La capanna dello zio Tom/Capo XXVIII
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CAPO XXVIII.
Riunione.
Settimane succedettero a settimane senza differenza nella casa di Saint-Clare; e le onde della vita ripresero il loro corso ordinario là dove si era affondato il piccolo schifo. Come freddo, imperioso, ad onta de’ nostri più cari sentimenti, è l’andazzo delle cose umane! È pur forza mangiare, bere, coricarsi, alzarsi — badare continuamente a mille bagattelle, tuttochè ce ne importi nulla; l’abitudine macchinale di vivere rimane ancora superstite agli affetti più vitali che dileguarono.
Saint-Clare avea raccolto, senza avvedersene, tutti li interessi, tutte le speranze della sua vita intorno alla sua figliuoletta. Per Eva, accudiva a’ suoi averi; per Eva, avea distribuite le sue ore di lavoro; per Eva, badava a migliorare le sue sostanze, a promuovere i suoi affari commerciali — e questa cura gli era divenuta così abituale, che ora, perduta Eva, gli pareva non avere a pensar più nulla, a far più nulla.
Gli si aprìa innanzi un’altra vita — una vita solenne, ineffabile, che dà un valore misterioso ad ogni momento, per l’uomo che ha fede. Saint-Clare era capace di intenderla; e, spesso, nell’ore più gravi della sua solitudine, udiva una voce cara, infantile che lo chiamava dal cielo, vedeva una manina che gli additava il retto sentiero della vita; ma un peso enorme di tristezza lo aggravava, non gli permetteva di alzar la testa. Egli era una di quelle nature che per virtù del proprio istinto, per intuito del proprio intelletto sanno comprendere le cose di religione assai meglio che altri nol possa con pratiche materiali. Il dono di apprezzare in tutta la soavità loro e nei più intimi loro rapporti le verità morali, sembra dato talvolta a coloro che in tutta la loro vita se ne dimostrarono più trascurati. Quindi Moore, Byron, Goethe sanno esprimere sentimenti religiosi meglio che altri nol potrebbe, tuttochè divotissimo e fedele ai precetti della religione. Per costoro, la incuranza della religione è il più terribile de’ tradimenti — è un peccato mortale.
Saint-Clare non aveva mai preteso di assoggettar la sua vita ad alcun obbligo religioso; una certa squisitezza di sentire gli ispirava così alta idea del cristianesimo e dei doveri che imponeva, che egli se ne arretrava, impaurito dalla coscienza di averli a compiere, non sì tosto lo avesse abbracciato. L’instabilità della natura umana è tale, specialmente nella sfera dell’ideale, che ricusa di mettersi ad una impresa, anzichè abbandonarla imperfetta.
E tuttavia Saint-Clare era diventato altro uomo per molti riguardi. Solea leggere, da senno e con riflessione, la piccola Bibbia di Eva. Badava, ne’ rapporti coi servi, alla loro educazione, dolente della sua negligenza per il passato; tornato appena a Nuova Orleans, intraprese subito le pratiche legali per l’emancipazione di Tom, emancipazione che era impaziente di compiere, appena avesse soddisfatto alle formalità indispensabili. Intanto gli si affezionava ogni dì più. Nel gran vuoto che lo circondava, nulla, meglio di Tom, riusciva a ricordargli la sua Eva; volea gli stesse sempre a fianco; fastidioso verso tutti, chiuso a tutti per ciò che riguarda i suoi più intimi sentimenti, si apriva liberamente a Tom. Nè alcuno avrebbe potuto meravigliarsene, se avesse veduto con quanto affetto, con quanta devozione il povero schiavo stava sempre intorno al giovane suo padrone.
— «Tom — disse Saint-Clare, il giorno dopo che avea cominciate le formalità legali per l’emancipazione di lui — sto per fare di te un uomo libero; quindi metti in pronto il tuo fardello e disponti a partire per il Kentucky.»
L’improvviso raggio di gioia che rifulse sulla faccia di Tom, mentre innalzava le mani al cielo, l’enfatica sua esclamazione: «Iddio sia benedetto!» contristarono alquanto Saint-Clare; non avrebbe voluto che Tom fosse così disposto ad abbandonarlo.
— «Devi aver passate delle ore ben cattive con me per erompere in tale esclamazione, o Tom» osservò egli seccamente.
— «No, no, padrone! si è perchè diventerò uomo libero! Ecco ciò che produsse la mia gioia.»
— «E non ti pare di essere stato più felice con me che se fossi libero?»
— «No, davvero, padrone Saint-Clare — disse Tom con energia — no, davvero!»
