La capitana del Yucatan/32. L'imboscata di Jaragua
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CAPITOLO XXXII.
L’imboscata di Jaragua.
Alle cinque del mattino del 6 giugno, cioè il giorno dopo dell’affondamento del Merrimac, le due squadre americane di Sampson e di Schley, riprendevano il terzo e più formidabile bombardamento della piazza assediata.
Le cinque corazzate maggiori, seguite da altre quindici navi radunate in due gruppi, s’avvicinarono al canale ed alla distanza di quattromila metri aprirono un fuoco tremendo, tentando di diroccare il Morro e la Sopaca e di smontare le batterie de la Estrella e di Santa Catalina.
Le granate, gli obici mostruosi e le bombe laceranti, grandinavano fitte dovunque, mettendo a dura prova il coraggio degli artiglieri spagnuoli, i quali si trovavano imbarazzati a rispondere a tanta furia.
Soprattutto i cannoni da 30 e da 33 cent. dell’Yowa, dell’Oregon, dell’Indiana, del Massachussett, del Texas, del New-York e del Brooklyn producevano danni considerevoli, lanciando le loro palle fino nella baia interna.
La Reina Mercedes che si trovava nel canale, occupata a sgombrare i rottami del Merrimac, la cui carcassa era stata fatta saltare durante la notte, fu costretta ad aprire il fuoco coi suoi pezzi Hontoria, aiutata dalle due contro-torpediniere Terror e Pluton e dalla Viscaya che aveva lasciato l’ancoraggio del Nispero.
Certi momenti la massa dei proiettili era tale e le esplosioni delle bombe così tremende, da credere che il Morro e le batterie andassero a soqquadro e che le loro polveriere scoppiassero.
Cadevano però soprattutto sulla Sopaca e su la Estrella, come se gli americani, convinti della formidabile resistenza che poteva offrire il forte del Morro, si fossero prefissi di smantellare le fortezze minori, contro le quali potevano avere buon giuoco.
Gli spagnuoli però, non ostante la rovina delle batterie, non cessavano dal rispondere, con crescente vigore, tentando di maltrattare, più che era possibile, le due squadre.
Mentre il bombardamento infuriava, brutte notizie giungevano da Aguadores e da Baquiri. Nove navi staccatesi dalle squadre, erano comparse improvvisamente dinanzi alla punta Cabrera per tentare uno sbarco e congiungersi colle bande insorte del cabecilla Garcias scendenti dalle montagne. Il generale Linares ed il colonnello Aldea, accorsi da Aguadores avevano di già impegnato un sanguinoso combattimento opponendo i fucili Mauser di piccolo calibro dei loro fantaccini agli enormi proiettili delle corazzate ed alle mitragliatrici Maxim delle scialuppe da sbarco.
Si diceva che già tremila americani erano riusciti a prendere terra per unirsi agl’insorti e prendere Santiago alle spalle.
Mentre quelle poco liete notizie, che facevano sanguinare il cuore della marchesa ed arrabbiare il buon Cordoba, giungevano al palazzo del comando generale, il bombardamento della piazza continuava con un crescendo spaventoso.
Le due squadre nemiche, avvicinatesi fino a settecento metri dal canale, battevano ormai perfino lo specchio d’acqua della baia interna. Qualche granata era già caduta fino sulla gettata di Santiago, alcune presso gl’incrociatori spagnuoli, ed una, lanciata forse dai grossi cannoni della Yowa, era andata a scoppiare sull’imbarcadero del Cobre, a cinquanta metri dall’Yucatan.
Alle dieci il forte di Santa Catalina era già in fiamme, oppresso dalle bombe e dagli shrapnel, mentre le batterie de la Estrella venivano ridotte al silenzio. Pochi minuti dopo una bomba dell’Oregon scoppiava a bordo della Reina Reggente sulla quale il colonnello Ordenas, uno dei più valenti artiglieri, puntava personalmente i cannoni.
Parte delle opere di sopra coperta andavano distrutte dallo scoppio del formidabile obice, ferendo il colonnello e trentadue marinai ed uccidendone altri sette fra i quali il capitano Aresto, comandante in seconda.
Alle undici anche la contro-torpediniera il Terror, di trecento e ottanta tonnellate, veniva colpita da una bomba, riportando danni, mentre altre due cadevano sulla coperta della corazzata la Viscaya, senza però gran male.
In quel momento però, le corazzate americane, alcune delle quali erano state seriamente maltrattate dal tiro degli spagnuoli, sospendevano il fuoco, portandosi al largo. Avevano lanciato circa duemila proiettili di grosso calibro, un totale di parecchie tonnellate d’acciaio!...
