La capitana del Yucatan/2. Per la patria
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CAPITOLO II.
Per la Patria.
Sei ore prima degli avvenimenti narrati, quando già le tenebre erano calate sulla vasta e arida pianura che si estende lungo le coste settentrionali dell’Yucatan, ed ogni rumore era cessato nelle larghe e diritte vie di Merida, due uomini che erano usciti quasi di nascosto dal vecchio e monumentale palazzo governativo, salivano lentamente, con mille precauzioni, verso la cattedrale della città, la cui massa imponente, sormontata da cupole e da pinnacoli, giganteggiava nell’oscurità.
Uno era il signor Cordoba, il lupo di mare del Yucatan, ormai di nostra conoscenza, l’altro sembrava un messicano, avendo il capo riparato da un grande sombrero dalle ampie tese, adorno d’un alto gallone d’oro, calzoni di velluto, assai larghi alla base e ricchi di bottoni lungo le cuciture, e sulle spalle un ampio mantello a vivaci colori ed infioccato, il serapè nazionale.
Giunti di fronte alla cattedrale, quei due uomini si appressarono alla porta, l’aprirono con una certa precauzione e gettarono dentro l’immensa chiesa un lungo sguardo, poi ripresero il loro cammino, mentre l’uno diceva con tono giulivo:
— Ci aspettano.
— Siate guardingo, signor Cordoba.
— Non temete, Signor Viscayno, Donna Dolores ha fatto le cose per bene e nessuno sa, in Merida, dell’organizzazione dell’audace colpo di testa.
— Gli yankee vegliano, signor Cordoba.
— Lo sappiamo.
— E forse tengono d’occhio l’yacht della marchesa.
— Non sarei sorpreso; vi dico però che perderanno inutilmente il loro tempo e che quando se ne saranno accorti, sarà troppo tardi e non rimarrà loro altra consolazione che di sfogarsi in cannonate inutili.
— Sa la marchesa che corre il pericolo di venir fucilata, se cade nelle mani degli yankee?...
— Non lo ignora.
— E non la spaventa?
— Lei spaventarsi! Carramba! È tale donna da sfidare, senza tremare, le più spaventevoli tempeste e le più sanguinose battaglie. Voi non l’avete mai veduta, signor segretario, a comandare la manovra in mezzo ai furiosi tifoni che devastano, tratto tratto, le Antille.
I più rinomati lupi di mare dell’Yucatan e di tutta la costa del Messico, potrebbero invidiarla.
— Lo so, si narrano cose meravigliose della marchesa del Castillo.
— Storie vere, signore.
— Vi credo, signor Cordoba: una gran bella creatura ed una grand’anima quella marchesa.
— Tutta fuoco!
— E amor di patria.
— Sì, signor Viscayno e renderà preziosi servizi alla Spagna.
— Voi la conoscete da molti anni, signor Cordoba?...
— L’ho fatta danzare sulle mie ginocchia, signore.
— È vero che è molto ricca?
— Una dozzina di milioni di piastre.
— Tanto da comperare una flottiglia.
— Lo credo, signor Viscayno.
— Ditemi, signor Cordoba...
— Parlate.
— Ho udito a raccontare che quella strana creatura ha sangue gitano nelle vene.
— È vero, signore: sua madre, prima che sposasse il vecchio ammiraglio messicano, il conte di Belmoar, era una gitana spagnola che a Messico ed a Vera Cruz aveva fatto girare tutte le teste, calde e fredde.
— Ora comprendo perchè la figlia possegga tanta audacia e tanta energia.
— È un vero demone, ve lo dico io, signor Viscayno e che saprà far miracoli.
— Ed una così gran dama, figlia di una delle più antiche nobiltà della vecchia Spagna, vedova d’un marchese del Castillo, ricca a milioni, va a giuocare la sua vita sul mare, contro le corazzate yankee?
— Cosa volete?... Suo padre era ammiraglio, suo marito, morto di febbre gialla all’Avana, era un capitano di mare come ve ne sono stati pochi, lei è stata cullata dalle onde del mare ed è cresciuta sulla tolda delle navi e tale doveva diventare. Aggiungete a tutto questo un animo indomito, ardente, un immenso amore di patria e comprenderete quale donna sia la marchesa Dolores del Castillo.