— «Avresti avuto modo di procurarti, col solo lavoro delle tue mani, li abiti e il modo agiato di vivere che hai trovato in mia casa?»
— «Capisco, padrone Saint-Clare; il padrone è sempre stato buono con me; ma, padrone, amo aver povere vestimenta, povero tugurio, povera ogni cosa, ma che sien roba mia, anzichè aver molte cose, ma d’altri! Credo, che sia ben naturale, padrone.»
— «Te lo concedo, Tom; e perciò, da qui a un mese, te ne partirai, mi abbandonerai — soggiunse egli dolorosamente. — Nessuno al mondo ti potrebbe dar torto;» riprese subito con aria festevole, e cominciò a passeggiare su e giù della camera.
— «Non abbandonerò il padrone, finchè si trova nell’afflizione — disse Tom; starò col padrone finchè egli avrà bisogno di me — finchè potrò essergli utile.»
— «Finchè sarò nell’afflizione, o Tom? — disse Saint-Clare, guardando melanconicamente fuori della finestra. — E quando avrà fine la mia afflizione!»
— «Quando il padrone Saint-Clare sarà cristiano» rispose Tom.
— «E tu intendi veramente rimaner meco sino a quel giorno? — disse Saint-Clare, sorridendo; e scostatosi dalla finestra, pose la sua mano sulle spalle di Tom. — Ah, Tom, povero insensato, povero fanciullo! Non voglio trattenerti meco sino a quel giorno. Vattene a riveder tua moglie, i tuoi figliuoli, e reca loro l’attestato di mia affezione.»
— «Ho fede che quel giorno verrà — disse Tom prontamente; e colle lagrime agli occhi soggiunse: — il Signore ha un’opera per il padrone.»
— «Un’opera, eh? — disse Saint-Clare. — Potresti darmi qualche nozione di ciò che debba esser quest’opera? son tutto orecchi per ascoltarti.»
— «Mentre un povero schiavo, come son io, ha una missione dal Signore, il padrone Saint-Clare, che ha istruzione, ricchezze, amici — non potrà far nulla per il Signore?»
— «Pare che tu creda, o Tom, che il Signore abbia gran bisogno dell’opera mia» disse Saint-Clare sorridendo.
— «Operiamo per il Signore quando operiamo per le creature» disse Tom.
— «Buona teologia, Tom; miglior di quella che predica il dottore B.; te ne assicuro io.»
La conversazione fu interrotta dall’annunzio esser giunte alcune visite.
Maria Saint-Clare fu addolorata della perdita d’Eva quanto poteva esserlo; e siccome avea il privilegio di rendere infelici tutti coloro che la circondavano mentre ella soffriva, i servi che le stavano più davvicino, avean doppia ragione di lamentare la perdita di Eva, la quale colle sue gentili intercessioni, colle sue maniere garbate li avea più volte schermiti dalle crudeli, egoistiche esigenze di sua madre.
Mammy, specialmente, la povera vecchia, che, strappata dalla sua famiglia, avea trovato modo di consolarsene in quella dolce creatura, sentiasi spezzare il cuore. Dì e notte lamentavasi; per eccesso di dolore, era meno attenta, meno sollecita nelle sue cure intorno alla padrona; ciò che traeva sull’indifeso suo capo una continua tempesta di invettive. Enrico si curvava sorridendo verso la sua amabile cugina. Capo XXIII.
Miss Ofelia sentìa anch’essa quella perdita; ma, nell’onestà, nella rettitudine del suo cuore, il cordoglio producea frutti di vita eterna. La sua indole si era addolcita; e sebbene egualmente assidua nell’adempimento d’ogni suo dovere, sapea disimpegnarsene con aria serena, tranquilla, come persona che discende, non invano, nel proprio cuore. Si mostrava più diligente in educare Topsy — giusta i precetti della Bibbia — non più rifuggiva dal suo contatto, nè più manifestava quel disgusto malvelato, che per lo innanzi solea provare. Non la vedeva se non traverso il prisma che la mano d’Eva le avea posto sotto gli occhi; la vedeva creatura immortale che Dio le avea mandata perchè ella l’avviasse alla virtù, alla gloria. Topsy non divenne una santa tutto ad un tratto; ma la vita e la morte di Eva produssero in essa un notevole cambiamento. Avea deposta l’ostinata sua indifferenza; dimostrava sentimenti, desiderio del bene, brama di migliorare; e sebbene questi suoi desiderii, questi tentativi fossero talvolta incomposti, interrotti, le rinasceano pur sempre in cuore.