Non era però che una sosta. A mezzodì, dopo il luncheon degli ufficiali, il bombardamento veniva ripreso, durando vigoroso per un’altra ora. Constatato però che quello spreco enorme di polvere e d’acciaio non corrispondeva alle speranze, all’1 pomeridiana le due squadre riprendevano il largo.
Contemporaneamente giungeva la notizia che il generale Linares, coi suoi valorosi fantaccini aveva respinto brillantemente i tremila americani che avevano tentato di sbarcare a Baquiri, e costretti gl’insorti del Cabecilla a rifugiarsi ancora sulle montagne dalle quali erano scesi.
Quella vittoria, una delle più gloriose della campagna, aveva rialzato immensamente il morale delle truppe, degli equipaggi e della popolazione spagnuola, poichè malgrado le fanfaronate degli yankees, il bombardamento non aveva dato alcun risultato ed il tentato sbarco non era riuscito.
Anche la marchesa e Cordoba, cominciavano a sperare. La resistenza di Santiago poteva stancare le squadre avversarie e deciderle a levare il blocco, lasciando il passo alle navi di Cervera ed all’Yucatan.
Disgraziatamente dovevano in breve perdere le loro illusioni.
Sette giorni dopo quel formidabile bombardamento, una triste notizia si spargeva in Santiago.
La spedizione americana concentrata a Tampa nella Florida, forte di sedici reggimenti di truppe regolari, di undici di volontari, di cinque squadroni di cavalleria, di sei batterie e di due compagnie del genio, un totale di ventisettemila uomini, si era imbarcata su ventinove navi da trasporto e s’appressava velocemente alle coste meridionali di Cuba, e Caimanera, situata all’est della piazza assediata, dopo un tremendo bombardamento era stata occupata dalla fanteria di marina americana.
Fu uno scoppio di fulmine, poichè fino allora nessuno aveva creduto che gli americani si decidessero a quell’audace tentativo.
— Cordoba, cosa accadrà del nostro Yucatan? — chiese la marchesa, quand’ebbe apprese dal generale Torral quelle gravi notizie.
— Non ci rimane che confidare sul valore del presidio, — rispose il lupo di mare, con voce triste.
— Se tentassimo di uscire?... Io comincio a perdere la mia fiducia.
— Uscire!... Eh!... La fortuna può stancarsi di proteggerci, donna Dolores ed una bomba delle grosse corazzate americane basterebbe per mandare a picco od in aria il nostro Yucatan.
— La nostra nave è piccola ed approfittando d’una notte oscura forse noi potremmo uscire inosservati da Santiago.
— Gli americani vegliano troppo. No, non osiamo tanto: aspettiamo.
— E che cosa aspettare?...
— Io non lo so, ma non tentiamo la morte, donna Dolores. Chissà!... Può sopraggiungere un avvenimento inatteso che ci permetta di ridonare la libertà al vostro valoroso Yucatan. —
Pur troppo però le previsioni un po’ più ottimiste del bravo tenente, dovevano avere in breve una brutta smentita.
La notte seguente le squadre americane stringevano maggiormente il blocco e riprendevano il bombardamento non solo dei forti di Santiago bensì anche della costa tentando di distruggere El Caney, Aguadores e Guantamano, località situate all’est della piazza assediata.
A quel bombardamento, intrapreso la notte del 15 e 16 giugno, per la prima volta fu fatto uso dei cannoni a dinamite, imbarcati sull’incrociatore americano il Vesuvius e dai quali gli yankees si promettevano meraviglie.
Quella piccola nave non stazzava che trecentosettanta tonnellate, quasi quanto l’Yucatan, ideata dal capitano Zalinski e costruita nel 1888, era armata di tre cannoni del calibro di 38 e lunghi sedici metri, colla culatta grossa e la canna invece sottilissima.
Le loro cariche consistevano in obici contenenti duecentocinquanta libbre di dinamite e venivano sparate per mezzo dell’aria compressa, onde non determinare lo scoppio di quelle quantità enormi di materie esplodenti.
Le speranze degli assedianti non corrisposero però all’aspettativa, in causa della poca portata di quei cannoni. Non furono lanciati che tre obici ed un solo cadde sulle scogliere dell’isola Smith, entro il canale di Santiago, facendo più fracasso che danno, poichè le sole rocce provarono gli effetti di quell’orrendo scoppio.