— E voi avete piena fiducia nella sua abilità nautica.
— Assoluta, signor Viscayno.
— E di guerra s’intende?
— Come un vecchio capitano di corvetta. Forse che non è stata lei, col suo yacht a fugare a colpi di cannone, due anni or sono il Fhree Friendos che tentava di sbarcare armi, munizioni ed una partita di filibustieri americani alla foce del San Juan di Cuba? Bisogna averla veduta come sparava il suo hotchkiss contro la nave yankee.
— Dunque conosce le coste di Cuba, signor Cordoba?
— Quanto me, e meglio di tutti gli uomini di mare del Yucatan.
— Quale strana creatura!
— Un vero demonio, signore, ve lo dissi già.
— Siate prudenti, però. Il mio governo non vuole creare imbarazzi a quello messicano, che ha promesso di conservare la più stretta neutralità, quantunque tutta la popolazione simpatizzi per noi.
— Vi dico che noi giungeremo a Cuba e che sbarcheremo le armi e le munizioni che la marchesa ha promesso al generale Blanco, a dispetto della squadra americana e degli insorti loro alleati.
— Siete certo che nessuno se n’è accorto?
— Assolutamente nessuno, signor Viscayno; il console può essere tranquillo. I venticinquemila fucili, tutti eccellenti Mauser ed i quattro milioni di cartucce sono ormai nella cala dell’yacht.
— Ho udito narrare cose stupefacenti della vostra nave.
— Un modello di perfezione, fatto costruire dal capitano del Castillo con una cura speciale e senza risparmio, ve lo dico io. Ah!... Ci siamo! La marchesa ci aspetta nel padiglione, poichè vedo una delle finestre illuminate.
Erano allora giunti dinanzi ad un grande palazzo di costruzione antica come ve ne sono ancora molti a Merida, città rimodernata ora, ma fondata da parecchi secoli. Quel palazzo aveva ampi finestroni, gallerie di stile moresco ed un portone altissimo, difeso da un cancello enorme, munito di sbarre grossissime.
Il signor Cordoba girò un angolo del grandioso edifizio, rasentando la muraglia d’un giardino, estrasse di tasca una piccola chiave, e s’arrestò dinanzi ad una porticina seminascosta dai rami pendenti d’una magnifica passiflora.
Stava per introdurla nella toppa, quando credette di scorgere, presso l’angolo d’una casetta che stava di fronte al vecchio palazzone, una forma umana che subito scomparve.
— Oh!... — mormorò, aggrottando la fronte e cacciando rapidamente una mano sotto il serapé.
— Cos’avete, signor Cordoba? — gli chiese il compagno.
— Mi parve che qualcuno ci spiasse.
— Cosa grave: sarebbe una prova che il console americano ha fiutato qualche cosa. —
Il signor Cordoba non rispose. In quattro salti attraversò la via e giunto sull’angolo della casetta guardò attentamente in una viuzza vicina che era fiancheggiata da povere capanne indiane e da ortaglie.
In lontananza una forma umana, avvolta in un grande mantello, camminava barcollando, ora scendendo sul selciato ed ora urtando contro i muri. Osservando con maggior attenzione, il signor Cordoba credette di scorgere sulle spalle di quell’individuo un oggetto che pareva dovesse essere una chitarra.
— Forse abbiamo disturbato una serenata — mormorò.
Rimise nella cintura la rivoltella che aveva levata, riattraversò la via e raggiunse il compagno che l’attendeva dinanzi alla porticina.
— Vi eravate ingannato? — gli chiese questi.
— Lo credo.
— Meglio così, signor Cordoba. —
La porticina fu aperta senza rumore, ed i due misteriosi individui si trovarono in un ampio giardino, coperto da grandi alberi dalle foglie bizzarramente piumate e ricco di fiori esalanti acuti profumi.
Si erano appena avanzati su di un viale, quando una bianca figura di donna apparve sulla soglia d’una specie di padiglione che si prolungava sul di dietro del grandioso palazzo.