Un giorno Topsy, accorrendo alla chiamata di miss Ofelia, si nascose frettolosa alcunchè nel grembiale.
— «Che nascondi? hai tu rubato qualche cosa?» le dimandò aspramente la piccola Rosa che era venuta a chiamarla, ed afferrandola al tempo stesso per un braccio.
— «Lasciatemi stare, miss Rosa! — disse Topsy, svincolandosi — quest’affare non vi riguarda.»
— «Tu hai rubato — soggiunse Rosa; — mi accôrsi che nascondevi qualche cosa — conosco le tue bindolerie; - e Rosa, all’afferrandole nuovamente il braccio, si sforzava gettarle la mano dentro il grembiale; mentre Topsy, inviperita, lottava vigorosamente, tirava calci, per difendere ciò che chiamava suo diritto. Quella confusione, quello strepito fecero accorrere miss Ofelia e Saint-Clare sul luogo.»
— «Ha rubato!» disse Rosa.
— «Non è vero!» gridò Topsy, singhiozzando rabbiosamente.
— «Dammi ciò che hai nel grembiale!» disse miss Ofelia con accento risoluto.
Topsy tentennava; ma, ad una seconda intimazione, trasse fuori un piccolo involto che tenea chiuso in una suoletta di vecchia calza.
Miss Ofelia l’aperse. Vi era dentro un libretto che Eva avea dato a Topsy, libretto che conteneva un versetto della Bibbia adattato a ciascun giorno dell’anno, e una carta, una ciocca di capelli che ella le avea regalato in quel giorno memorabile del suo ultimo addio.
Saint-Clare fu vivamente commosso alla vista di quel libretto che era stato ravvolto in un lungo straccio di velo nero, staccato dalle bende del funerale.
— «Perchè — chiese Saint-Clare, prendendo in mano quel cencio di velo — vi hai ravvolto qua dentro questo libro?»
— «Perchè — perchè — perchè era di miss Eva. Non mel togliete, per carità!» soggiunse Topsy; e sedutasi sul pavimento, copertasi il volto col grembiale, cominciò a singhiozzare profondamente.
Era un misto singolare di bernesco e di patetico — quel vecchio scappino, quel brano di velo nero — quel libretto — quella bella, soave ciocca di capelli — e la desolante disperazione di Topsy.
Le labbra di Saint-Clare si mossero a sorriso; ma i suoi occhi eran pregni di lacrime, mentre disse:
— «Vanne, vanne, non piangere; non ti si toglie cosa alcuna!» raccolti quei pochi oggetti, li ripose nel grembiale della fanciulla, e ricondusse miss Ofelia nella sala.
— «Credo davvero che potrete condurre a bene quella giovane — disse egli, volgendo le spalle alla negra. — Il cuore che è capace d’un vero dolore, è capace di bene. Provatevi e riuscirete.»
— «Quella ragazza ha già molto migliorato — disse miss Ofelia. — Ho grandi speranze di lei; ma, Agostino — soggiunse ella, ponendogli la mano sul braccio — debbo chiedervi una cosa: è vostra o mia quella giovane?»
— «Ve l’ho regalata» rispose Agostino.
— «Ma non legalmente; desidero che sia mia legalmente» disse miss Ofelia.
— «Bene — disse Agostino; — ma che ne dirà, cugina mia, la società per l’abolizione? Istituiranno un giorno di digiuno, se voi pure diventate posseditrice di schiavi!»
— «Non me ne curo; voglio che sia mia, voglio poterla condurre meco agli Stati Liberi, e legalmente emanciparla; altrimenti non potrei compiere ciò che ho divisato.»
— «O cugina, che tremenda cosa fare il male a fin di bene! Non posso incoraggiarvi nel vostro disegno.»
— «Non ho voglia di celiare, ma di ragionare — disse miss Ofelia. — È inutile che io mi affatichi per educarla cristianamente, se non la salvo dalle eventualità, dai pericoli della schiavitù: e se voi avete realmente intenzione che io ne venga a capo, bisogna che mi rilasciate una carta di donazione, un qualche documento legale.»
— «Benissimo, benissimo — disse Saint-Clare — ve lo rilascierò;» siedette, e spiegò un giornale per leggere.
— «Ma ho bisogno che questa faccenda sia sbrigata subito» disse miss Ofelia.
— «E perchè avete tanta fretta?»
— «Perchè quando si vuol fare, bisogna far subito — rispose miss Ofelia; — eccovi carta, penna e calamaio; scrivete.»