La mattina del 17 la situazione degli assediati era invariata, poichè il bombardamento non aveva causato gravi danni.
Però si era saputo che un corpo di fanteria marina americana, appoggiato da alcune corazzate, era riuscito a sbarcare a Guantamano, dopo che il villaggio e le opere di difesa provvisorie costruite dagli spagnuoli erano stati distrutti dalle granate delle navi.
I difensori di quella località erano stati costretti a ritirarsi dinanzi alla pioggia d’obici, e si erano trincerati solidamente nelle foreste per impedire l’avanzata dei nemici e per evitare il pericolo che si collegassero cogl’insorti.
Quella notizia non aveva mancato di produrre una profonda impressione negli assediati, tanto più che da un istante all’altro si aspettava l’arrivo della grossa spedizione americana che si diceva già partita da Tampa, per prendere Santiago alle spalle e costringerla alla resa, assieme alla squadra spagnuola, resa ormai quasi impotente.
Ad accrescere le apprensioni, durante la giornata, le due squadre americane riprendevano il bombardamento con maggior violenza, soprattutto verso Guantamano e Aguadores per impedire alle forze spagnuole di assalire e di cacciare in acqua i marinai sbarcati.
Più di mille granate furono lanciate contro le batterie esterne del canale di Santiago e sulle spiaggie di Aguadores, causando danni rilevanti. Ciò però non impedì che le truppe spagnuole accampate nei boschi respingessero la fanteria della marina americana sbarcata a Guantamano, costringendola a rifugiarsi sotto la protezione delle loro corazzate, dopo d’aver lasciati numerosi cadaveri intorno al distrutto villaggio.
Ormai tutto faceva presentire l’imminente sbarco della grossa spedizione. La frequenza dei bombardamenti, la grandine di granate che venivano lanciate sulle batterie d’Aguadores e di El Caney, l’ostinazione delle corazzate nel difendere Guantamano e la punta di Baquiri onde impedire agli spagnuoli, che tenevano i boschi, di riprendere quelle posizioni, erano prove lampanti che Sampson e Schley preparavano il terreno per un grosso sbarco.
Nondimeno parecchi giorni trascorsero ancora prima che qualche nuova giungesse dell’arrivo della spedizione americana. Solamente la mattina del 21 giugno, dall’alto del forte del Morro fu segnalata una imponente squadra, navigante al largo.
Si componeva di oltre trenta grandi navi, scortate da alcune corazzate e da alcune cannoniere. Contemporaneamente giungeva la notizia che una parte della squadra di Schley, staccatasi da Santiago, bombardava furiosamente le batterie di Aguadores, di Zuraguo, Siboney, Cabana e la punta Derrace per respingere gli spagnuoli che guardavano quelle spiagge.
La marchesa Dolores e Cordoba, vedendo che non vi era nulla da fare pel momento a Santiago e che non vi era la possibilità di forzare il blocco, diventato più stretto che mai, decisero di recarsi verso le coste orientali di Cuba.
Ottenuto il permesso, dal generale Torral, di prendere parte alle operazioni di guerra coll’equipaggio del Yucatan, che era impaziente di dare addosso agli odiati yankees, la mattina del 22 partivano per El Caney, accompagnati da cento marinai e da mastro Colon, in pieno assetto di campagna.
Il loro piano era quello di continuare poi la marcia sino a Siboney, ove si diceva che le truppe americane erano già sbarcate o fino a Baquiri, altro punto scelto dai nemici per intraprendere la marcia verso Santiago.
Non fu che verso il tramonto del 23 che la piccola colonna potè giungere nei pressi di Siboney, in causa delle difficoltà che presentavano le fitte boscaglie che era stata costretta ad attraversare.
Un furioso combattimento era avvenuto in quei dintorni fra le truppe americane del generale Shafter, già riuscito a prendere terra colla protezione delle corazzate e le truppe spagnuole incaricate della difesa della costa.
Non ostante la pioggia di granate lanciate dalle grosse corazzate, le colonne spagnuole, con un fuoco nutrito, avevano respinto brillantemente le truppe americane, dopo di aver abbandonato Siboney e Baquiri completamente distrutte ed incendiate dagli obici.
Solamente alla sinistra di Baquiri, gli spagnuoli, oppressi dal numero e minacciati da un movimento aggirante di altre colonne americane sbarcate a dodici chilometri dal villaggio, erano state costrette a cedere, ritirandosi verso le falde della Sierra Maestra.
Quando la marchesa ed il suo equipaggio giunsero nei pressi di Siboney, la battaglia era appena cessata.