Una voce energica, che aveva qualche cosa di metallico e d’imperioso, quantunque sembrasse di donna, chiese:
— Sei tu, Cordoba?...
— Sì, donna Dolores.
— E l’uomo che ti segue?
— Il segretario del console spagnolo.
— Fate presto!... —
I due uomini si diressero rapidamente verso il padiglione le cui finestre, benchè riparate da persiane e da tende si vedevano illuminate, ed entrarono in una specie di salotto ammobigliato con eleganza sobria, che dimostrava come la proprietaria del grandioso palazzo, non ostante le sue ricchezze, fosse di gusti molto diversi dalle messicane e dalle creole che sono così amanti dello sfarzo.
Invece di quei pesanti mobili e di quegli ampi e costosi cortinaggi e quei grandi vasi ripieni di piante esotiche che si vedono in quasi tutte le case messicane, non si trovavano che poche sedie di bambù, qualche scaffale ripieno di ninnoli provenienti dai paesi d’oltremare, delle grandi carte geografiche, dei modelli di navi, dei gruppi d’armi intrecciati al di sopra le porte, un tavolo di ebano intarsiato di madreperla ed una grande lampada d’alabastro che versava una scialba luce.
In mezzo a quel salotto, ritta dinanzi ad una carta geografica del golfo del Messico, se ne stava la marchesa del Castillo, l’intrepida capitana del Yucatan, ma in abiti femminili, poichè indossava una lunga veste di mussola bianca adorna di pizzi di gran valore, mentre i suoi neri capelli stavano raccolti attorno ad uno di quegli alti pettini di metallo, come usano le spagnole e soprattutto le creole delle Antille.
Il signor Viscayno, vedendo la marchesa, si era sbarazzato del serapè e si era levato l’ampio sombrero, dicendo:
— Sono ben felice di vedervi, donna Dolores. Vi porto i saluti ed i ringraziamenti del console. —
Il signor Viscayno, segretario del consolato spagnolo di Merida, era un uomo ancora giovane, non avendo più di trentacinque anni. Era un bell’uomo, alto, bruno, come se nelle sue vene scorresse sangue meticcio, con due occhi grandi e vellutati, un bel paio di folti baffi neri che gli davano un aspetto assai marziale, e portava con somma eleganza il pittoresco costume messicano.
Strinse la mano bianca, dalle dita affusolate, che la marchesa gli porgeva con grazia e con tratto di grande dama, poi sedette di fronte a lei, dicendole:
— Il generale è stato avvertito.
— Aspetta adunque il mio yacht?...
— Vi conta.
— Sa che porta fucili e munizioni?...
— Sì, marchesa.
— Ha bisogno degli uni e delle altre?
— Urgentissimo, poichè il blocco impedisce alle nostre navi di giungere a Cuba, mentre vi sono ancora numerosi volontari da armare.
— Credete che riesca nel mio intento, signor Viscayno?
— La cosa sarà difficile, perchè la squadra americana dell’ammiraglio Sampson è potente e numerosa, però confido nella vostra audacia e nella rapidità del vostro yacht.
— Nessuno è riuscito a forzare il blocco?...
— Sì, pare che due navi nostre siano riuscite a sfuggire alla crociera e che ieri sera siano entrate, ponendosi in tempo sotto la protezione della batteria di Santa Clara ed ancorandosi nella baia di Tallapiedra.
— Ciò indica che gli americani non vegliano come dovrebbero — disse la marchesa. — Tanto meglio per noi, è vero Cordoba?
— Sì, mia capitana — rispose l’uomo di mare.
— Avete altre buone nuove da darmi, signor segretario?
— No, marchesa, le ultime non sono liete.
— Volete dire?... — chiese la signora del Castillo, aggrottando la fronte.
— Che una nave americana è stata veduta al largo, poco prima del tramonto.
— Si sa chi sia?
— Il console sospetta che possa essere il Terror.
— Un buon monitor armato di due pezzi da dodici e di dieci mitragliatrici — disse la signora del Castillo, come parlando fra sé. — Oh!... Lo conosco!... È tutto qui?...
