La casa del poeta/Vetrina di gioielliere
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VETRINA DI GIOIELLIERE
Era la prima volta che la sposina usciva sola e senza scopo, così, per pigliarsi un po’ di sole lungo la grande strada parallela alla viuzza quasi popolare dove lei e il suo giovane marito avevano trovato il loro modesto ma felice nido. Anche in questo nido — due camere e cucina, al terzo piano di una vecchia casa riattata — penetrava un po’ di sole; ed ella n’era uscita timidamente, anzi con una certa trepidazione, come se vi lasciasse dentro dei bambini incustoditi, o un tesoro in pericolo di venir rubato; ma una volta giù, nella via traversale e poi nella grande strada sfolgorante di sole, di insegne, di cristalli e di vetrine, era stata vinta dall’ebbrezza della città in quell’ora del pomeriggio autunnale, quando solo la gente sana, che non ha molto da fare e da pensare, si gode la dolcezza di andarsene in giro senza altro scopo che quello di passare il tempo. Ella camminava dunque con calma e prudenza, risalendo il largo marciapiede a destra, con l’intenzione di non attraversare la strada: si divertiva anzi a guardare i gruppi di gente ferma ad aspettare il tranvai e, quando questo arrivava, a vederne la discesa e l’assalto dei passeggeri, le gambe ben calzate delle donne, i loro visi dipinti, le coppie che proseguivano il loro viaggio a piedi.
Ecco appunto una bella coppia classicamente moderna e cittadina, che balza ridendo sul marciapiede e cammina davanti a lei che ne rimane come abbagliata. L’uomo è alto, giovanissimo, bianco e biondastro, vestito tutto inappuntabilmente in grigio: la donna è piccola; sembra una bambina, ma una bambina perversamente precoce: magra, vestita di verde, con gli occhi verdi rifulgenti nel viso truccato in pallido, e che ricorda alla sposina campestre la perfida mantide religiosa che saltella intorno al maschio bonaccione. Ma in fondo ella l’invidia e l’ammira. Ecco una donnina che si gode e si godrà la vita in tutti i suoi sensi: che non avrà mai figli, e denari sempre; e mai invecchierà. Tutte le cose belle saranno sue: e Dio sa com’è bella la sua casa.
A questo pensiero la sposina trasalì: ricordava la sua casetta lasciata sola, con le piccole cose che aspettavano il suo ritorno; il sole che scivolava piano piano dalla camera da letto, quasi gli dispiacesse di andarsene; la cucina silenziosa, il fuoco spento: e le parve di commettere peccato e offendere Dio seguendo con cattivi pensieri — forse desideri — la scia di profumo dell’altra donna.
Eppure ella era trascinata da quella scia come da una rete pericolosa: e, quasi senza volerlo, anche lei si fermò, quando la coppia si fermò, davanti alle vetrine di un gioielliere.
Dapprima ebbe l’impressione che tanti occhi la guardassero, dietro i cristalli che partecipavano anch’essi alla natura dei gioielli custoditi: occhi di zaffiro e d’onice, di smeraldo, di opale; ed anche di rubino: occhi, questi, di passione, di avidità, di una cupa e sanguinante gioia di vivere: occhi che, pur di avere tutta l’indefinibile ricchezza che offre la città, non si chiudono davanti al mostro del delitto.
E la sposina chiuse i suoi, un momento, abbagliata e quasi presa da uno smarrimento di terrore.
L’altra invece rideva, i suoi denti scintillavano più delle collane di perle, e con la guancia rasente a quella del suo compagno, protesi tutti e due verso il cristallo come a bere in una fontana, diceva con la sua voce canora:
— Guarda, Nino, è proprio eguale a quella che hai ordinato tu.
Risponde la voce calda di lui:
— Lo vedo bene: e questo mi secca.
— Ma perchè? Quando il valore...
La frase è spezzata dall’urto e dal mormorìo di una folla che d’improvviso si rovescia sul marciapiede. Grida, proteste, risate, imprecazioni. Un tranvai ha deragliato e gli altri che lo seguono sono costretti a fermarsi in una lunga fila che alla sposina sembra una costruzione di casette ambulanti.
Ella si diverte di nuovo a guardare: la coppia elegante è sparita, ingoiata dalla folla; ma quante altre belle donnine le sfilano davanti: gambe d’argento, bocche di porpora, occhi simili a quelli della vetrina del gioielliere: e quasi tutte hanno, come agili Diane in veste succinta di caccia, gettati sull’omero, volpi, martore, ermellini che forse un giorno furono conigli, ma che a lei sembrano davvero ermellini.
E di nuovo si sente smarrita, provinciale e quasi vecchia in mezzo a quel mondo di movimento e di bellezza.