Saint-Clare, come tutti gli uomini del suo naturale, odiava cordialmente il tempo presente del verbo fare; e quindi fu molto annoiato dall’insistenza di miss Ofelia.
— «Che necessità ci è? — diss’egli. — Non vi ho data la mia parola? Si direbbe che avete prese lezioni da un ebreo, per mettervi alle costole d’un galantuomo.»
— «Voglio esser sicura — disse miss Ofelia. — Voi potete morire o fallire, ed allora, a dispetto di quanto io possa dire, Topsy sarebbe venduta all’incanto.»
— «Davvero, siete ben previdente. Ma, poichè sono caduto nelle mani d’una Yankee1, non mi resta che cedere.»
Saint-Clare scrisse in tutta fretta una carta di donazione, che egli come molto versato in materie legali, compilò agevolmente; vi appose la propria firma corredata da un magnifico ghirigoro.
— «Eccovi un po’ di nero sopra un po’ di bianco, miss Vermont» disse egli nel porgerle la carta sottoscritta.
— «Buon ragazzo — disse miss Ofelia sorridendo; — ma non è necessario un testimonio?»
— «Oh, sicuro! — rispose egli, aprendo la porta che metteva nell’appartamento di Maria: — vieni qui, moglie mia, la cugina ha bisogno di un tuo autografo; apponi qui sotto la tua firma.»
— «Che è ciò? — chiese Maria, abbassandosi sopra la carta. — Ridicolaggini! credeva che nostra cugina, fosse pia abbastanza per non venire ad atti simili — soggiunse ella, scrivendo sbadatamente il suo nome: — ma giacchè le venne il ghiribizzo di aver quell’articolo, glielo cedo ben volentieri.»
— «Ora è vostra, anima e corpo» disse Saint-Clare, porgendo la carta ad Ofelia.
— «Non più che il fosse per l’addietro — disse miss Ofelia; — nessuno, tranne Dio, ha diritto di darmela; ma ora posso proteggerla.»
— «Ora è vostra per una finzione della legge» riprese Saint-Clare; e rientrò nella sala, dopo aver ripreso il suo giornale.
Miss Ofelia, che raramente soffermavasi a conversar con Maria, gli tenne dietro, ripiegando con molta accuratezza la carta di donazione.
— «Agostino — chiese ella improvvisamente — avete voi fatta qualche disposizione in favore dei vostri schiavi, nel caso di un decesso?»
— «No» rispose Saint-Clare, continuando a leggere.
— «Oh! allora la vostra indulgenza verso essi può tornar loro funestissima.»
Saint-Clare avea pensata più volte anch’egli la stessa cosa, ma rispose negligentemente:
— «Desidero di far quanto prima qualche cosa per essi.»
— «Quando?» chiese miss Ofelia.
— «Uno di questi giorni.»
— «Ma se moriste prima?»
— «Cugina mia, cosa mi dite? — chiese Saint-Clare, deponendo il giornale, e guardando in volto miss Ofelia. — Vi pare che abbia i sintomi della febbre gialla, o del cholera, per domandarmi con tanta istanza le mie disposizioni post mortem?»
— «La morte può coglierci a mezzo del cammin di nostra vita» disse miss Ofelia,
Saint-Clare sorse in piedi, mosse frettoloso verso l’uscio della camera che si apriva sulla verenda, per metter termine ad una conversazione che non gli garbava gran fatto. Ripetea seco stesso macchinalmente la parola finale — morte. — Appoggiato sul davanzale, stette a comtemplare l’acqua della fontana, che saliva e si ripiegava in pioggia di argento; contemplò i fiori, le piante, i vasi del cortile e ripetè nuovamente quella parola misteriosa, così comune sopra ogni labbro, e tuttavia sì terribile — morte! — Oh è pur singolare che esista questa parola, questa cosa, e che, noi vi pensiam sì poco! Quest’oggi un uomo è vivo, pieno di ardore, di bellezza, di speranze, di desiderii; non chiede che un giorno solo, e domani non è più!
Era un tramonto caldo, dorato; Saint-Clare, nell’avviarsi all’altro capo della verenda, vide Tom che leggeva attentamente la sua Bibbia, indicando col dito parola per parola, e mormorandole fra sè e sè.
— «Vuoi che ti legga io, Tom?» disse Saint-Clare siedendosi familiarmente accanto al buon negro.
— «Se piace al padrone — rispose Tom — volentieri; il padrone sa leggere assai più presto.»
Saint-Clare prese il libro, gittò lo sguardo sopra la pagina, e cominciò a leggere uno di que’ brani cui Tom avea posto un lungo contrassegno.