— No, pare che al largo vi sia anche qualche cannoniera, non si sa se la Newport o la Dalton.
— Saremmo stati traditi? — si chiese la marchesa, mentre un vivido lampo le balenava negli sguardi e la sua bella fronte si rannuvolava.
— E da chi? — disse Cordoba. — Il carico è stato imbarcato di notte e con tutta segretezza.
— I consolati americani avranno avuto l’ordine di vegliare attentamente, e forse la presenza e le manovre del vostro yacht non sono sfuggite agli occhi degli agenti di Merida.
— Ebbene!... — disse la marchesa, con accento energico. — Veglino pure, noi usciremo ugualmente in mare e metteremo la prora su Cuba: è vero Cordoba?...
— Sì, signora — rispose il basco. — I nostri cuori sono solidi e non hanno mai tremato.
— Il mio Yucatan corre più veloce d’un uccello marino e lo monteranno uomini votati alla morte, pronti a tutto e decisi a tutto, anche a saltare in aria al grido di «Viva la vecchia Spagna!» — continuò la signora del Castillo, mentre un vivo rossore le coloriva le gote e di sotto le lunghe palpebre le scintillavano gli occhi d’un santo entusiasmo. — Ah!... I yankee vogliono Cuba!... Si vedrà se col blocco riusciranno ad affamare i valorosi, che difendono il territorio d’oltremare della nostra povera patria.
Fuoco e mitraglia correranno da un capo all’altro delle Grandi Antille e tutti pugneremo col furore della disperazione per cacciare in acqua quegli odiati mercanti, divenuti oggi pirati. No, non s’arrende la vecchia Spagna!... Se cadrà saprà cadere da valorosa, colle armi in pugno, col grido fiero sulle labbra e lo sguardo sereno dei forti.
— Vivaddio!... — esclamò il segretario. — Ecco le donne di Spagna!...
— Signor segretario, quali nuove dall’Atlantico? Si sono mosse le torpediniere comandate da Villamil?
— Si dice che tutta la squadra muove rapidamente verso la costa americana.
— E la squadra americana di Hampton-Roods le muove incontro?...
— Così si crede.
— Dunque fra pochi giorni avremo una furiosa battaglia? — chiese la marchesa, cogli sguardi ardenti.
— Tutto lo indica.
— Dio protegga i marinai spagnoli.
— Confidiamo nell’abilità dei comandanti e nella potenza dei nostri cannoni.
— Vi è anche il Cristobal Colon, cedutoci dall’Italia, è vero?...
— Sì, marchesa, una nave poderosa, giunta in buon punto per rafforzare la nostra squadra.
— Cordoba, la notte è oscura e piovosa?
— Sì, mia capitana.
— Partiamo, mio bravo lupo di mare. Andiamo a mostrare agli yankee di che cosa sono capaci le donne della vecchia Spagna.
— Sono ai vostri comandi.
— È radunato l’equipaggio?...
— Nella cappella della cattedrale.
— Andiamo signori. —
Si gettò in capo una grande mantiglia nera che le scendeva fino alla cintola, chiamò il maggiordomo, gli diede rapidamente alcuni ordini, gli fece un gesto d’addio, poi si slanciò nel giardino seguìta da Cordoba e dal segretario del consolato spagnolo.
Usciti dalla porticina, il lupo di mare, temendo che qualcuno cercasse di spiarli, andò a osservare i due angoli delle vie vicine e non vedendo alcuno, s’affrettò a raggiungere la marchesa ed il segretario del console spagnolo, dicendo:
— Possiamo andare alla cattedrale.
— Le corriere sono pronte? — chiese donna Dolores.
— Ci aspettano a mezzo miglio dalla città.
— Avete raccomandato al mayoral la massima segretezza?
— È uno spagnolo, un buon patriota, non dobbiamo quindi aver timore che egli ci abbia traditi.
— Anche i cocchieri sono sicuri?
— Tutti spagnoli.
— Va bene, Cordoba; mi fido interamente di te. —
In quel momento al vecchio orologio del palazzo del governo batterono dieci ore, seguìto poco dopo da tutti gli orologi dei numerosi campanili della città.