*
La sera, nella lucida cucina che serviva anche da sala da pranzo, ella raccontò le sue impressioni al marito. Non era più mortificata, ma neppure serena come le altre sere: le rimaneva negli occhi un riflesso delle cose vedute, quasi le avesse vedute per la prima volta. Il marito, sebbene anche lui d’origine contadinesca, era molto più esperto di lei: anzi, aveva nel viso acuto, nella bocca sottile, tutta la furberia maliziosa e allegra dell’uomo campestre diventato abile cittadino.
— Ah, la vetrina al numero 222: eh, la conosco.
Senza guardare la sposa, anzi col viso basso sul piatto colmo di un certo risotto dorato che era una delle specialità culinarie di lei, egli scuoteva la testa e sorrideva. Sorrideva alla buona vivanda; sorrideva per l’ingenuità appassionata della sposa, ma sopratutto perchè si sentiva profondamente felice. Disse poi:
— Tutte quelle donnine? Belle, vero; fiori di canagliette, poveracce: non metterti in mente d’invidiarle: tu non conoscerai mai le loro lagrime.
— E chi le invidia?
— Beh, di’ la verità, però: un anello, almeno uno, te lo hai desiderato.
Ella guardò i piccoli anelli che aveva alle dita, e spalancò gli occhi meravigliati in viso allo sposo.
— Ma ti pare? Chissà quanto costano.
— Di’ la verità, bambina: qualche cosa l’hai pure desiderata.
— Ebbene, sì, te lo dico: c’è un nidino d’oro con dentro i pulcini d’oro.
Egli la guardò: era tutta rossa in viso, sfavillante di sincerità. E anche il viso di lui, gli occhi celesti, le ali dei suoi capelli dorati si illuminarono di una gioia che era anche l’allegria di uno che vuol combinare una burla.
*
Disse, con esagerata serietà:
— Il nido: i pulcini. Simbolo ottimo. Questi sentimenti altamente ti onorano: e avranno il loro meritato guiderdone.
Ella era abituata ad esser presa in giro da lui: quindi gli sbattè lievemente sulle spalle la salvietta e protestò ma senza forza:
— Adesso basta con le tue ironie.
*
Ma egli parlava sul serio: e un giorno, il giorno della festa di lei, — l’ora dei suoi venti anni, — entrò nella piccola casa il nido d’oro con dentro i pulcini d’oro: il tutto grande come un mezzo guscio di nocciola.
Ella aprì la scatoletta indovinando quello che conteneva; e non parlò: ma stette a lungo tranquilla a guardare il dono, come si trattasse di una conchiglia o di un fiore: poi si alzò di scatto e si mise a ballare. E pareva lo facesse anche lei per burla, per imitare i modi del marito; ma era veramente per una gioia infantile e profonda. Egli disse:
— Ecco la vera felicità.
Ed ella pensò che nessuna delle donnine che si fermavano davanti alla vetrina del gioielliere sarebbe mai stata davvero felice come lei.
*
Eppure, ogni volta che usciva sola e faceva la solita passeggiata senza mai decidersi ad attraversare il fiume travolgente e rumoroso della strada grande, si fermava davanti alla vetrina, forse più pericolosa ancora della strada. Un altro nido aveva sostituito il primo: lei, naturalmente, non lo desiderava più, ma era un po’ gelosa che altri potesse averlo. Il nido però rimaneva lì; nessuno pensava di comprarlo; e le donne che guardavano la vetrina come si guarda il cielo stellato, non lo vedevano neppure.
Solo un pomeriggio di novembre, già umidiccio e giallo, una bambina con un funghetto verde in testa disse alla signora ancora giovane che l’accompagnava:
— Lo vedi il nidino? Me lo compri per la mia festa? Me lo compri, vero? Di’ che me lo compri; ma su, dillo!
— Santa pazienza — rispose la donna. — C’è tempo ancora: eppoi, che te ne fai?
— Così, mi ci diverto. Eppoi, cosa vuoi che costi?
— Costerà, costerà.
— Ma che costare! Se tutta la roba che c’è qui è falsa.
La donna lo sapeva, e quindi non protestò nè dimostrò sorpresa. Chi cadde da un’altezza prodigiosa e protestò con violenza fu il cuore della sposa. Ah, traditore, imbroglione e turlupinatore di un marito!
Ma il furore le passò lungo la strada, si disperse col profumo delle belle donnine, si fece a poco a poco consolazione e allegria: e quando fu alla svolta per tornare a casa, ella si volse e guardò la folla che passava sui marciapiedi come la vedesse per la prima volta. E la vedeva, sì, per la prima volta, nella sua crudele realtà: come le gemme e gli ori falsi nella vetrina del gioielliere.