«Quando il Figliuolo dell’uomo verra, nella sua maestade, accompagnato da’ suoi angeli santi, siederà sopra il trono della sua gloria; e tutte le nazioni staran raccolte al suo cospetto; ed egli separerà l’uno dall’altro, come un pastore separa le agnelle dai capri.» E Saint-Clare continuò a leggere con voce animata, finchè giunse agli ultimi versetti:
«Allora il Re, voltosi a quelli che avrà a sinistra: Andate, dirà loro, o maledetti, nel fuoco eterno; perchè io era affamato, e non mi avete dato a mangiare; avea sete, e non mi avete dato da bere. Avea bisogno di ricovero, e non mi avete alloggiato: era nudo, e non mi avete vestito: era infermo, e non mi avete visitato. Allora essi gli risponderanno: Signore, quando vi abbiamo noi veduto affamato, assetato, senza ricovero, nudo, o ammalato, o carcerato, e che noi abbiamo mancato di assistervi? Ed egli soggiungerà: In verità vi dico; ogniqualvolta avete tralasciato di aiutare uno di questi pupilli, avete tralasciato di aiutar me.»
Saint-Clare parve commoversi a queste parole, perchè tornò a leggerle sommessamente, quasi ne meditasse il significato.
— «Tom — diss’egli — costoro, contro i quali è pronunziata sentenza così terribile, avran menata, come io, una vita comoda, onorata, senza darsi punto alcuna briga per sapere se molti de’ loro fratelli hanno fame, hanno sete, o sono in carcere?»
Tom non rispose.
Saint-Clare si levò in piedi, e cominciò a camminar pensieroso su e giù dalla verenda, assorto per modo nelle sue riflessioni, che Tom dovette dirgli ben due volte che il campanello avea suonato, che il thè era in tavola, prima di potersi far sentire.
Saint-Clare era distratto, meditabondo in tutto il tempo di tavola; siedette quindi, ma sempre taciturno, nella sala dove erano Maria e miss Ofelia.
Maria si adagiò mollemente sopra un sofà, sotto una cortina di seta che serviva di zanzariera, e fu ben presto addormentata: miss Ofelia si mise tacitamente a far le calze; Saint-Clare andò a sedersi al piano, e cominciò a suonare un’aria dolce e malinconica, con accompagnamento di arpa eolia. Parea sommerso in profonda meditazione, e che seco stesso conversasse colle note musicali. Di lì a poco trasse da uno scrigno un vecchio zibaldone di musica, che parea ingiallito dal tempo.
— Questo libro — diss’egli ad Ofelia — apparteneva a mia madre; ecco, vedete, la sua scrittura. Lo copiò e lo ridusse dal Requiem di Mozart.
Miss Ofelia si avvicinò per osservarlo.
— «Era solita a cantarlo — riprese Saint-Clare; — mi pare ancor di udirla.»
Fece alcuni accordi maestosi, e cominciò ad intuonare quell’antico e maraviglioso inno latino «Dies iræ.»
Tom, che stava aspettando sulla verenda, tratto da quel suono, si fece ben accosto alla porta, e stette attentamente ad origliare. Sulla prime non intendea le parole; ma la musica e la cadenza della voce parea che fortemente il commovessero, specialmente quando Saìnt-Clare venne alle strofe più patetiche. Tom si sarebbe intenerìto, ben più addentro, se avesse potuto comprendere il significato di queste belle parole: —
Recordare, Jesu pie, |
Saint-Clare dava a queste parole un’espressione profonda e patetica; perchè il velo del tempio gli parea tolto dinanzi agli occhi, e credea udire la voce di sua madre che guidava la sua. La voce e l’istrumento armonizzavano, quasi amendue avessero la stessa vita; tale era l’accento affettuoso con cui rendea quelle note, che il divino Mozart avea concepite per il suo stesso funerale.
Quando Saint-Clare cessò di cantare, stette alcuni momenti colla fronte appoggiata sulla mano, e quindi si mise a passeggiare su e giù per la camera.
— «Che sublime concepimento è mai quello di un giudizio finale! — diss’egli; — la riparazione di quante ingiustizie si commisero nel corso dei secoli! — una sapienza infallibile che dà lo scioglimento di tutti i problemi morali! è una idea veramente meravigliosa!»
— «È terribile per noi» disse miss Ofelia.