— È l’ora — disse la marchesa.
Affrettarono il passo e poco dopo giungevano dinanzi alla grande cattedrale, sulla cui gradinata si vedevano seduti due uomini che dal vestito sembravano marinai.
Vedendo la marchesa si erano prontamente alzati levandosi i berretti, mentre mormoravano:
— Aspettano la capitana.
— Eccomi a voi, giovanotti — rispose donna Dolores.
Mentre i due marinai si nascondevano dietro le colonne per impedire che nessuno si avvicinasse, la marchesa, Cordoba ed il segretario entrarono nella cattedrale.
L’immensa chiesa, una delle più vecchie ed una delle più ricche del Yucatan, era avvolta in una profonda oscurità. Solamente all’estremità opposta, due candele, situate su di un altare, spandevano una fioca luce entro una cappella.
Fra quella penombra, due file di ombre umane si disegnavano confusamente, perfettamente allineate ed immobili come se fossero di bronzo, mentre dinanzi ad un altare, che pareva fosse stato improvvisato, si discerneva un frate d’alta statura, con una lunga barba bianca che gli scendeva fino al petto.
Anche quell’uomo era immobile al pari degli altri ed in atteggiamento pensoso, ma teneva in una mano un vessillo, le cui pieghe avevano, sotto la luce delle candele, dei riflessi di fuoco.
La marchesa si era diretta, con passo fermo e risoluto, verso l’altare, sempre seguìta da Cordoba e dal segretario del consolato.
Quando fu vicino le due file, queste s’aprirono per darle il passo, mentre si udiva a mormorare sommessamente:
— La Capitana!... —
Due squadre di cinquanta uomini ciascuna erano schierate di fronte alla cappella, a capo scoperto ed in atteggiamento di profondo raccoglimento. Erano tutti bei pezzi di giovanotti, dai volti abbronzati, dai lineamenti arditi, vero sangue spagnolo. La marchesa s’arrestò un istante dinanzi a loro, gettando uno sguardo d’ammirazione e d’orgoglio sul suo equipaggio, poi prese dal frate la bandiera spagnola e spiegandola dinanzi all’altare, disse con voce tremante per l’emozione:
— Padre, benedici il vessillo della patria e tutti noi che siamo forse votati alla morte!... —
Il vecchio frate alzò la mano e benedì il vessillo che la marchesa aveva spiegato dinanzi a lui, mentre i marinai curvavano il capo.
— Ai valorosi che vanno a battersi per la vecchia Spagna — disse il religioso, con voce commossa. — Arrida a voi la vittoria sulle acque di Cuba.
— Padre, — disse la marchesa. — Noi giuriamo su questa bandiera che lotteremo fino alla morte, pel trionfo delle armi spagnuole.
— Lo giuriamo, — dissero in coro i marinai, mentre un fremito d’entusiasmo animava i loro volti abbronzati.
— Vittoria o morte!... — esclamò la marchesa.
— Viva la Spagna!... Viva il re!... — risposero i marinai.
— Andiamo, miei valorosi, — disse donna Dolores. — L’Yucatan ci aspetta!...
— Viva la nostra Capitana!... — sussurrò l’intero equipaggio.
Le due squadre, precedute dalla marchesa, da Cordoba e dal segretario del consolato, abbandonarono silenziosamente la cattedrale, si cacciarono nelle vie più oscure e uscirono da Merida senza che avessero incontrato alcuno.
Sette corriere, tirate ciascuna da quattro vigorosi cavalli, le attendevano a mezzo miglio dalle ultime case.
— Vi porterò le ultime istruzioni a Sisal, — disse il segretario del consolato, prima che la marchesa salisse.
— Vi avverto che fra tre ore noi leveremo l’àncora.
— Ho un cavallo che corre come il vento, donna Dolores. Giungerò contemporaneamente a voi.
— Vi attendo. —
Pochi minuti dopo le sette corriere correvano sulla polverosa strada di Sisal, trascinate in una corsa furiosa, e quattro ore più tardi l’equipaggio si trovava a bordo dell’Yucatan.