La casa del poeta/Cose che si raccontano
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COSE CHE SI RACCONTANO
Questa la raccontava il grande e decorativo Aroldo, mentre sparecchiava la tavola: la raccontava al benevolo e curiosissimo scrittore, del quale era cuoco, cameriere e, insomma, factotum.
— Mi stia a sentire: lei, che scrive tante storie sorprendenti, non ne ha mai forse immaginata una come questa. Quando dunque stavo nella Clinica, dove facevo da cuoco, da cameriere e sopratutto da infermiere, venne portata, di notte, al pronto soccorso, una signorina giovane giovane, bellissima, che aveva tentato di uccidersi. Prima si era sparata alla testa, poi al cuore; ma si era ferita solo al polmone, e sebbene il suo stato fosse gravissimo si tentò di salvarla. L’accompagnava la madre, che aveva un aspetto alquanto equivoco; mentre la signorina, bianca e bionda, sembrava un serafino. Dopo averla curata, il professore ordinò che le si dessero, di ora in ora, due cucchiai di brodo ristretto. Ed ecco, la mattina dopo, il professore viene giù in cucina, per le solite ordinazioni, e mi dice: — Senti, Aroldo, tu mi devi fare un piacere: il brodo, al numero due, lo porti tu: perchè la madre della malata dice che finora il brodo non è stato buono. Eh?. — Quando il professore nitriva quell’eh? tutto il personale tremava. Io dunque mi ci misi d’impegno e preparai un brodo che avrebbe fatto risorgere Cristo al primo, non al terzo giorno.
«E lo porto. La signora lo assaggia e dice: — Benissimo. — Io imbocco la signorina, che sta ad occhi chiusi e sembra una statua di cera: e così si continua, fino a sera: a sera l’infelice parve riaversi. Aprì un momento gli occhi e mi fissò: e fu come se un tempo mi avesse conosciuto e adesso, pur nel suo deliquio, mi riconoscesse. L’impressione che ne provai fu quasi di terrore: come se anch’io vedessi un morto riaprire gli occhi e fissarmi. Mi spiego meglio: come se il morto guardasse un’ultima volta nel mondo solo per la mia persona. E tanta fu la mia impressione che tornai giù in cucina e dissi alla suora: — Io, dal numero due non ci voglio andar più. — E infatti non ci andai.
*
Andai a letto, piuttosto, stanco morto, e mi addormentai come una pietra. Ma verso la mezzanotte un sogno strano mi fece svegliare. Dunque, nel sogno mi si accostò una giovane donna. Era quella del numero due, ma sana, fresca, vestita da ballerina: però sembrava anche un angelo. Si piegò su di me e sottovoce mi disse:
«— Aroldo, mi dai un bacio?
«Io ricordavo perfettamente ch’ella era a letto, in agonia, e l’idea di darle il bacio, il bacio che lei voleva, mi destò un senso di ripugnanza. Quindi feci un cenno di rifiuto. Allora ella piegò la testa sul seno, come fanno gli uccelli per pettinarsi col becco le piume, e con i denti trasse dal suo corpetto una spilla. E con questa spilla, dopo avermi alquanto scoperto, mi punse sul braccio segnandovi, come un tatuaggio, la lettera B. Poi sparve. Io sentii il dolore delle punture, vidi da queste stillare il sangue.
«Mi svegliai tutto in sudore e mi misi a gridare, tanto erano il turbamento e l’angoscia che sentivo. Accorse quasi tutto il personale della Clinica, e tutti videro sul mio braccio la lettera sanguinante. La vide anche la suora mia compagna di cucina, e quando mi sentì raccontare il sogno impallidì e mise la sua mano sulla mia bocca.
«— Taci, cristiano. La disgraziata è morta pochi momenti fa, mentre tu sognavi. Era una ballerina.
«Il segno mi rimase sul braccio per oltre un mese. Lo esaminò il professore, lo esaminarono altri scienziati: nessuno volle darmi la spiegazione della cosa. Notare, che io ignoravo completamente che la poveretta era una ballerina, suicida per amore. Lei, che sa tante cose, che ne dice?»