— «Lo sarà per me — riprese Saint-Clare, fermandosi pensieroso. — Questa sera leggea a Tom quel capitolo di S. Matteo, ove si parla di questo giudizio, e ne rimasi vivamente commosso. Si direbbe che coloro cui sarà chiusa la via del Cielo, debbano esser carichi di delitti: no; sono condannati per non avere oprato il bene, quasichè questa negazione racchiedesse in sè ogni peccato.»
— «Forse — disse Ofelia — chi non fa bene non può a meno che far male.»
— «E che sarà di coloro — continuava Saint-Clare, parlando fra se stesso, ma con profondo sentimento — che la propria educazione, il proprio cuore, i bisogni della società chiamavano ad altri imprese; che passarono la vita infingarda, oziosi spettatori delle lotte, dell’agonia, della miseria dell’umanità, mentre avrebbero dovuto agire?»
— «Credo — disse Ofelia — che sarebbe bene si pentissero della loro inerzia, e cominciassero ad operare.»
— «Siete donna di azione e di proposito! — disse Saint-Clare, la cui fronte si rischiarava. — Non mi date mai tempo di riflettere, cugina mia; mi stringete sempre nella sfera del presente; avete sempre sul labbro il vostro eterno, inesorabile ora.»
— «L’ora presenta il tempo di cui posso unicamente disporre» disse miss Ofelia.
— «Cara Eva, povera mia fanciullina! — esclamò Saint-Clare; — mi ha preparato un bel lavoro a compiere!»
Era questa la prima volta, dopo la morte di Eva, che egli parlava a questo modo, e ben si vedeva che reprimea li impeti d’un profondo sentimento.
— «Ho tale un concetto del Cristianesimo — soggiungeva egli — che chi il professa di cuore, credo non possa a meno di detestare il mostruoso sistema che serve di fondamento alla societa; e che, se occorre, egli deve sacrificarsi sul campo di battaglia. Parmi che, non potrei essere cristiano altrimenti, sebbene abbia conosciuto persone culte e morigerate che ne giudicavano diversamente; e confesso che l’apatla di certi nostri ministri a questo riguardo, la loro indifferenza per ingiustizie che mi faceano inorridire, mi condussero, più che altra considerazione, allo scetticismo.»
— «Se siete persuaso di tutto ciò — disse miss Ofelia — perchè non agite conformemente?»
— «Oh perchè io non aveva se non quel genere di benevolenza, che consiste nello sdraiarsi sopra un sofà e maledire il clero perchè non ha gran voglia di farsi martirizzare. È molto facile rimproverare ad altri di non voler subire il martirio.»
— «Ed ora siete disposto a mutar costume?» chiese miss Ofelia.
— «Dio solo conosce il futuro — rispose Saint-Clare. — Per l’addietro non fui mai tanto coraggioso, perchè ora ho perduto tutto; e chi non ha più cosa a perdere, può ben affrontare qualunque pericolo.»
— «Ed ora, che farete?»
— «Il mio dovere, e spero di farlo, verso i poveri, i deboli, come io l’intendo — disse Saint-Clare; — cominciando da’ miei proprii schiavi, pei quali non ho ancor fatto nulla, e forse si vedrà tra poco che io saprò far qualche cosa per una intiera classe; qualche cosa per salvare il mio paese dalla condizione umiliante in cui si trova al cospetto delle nazioni incivilite,»
— «Credete voi, che una nazione accordi liberamente l’emancipazione?» chiese miss Ofelia.
— «Nol so — rispose Saint-Clare; — ma l’età nostra è l’epoca delle grandi azioni; l’eroismo, l’abnegazione si manifestano qua e là sulla terra. I nobili ungaresi, a prezzo di danaro immenso, hanno data la libertà a milioni di servi: e forse si possono trovar pure tra noi anime generose, che non pongano l’onore, la giustizia, a lire e centesimi.»
— «Stento a crederlo» disse miss Ofelia.
— «Ma supponete che domani si accordi l’emancipazione. Chi vorrà educare questi milioni di uomini? chi insegnerà loro a ben usare della propria libertà? Non ne verranno mai a capo; noi stessi siamo troppo indolenti, per renderli operosi, per farne degli uomini. Andranno nel Nord, dove si lavora molto attivamente; ma, ditemi, vi è pur tra voi tanta filantropia cristiana da potersi lusingare che si avrà cura di educarli, di migliorarli? Mandate milioni di dollari alle missioni straniere; ma sarete disposti a ricevere nelle vostre città, nei vostri villaggi, un sì gran numero di uomini rozzi, ignoranti; consacrerete il vostro tempo, il vostro danaro, l’opera vostra per chiamarli alla bandiera del cristianesimo? Se noi emancipiamo, voi acconsentirete ad educare? Quante famiglie nella città vostra accoglieranno un negro, una negra in casa propria, per istruirli e farli cristiani? Se mi viene in capo di far Adolfo un commesso, quanti mercanti o manifatturieri saranno disposti ad ammetterlo nella loro officina? Se voglio metter Giovanna e Rosa nella scuola, trovansi nelli stati del Nord molti istituti per riceverle? Quante famiglie le accoglierebbero? eppure sono esse bianche altrettanto quanto voi; vedete, cugina mia, è pur necessario che ci rendiate giustizia. Noi siamo in una falsa posizione. Siamo oppressori dichiarati del Negro; ma il pregiudizio anticristiano del Nord non è meno tirannico.»
