν κείνη πᾶσιν ἔθηκε θεοῖς.
E Conone me vide nell’etere, me di Berenice
     Chioma ch’ella a tutti sacrò i Numi.

Taluni credono che Catullo di questi due versi, parafrasando, n’abbia fatto quattro. Ma chi proverà che nel greco non vi succedesse il Laevia protendens brachia, lode fine non solo delle belle braccia di Berenice, ma pittura di una mossa calda di passione? Aggiungi ch’era rito de’ supplicanti. Coelo supinas si tuleris manus nascente luna; Oraz. od. 23 lib. iii. — Brachia tendens; Tibullo lib. iii. 4 vers. 64 ed altrove. — Tendens ad sidera palmas; Virgilio eneid. i: altrove, dextramque precantem protendens. — Quando i lottatori alzavano le mani si davano per supplichevoli e vinti; Teocrito, inno in Castore e Polluce vers. 129, ed Ovidio più chiaramente

Confessasque manus obliquaque brachia tendens
Vincis, ait, Perseu.

Onde era vietato a’ giovinetti spartani di alzare le mani ne’ ludi gimnici quando anche fossero caduti vinti. (Plut. in Licurg. Senec. de benefic. lib. v cap. 5). Al costume de’ vinti supplichevoli mirò il Petrarca in que’ versi trascurati da’ chiosatori,

     Or, lasso, alzo la mano; e l’armi rendo
     All’empia e violenta mia fortuna.

Frattanto il Valckenario non reputa genuino distico catulliano questo. Per tre ragioni: 1. perchè il multis Dearum [p. 79 modifica]escludendo alcuna Dea, non era da presumere che Berenice volesse attirarsi la vendetta de’ numi trascurati. 2. Perchè il fulgentem clare non può appartenere alla costellazione Berenicea che è più oscura di tutte le sue vicine: quasiché i poeti non abbelliscano sempre il loro soggetto e questo componimento debba essere un diario astronomico. 3. Perchè gli interpreti devono sempre dire alcuna cosa di strano, e questa ragione, benché implicita, non ha risposta.