*
Lo scrittore, un barbone che rassomigliava a San Gerolamo nella spelonca, seduto su una poltrona di vimini, fumava la pipa, piegandosi ogni tanto a sputare abbondantemente dentro una conculina etrusca. Come San Gerolamo (a parte l’ambiente lussuoso intorno), una vecchia cornacchia spelacchiata lo accompagnava: cioè stava appollaiata sulla traversa inferiore della poltrona, e ogni tanto pizzicava teneramente il sedere dell’uomo illustre.
Egli aveva ascoltato il racconto del bellissimo Aroldo con una intensità nascosta quanto esasperata: tutta la sua sensibilità d’uomo e d’artista vibrava ad ogni parola del servo; e un brivido — l’eterno brivido del mistero — gli percorse lo spirito e la carne alla conclusione della strana avventura.
Spirito e carne, ragione e senso, furono subito in guerra e in tumulto dentro di lui. E, sinceramente, cercò di dare al suo domestico, che in quel momento era, per lui, solo un uomo alle prese con un problema doloroso della sua anima, la spiegazione del mistero. Tuttavia la sua voce era leggera, ironica e crudele come quella di un giovine senza cuore, che parla a un vecchione semplice e ostinatamente sentimentale.
— Amico mio, i casi sono due. Uno lo spiega la scienza, e altamente mi meraviglio che il vostro bravo professore e i suoi non meno ottimi colleghi non ve lo abbiano spiegato. Ve lo spiego subito io, alla meglio, perchè non m’intendo molto di scienza: voi, dunque, che, a parte i complimenti, siete un bel ragazzo e di buoni costumi, nel vedere l’infelice fanciulla morente per amore, ne avete sentito una pietà profonda. Dalla pietà all’amore, voi lo sapete già, c’è un solo passo: e questo passo voi lo avete fatto mentre portavate il secondo brodo alla bella signorina. Senza saperlo, voi pensavate: ella vivrà ed io potrò un giorno possederla. Ed ecco, al fluido del vostro pensiero, o meglio al calore del vostro desiderio, il corpo di lei si rianima: ella riapre gli occhi e vi guarda: rivede in voi l’uomo, il maschio che potrà un giorno ridarle l’amore e il piacere, per la cui perdita ella ha tentato di morire; e vi ama e vi desidera anche lei. Voi lo sentite, con tutta la vostra carne; ma la vostra ragione vi impedisce di tornare dalla moribonda. E questa muore pensando a voi: e voi la sognate nell’attimo della sua morte: la sognate col vostro istinto carnale, che ha già indovinato la natura e lo stato della donna: le punture della spilla ve le siete fatte da voi, nel momento sonnambolico fra il sogno e il completo risveglio: e i vostri famosi professori non vi hanno saputo dir niente perchè o non hanno capito niente, o si infischiavano del vostro caso.
*
Il giovine ascoltava, turbato, con le mani rosse ferme sulla tovaglia, la testa di Apollo piegata sul petto. Quando il padrone smise di parlare, per sputare ancora, la bella testa si sollevò, quasi con sdegno, e il viso si tramutò in quello di Cristo. Ed egli disse queste sole parole:
— Non è vero niente.
Anche la cornacchia, venuta fuori dalla gabbia della poltrona e che guardava il suo beneamato padrone di sotto in su, ora con uno ora con l’altro occhio, fischiò protestando.
*
E di nuovo lo scrittore si trovò come davanti a un muro nero, interminabilmente lungo e alto; ma una sua fessura lasciava penetrare un raggio più luminoso di quelli del sole. Riprese a parlare, con accento ben diverso del primo: accento di vera umanità; dello spirito che ascolta e ripete la parola eterna.
— E allora, ragazzo mio, non c’è che la seconda spiegazione. Tu hai sentito pietà della ragazza: la pietà da uomo a uomo, che non conosce sesso nè tempo: la stessa pietà che io sento adesso per te, per il dolore eterno del nostro comune destino. Insomma, l’amore dettato da Dio. E l’anima della fanciulla, nell’andarsene, ti è venuta a salutare. E ti chiedeva un bacio, che tu non hai voluto darle, perchè ella era già spirito, mentre tu eri ancora materia.
*
Il giovine sentiva voglia di piangere: eppure non sembrava convinto.
— E le punture di spilla, allora?
Lo scrittore allargò le braccia, col fiore della pipa fra le dita. Era già infastidito.
— Ah, di questo, non so proprio più dirvi nulla.