Il villaggio, diroccato dalle bombe ed incendiato, terminava di bruciare, spandendo una tetra luce sulle acque del mare e sui boschi vicini. Dense colonne di fumo e nembi di scintille che il vento trasportava verso le piantagioni, sfuggivano ancora fra le macerie e le mura annerite e traforate delle poche case ancora rimaste in piedi.
Dei cadaveri, che giacevano fra le viuzze delle case, finivano di consumarsi in mezzo alle travi infiammate cadute dai tetti e spargevano all’intorno un acre odore di carne arrostita.
Sulla spiaggia, dei grandi falò indicavano gli accampamenti americani, mentre al largo, sul mare, le corazzate lanciavano fasci di luce elettrica verso i boschi.
Qualche colpo di cannone rimbombava cupamente e qualche grossa granata, passando sopra il campo americano, cadeva in mezzo alle case del villaggio causando nuove rovine e facendo diroccare, con sordo fracasso, le mura che rimanevano ancora in piedi.
Triste notte di sangue, di fuoco e di rovine.
La marchesa ed i suoi valorosi passarono al largo del povero villaggio e raggiunsero le colonne spagnuole che avevano occupato fortemente le falde della Sierra Maestra, trincerandosi nelle fitte boscaglie.
Il comandante delle colonne spagnuole fece buona accoglienza a quel rinforzo giunto così opportunamente, tanto più che si sapeva che un grosso corpo di cavalleria americana aveva ricevuto l’incarico di snidarli dai boschi che occupavano.
Erano stati chiesti dei rinforzi al generale Linares incaricato della difesa della zona delle Miniere, ma la risposta era stata negativa, poichè anche da quel lato grosse colonne americane minacciavano quei luoghi importanti.
Fu però solamente la mattina del 25 che la cavalleria americana, dopo che tutto il corpo di spedizione fu sbarcato, si decise ad inoltrarsi nel paese per aprire la via alla fanteria ed all’artiglieria.
Era un reggimento completo di rough-riders (cavalieri rusticani) composto di volontari appartenenti alle più cospicue famiglie degli Stati Uniti, armati di sciabola, di rivoltella e d’un laccio di cuoio, come se gli spagnuoli fossero buoi o cavalli selvatici del Far-West da prenderli alla corsa e strangolarli o farli prigionieri.
Erano comandati dal tenente colonnello Roosevelt, il quale si era proposto di condurre senz’altro i suoi volontari entro le mura di Santiago.
Gli spagnuoli si erano imboscati nei pressi di Jaragua, sapendo che quella località doveva essere il primo obbiettivo del reggimento nemico.
La marchesa del Castillo, Cordoba ed i suoi marinai avevano reclamato l’onore di occupare una fitta macchia di mangli, che si trovava dinanzi alle truppe imboscate, per essere i primi a misurarsi con quegli strani cavalieri.
— Donna Dolores, non esponetevi troppo, — disse Cordoba nel momento in cui in lontananza si udivano i nitriti dei cavalli nemici. — Se noi stiamo tutti nascosti, non subiremo perdita alcuna.
— Sono impaziente di fare anch’io fuoco addosso a quegli odiati yankees, — rispose la marchesa. — Cercherò di rendere le palle che hanno gettato addosso al mio Yucatan; saranno palle infinitamente più piccole, ma uccideranno egualmente.
In quel momento alcuni cacciatori spagnuoli che si erano spinti fino sul margine del bosco per sorvegliare le mosse dei rough-riders, passarono accanto al macchione, correndo.
— Il nemico? — chiese Cordoba.
— S’avvicina di galoppo! — risposero i cacciatori. — Pronti al fuoco! —
Il reggimento s’avanzava schiamazzando come si recasse ad una partita di piacere. Quei giovanotti, per la maggior parte nuovi al fuoco, credevano di fugare gli spagnuoli colla loro sola presenza o tutt’al più a colpi di laccio.
Diviso in due grosse colonne si era già cacciato fra gli alberi, impegnandosi in mezzo ad un vero caos di banani, di mangli, di cedri enormi, di cotonieri. Solamente pochi esploratori stavano un po’ dinanzi e parevano non si dessero gran pensiero della vicinanza del nemico.
Cordoba e la marchesa si erano alzati, celandosi dietro un tronco enorme, mentre i loro marinai si erano sdraiati in mezzo ai cespugli, tenendo i fucili puntati.
Ad un tratto si udirono alcuni squilli di tromba, poi una fanfara attaccò vigorosamente. Doveva essere il segnale della carica.