— «Lo so benissimo anch’io, cugino — disse Ofelia; — avea io stessa per essi un’avversione, che mi feci un dovere di vincere; ne venni a capo, e son certa che molte oneste persone del nord si recherebbero a dovere di imitarmi. Certamente, sarebbe maggior sacrifizio ricevere in casa nostra pagani, che inviar missionarii a evangelizzarli; eppure io ritengo che ne saremmo capaci.»
— «Son certo che voi lo fareste — disse Saint-Clare; — so che nulla vi è impossibile, quando vi credete obbligata.»
— «Non ho qualità superiori al comune degli uomini — proseguì miss Ofelia; — altri, se il vogliono, potranno agire egualmente. Intendo condur meco Topsy, quando tornerò a casa. Forse, sulle prime, i miei compagni ne faranno le maraviglie; ma credo che ben presto imiteranno il mio esempio. D’altronde, so di certo che molte persone nel Nord hanno già fatto ciò che voi proponete.»
— «Sì, ma si trovano in minoranza; e se l’emancipazione si facesse in grande scala, son certo che vi trovereste impicciati.»
Miss Ofelia non oppose osservazioni. Stettero amendue silenziosi per qualche momento; il contegno di Saint-Clare era abbattuto, malinconico più che mai.
— «Non so ciò che mi faccia questa sera pensare tanto a mia madre — ricominciò egli. — Io la sento, come se ella fose presso di me. Mi tornano a mente mille cose che solea dire. Strana questa potenza misteriosa che ci richiama tante reminiscenze!»
Saint-Clare ricominciò a camminare per alcuni momenti su e giù per la camera, e quindi riprese;
— «Voglio uscire un momento, per sapere le notizie di questa sera.»
Prese il suo cappello, ed uscì.
Tom, che lo aspettava nel cortile, gli si avvicinò, chiedendogli se dovea accompagnarlo.
— «No, figliuol mio — rispose Saint-Clare; — sarò di ritorno fra un’ora.»
Tom siedette sotto le arcate della verenda. Facea un lume di luna magnifico; Tom osservava lo zampillare della fontana, e porgea l’orecchio al mormorio dell’acqua. Pensava alla sua famiglia, pensava che tra poco sarebbe uomo libero e che potrebbe rivederla; avvisava ai mezzi di riscattar sua moglie e i suoi figli. Palpava con una specie di orgoglio e di gioia i muscoli delle sue braccia, pensando che tra poco gli apparterrebbero, e che potea ancor molto lavorare per redimere la sua famiglia. Pensò quindi al giovane suo padrone, e recitò le preghiere che solea innalzar per lui; pensò alla bella Eva, che ora sapeva in compagnia degli angioli; gli pareva che que’ capelli dorati, quel volto luminoso, lo guardassero traverso i zampilli della fontana. Così fantasticando si addormentò, e sognò che ella veniva verso di lui, raggiante nel volto e nello sguardo di inusitata allegrezza, con una ghirlanda di gelsomino sul capo; ma mentre l’osservava, quella parea levarsi di terra, le sue gote impallidivano, i suoi occhi si illuminavano in modo celestiale, un’aureola di luce le cingea il capo, e quella dileguava. Tom si riscosse con sussulto, e udì alla porta il suono di molte voci.
Corse ad aprire; e alcuni uomini, con passo faticoso, con voce fioca si fecero innanzi, portando su d’una barella il corpo di un uomo avviluppato nel mantello. La luce della lampada rischiarava tutto quanto il volto del giacente; Tom gettò uno strido acutissimo di sorpresa, di disperazione; grido che risuonò per tutte le gallerie, mentre gli uomini procedevano col loro peso verso la porta della scala, dove miss Ofelia stava ancora lavorando.
