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ziosa e allegra dell’uomo campestre diventato abile cittadino.
— Ah, la vetrina al numero 222: eh, la conosco.
Senza guardare la sposa, anzi col viso basso sul piatto colmo di un certo risotto dorato che era una delle specialità culinarie di lei, egli scuoteva la testa e sorrideva. Sorrideva alla buona vivanda; sorrideva per l’ingenuità appassionata della sposa, ma sopratutto perchè si sentiva profondamente felice. Disse poi:
— Tutte quelle donnine? Belle, vero; fiori di canagliette, poveracce: non metterti in mente d’invidiarle: tu non conoscerai mai le loro lagrime.
— E chi le invidia?
— Beh, di’ la verità, però: un anello, almeno uno, te lo hai desiderato.
Ella guardò i piccoli anelli che aveva alle dita, e spalancò gli occhi meravigliati in viso allo sposo.
— Ma ti pare? Chissà quanto costano.
— Di’ la verità, bambina: qualche cosa l’hai pure desiderata.
— Ebbene, sì, te lo dico: c’è un nidino d’oro con dentro i pulcini d’oro.
Egli la guardò: era tutta rossa in viso, sfavillante di sincerità. E anche il viso di lui, gli occhi celesti, le ali dei suoi capelli dorati si illuminarono di una gioia che era anche l’allegria di uno che vuol combinare una burla.