Un istante dopo due o trecento cavalli si slanciarono all’impazzata, disordinatamente, in mezzo agli alberi.
I volontari caricavano tenendo il laccio nella destra e la sciabola nella sinistra.
Una scarica improvvisa parte dal macchione occupato dalla marchesa e dai marinai del Yucatan. Gli esploratori che galoppano dinanzi al grosso dello squadrone oscillano sulle groppe dei loro cavalli, poi cadono a destra ed a sinistra.
I rough-riders che vengono dietro si gettano innanzi, ma a destra ed a sinistra, scariche furiose partono. Da ogni macchia, da ogni cespuglio, da ogni fascio di erbe, dietro ad ogni tronco d’albero gli spari rimbombano.
Gli americani che credevano di spazzar via gli avversari come fossero semplici conigli o cavalli selvaggi delle grandi praterie del Far-West, s’arrestano di colpo, fanno fuoco a casaccio colle loro rivoltelle poi si sbandano disordinatamente mentre le scariche dei marinai del Yucatan e degli spagnuoli continuavano serrate, fitte, implacabili.
Dietro però quei primi squadroni ve ne sono altri più numerosi. Il tenente colonnello Roosewelt si mette alla loro testa e li Lo scoppio del Yucatan. conduce avanti al galoppo, mentre comanda di far tuonare i cannoni a tiro rapido che erano stati colà condotti.
Quel comando non ha alcun successo pel semplice motivo che gli artiglieri, dopo le prime scariche degli spagnuoli, avevano preso coraggiosamente il largo, lasciando ai rough-riders l’incarico di sbrigarsela.
Mentre la confusione era al colmo, una fitta scarica rintrona sul fianco dei cavalieri.
La marchesa e Cordoba, credendo che fosse giunto un nuovo rinforzo di spagnuoli, si erano alzati. Con loro grande sorpresa udirono le trombe dei cavalleggieri suonare il cessate il fuoco.
Quelle scariche erano state fatte da uno squadrone di americani comandato dal capitano Capron. Avendo smarrita la via e vedendo degli uomini, aveva fatto fuoco contro gli squadroni del colonnello Roosewelt, credendoli nemici imboscati.
— Buono!... — mormorò la marchesa. — Gli yankees si fucilano fra di loro.
— Attenzione, donna Dolores, — disse Cordoba, — l’attacco ricomincia. —
I rough-riders incoraggiati dal loro colonnello tornavano alla carica all’impazzata.
Gli squadroni passarono come un uragano dinanzi alla macchia occupata dai marinai del Yucatan ricevendo in pieno le scariche di moschetteria e tentarono, con uno sforzo disperato, di cacciarsi nel bosco per snidare gli spagnuoli.
Vano tentativo. La moschetteria ricomincia con maggior furia, sempre più micidiale.
Gli spagnuoli non retrocedono d’un passo e non lasciano le loro macchie. Fucilano a bruciapelo cavalli e cavalieri decisi a sterminare gli uni e gli altri se non retrocedono.
Era troppo pei rough-riders. Il colonnello Roosewelt, colpito da una palla rimbalzata contro un albero era caduto gravemente ferito agli occhi ed agli orecchi dalle schegge del piombo; il capitano Luna era stato freddato, il capitano Mac-Clintok ferito ad una gamba ed il maggiore Crosbice aveva avuto un braccio fracassato.
A destra ed a sinistra buon numero di cavalli e di soldati giacevano senza vita fra gli sterpi e le radici.
Uno sforzo ancora e la rotta dei rough-riders doveva essere completa.
La marchesa si era slanciata coraggiosamente innanzi, gridando:
— Alla baionetta, miei prodi!... —
I cento marinai del Yucatan, udendo la voce della loro Capitana, irrompono dalla macchia e piombano in mezzo agli squadroni disorganizzati sbudellando cavalli e cavalieri, mentre gli spagnuoli sorgono da tutte le parti fucilando le prime colonne.
I rough-riders, bersagliati di fronte e caricati sul fianco, non resistono. Spronano furiosamente i loro cavalli e fuggono disordinatamente attraverso la foresta abbandonando una sessantina di camerati sul campo di battaglia.
— Ebbene, amico Cordoba? — chiese la marchesa che stringeva il fucile ancora fumante. — Cosa dici?...
— Che gliele abbiamo date dure a quei gradassi, ma poi?
— Cosa vuoi dire?...
— Dico che non so se potremo dargliele sempre, donna Dolores, — disse il lupo di mare, con un sospiro.