Saint-Clare si era recato al caffè per leggere i giornali della sera. Mentre egli leggeva, scoppiò nella stessa camera una rissa tra due uomini quasi avvinazzati. Saint-Clare, ed uno o due altri spettatori tentarono separarli, quando egli fu colpito in un fianco da un coltellaccio da caccia, che egli si sforzava di strappare a uno de’ combattenti.
La casa fu subito piena di strida, di lamenti, di gemiti, di compianto; i servi si strappavano furiosamente i capelli, si rotolavan per terra, correano all’impazzata, urlando e schiamazzando. Tom e miss Ofelia furono le sole persone che seppero conservare la loro presenza di spirito; Maria si dibatteva tra convulsioni violente. Per consiglio di miss Ofelia, il giacente venne adagiato su d’un sofà, che fu subito convertito ad uso di letto; Saint-Clare era caduto in deliquio, sì per il dolore, sì per la perdita del sangue; ma le cure di Ofelia valsero a ravvivarlo, talchè egli aperse gli occhi, guardò fissamente le persone che avea dintorno, volse lo sguardo di cosa in cosa, e lo fermò alla fin fine sul ritratto di sua madre.
In quella arrivò il medico, e prese ad esaminar la ferita. Ben si vedeva dall’espressione del suo volto che non vi era più speranza; si diede tuttavia a medicar la piaga, ed egli, miss Ofelia e Tom, procedevano attentamente in questa opera, tra i lamenti, i singhiozzi, le strida degli schiavi spaventati, che si affollavano agli usci, alle finestre della verenda.
— «Bisogna — disse il medico — allontanare quella gente; tutto dipende dal tenerlo tranquillo quanto più è possibile.»
Saint-Clare aprì gli occhi, e li fissò a lungo su quegli esseri disperati che miss Ofelia ed il medico procuravano di allontanar dalla camera. «Povere creature!» esclamò il moribondo; e un’espressione di amaro rimprovero, di rimorso gli offuscò il volto. Adolfo non volle a nessun costo allontanarsi; il dolore gli avea tolto il senno; si abbandonò disteso sul pavimento, e non vi fu modo di farlo rialzare. Gli altri cedettero alle istanze di miss Ofelia, la quale dimostrava loro come la salvezza del padrone dipendesse dal loro silenzio e dalla loro ubbidienza.
Saint-Clare stentava ad articolar le parole; quantunque tenesse li occhi chiusi, ben si vedeva che la sua anima era travagliata da dolorosi pensieri. Di lì a poco stese la mano a quella di Tom, che gli stava inginocchiato al fianco, e gli disse:
— «Tom! povero Tom!»
— «Che vi è, padrone?» chiese Tom con affanno.
«Muojo — rispose Saint-Clare stringendogli la mano; — prega.»
— «Se voleste un ecclesiastico» disse il medico.
Saint-Clare scosse prontamente il capo, e disse di bel nuovo e con maggior calore a Tom:
— «Prega.»
E Tom pregava con tutto il cuore, con tutte le sue forze per quella anima che stava per passare; per quell’anima che parea sogguardarlo così accorata, così affettuosa, da que’ grand’occhi azzurri. Era veramente la preghiera offerta con lacrime e forti strida.
Quando Tom finì di pregare, Saint-Clare gli strinse nuovamente la mano, lo guardò involto, ma senza pronunziar parole. Chiuse li occhi, ma senza abbandonare la mano di Tom; sicchè, la man nera e la man bianca si strinseso reciprocamente sulle porte dell’eternità. Mormorò sommossamente tra sè, e ad intervalli:
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Ben si vedeva che le parole da lui cantate quella sera, gli tornavano in mente; parole di sentimento rivolte alla pietà infinita. Le sue labbra si movevano di quando in quando, e ne usciano parole tronche dell’inno.
— «La sua mente delira» disse il medico.
— «No, rientra finalmente in se stessa! — proruppe Saint-Clare con forza; - finalmente! finalmente!»
Lo sforzo che egli fece per parlare, lo spossò affatto. Il pallore della morte gli coprì il volto; ma vi apparve al tempo stesso, quasi diffusa dalle ali d’un qualche spirito pietoso, una ineffabile espressione di pace, simile a quella d’un fanciulletto, che, dolcemente stanco, si addormenta.
Così stette alcuni momenti. Ben si avvidero li astanti che la mano potente lo aggravava. Prima che l’anima si dipartisse, aprì gli occhi con un subito lampo di gioia, quasichè riconoscesse qualche amata persona, e disse:
— «Madre!»
E quindi spirò.
Note
- ↑ Americana del Nord.