La Sovrana del Campo d'Oro/XXXII
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CAPITOLO XXXII
Lo scoppio del «grisou»
La gabbia aveva cominciato a scendere nel pozzo tenebroso con una certa rapidità, ondeggiando nel vuoto.
Blunt e Harris, un po’ rassicurati dalle ultime parole del bandito, il quale aveva fatto loro balenare la speranza di trovare nella miniera dei compagni, ritirarono la lampada perchè non corresse il pericolo di spezzarsi, poi si curvarono sull’orlo della gabbia, cercando di scoprire nel fondo un barlume di luce.
— Che vi siano altri prigionieri laggiù? — aveva detto lo scrivano. — Non mi rincrescerebbe trovare altri disgraziati. Potremmo metterci d’accordo per tentare qualcosa.
— Mi viene un sospetto, — aveva risposto l’ingegnere.
— Quale? Che ci abbiano ingannati?
— No, che ci mandino a raggiungere il signor Clayfert.
— Il padre di miss Annie!
— Si trovava prigioniero di Roock, lo sapete.
— Sarebbe una fortuna, signore! — esclamò Blunt.
— Sì, se fossimo liberi però, — rispose Harris, che sembrava invece assai inquieto.
— Penserà Buffalo Bill a levarci di qui. Ah! vedo un po’ di luce là in fondo! Quanto è profondo questo pozzo? Ci vuol molto tempo prima di arrivare.
— Ho udito raccontare che nella miniera di Waterpoket si lavorava a profondità straordinarie, — rispose Harris.
— Quei bricconi hanno scelto un bel luogo. Sarà poi questa la miniera di Waterpoket?
— Lo suppongo.
— E ancora non termina questa discesa. Andremo all’inferno!
— Finiremo per arrivare: ritirate il capo, Blunt. il pozzo si restringe.
La discesa continuò due o tre minuti ancora, poi la gabbia toccò il fondo.
Una voce che veniva dall’alto gridò tostò:
— Scendete: ritiriamo il barile.
— Muori dannato! — rispose Blunt, balzando a terra.
Harris era già uscito dalla gabbia, e s’era fermato presso una lampada di sicurezza che stava appesa alla parete.
— Siamo in mezzo al carbone, — disse.
Si trovavano in una vasta sala sotterranea, sorretta da una dozzina di colonnati formati da blocchi di carbone. A destra ed a sinistra s’aprivano parecchie gallerie tenebrose, per la maggior parte ingombre di ammassi di carbone che i minatori non avevano avuto il tempo di portare alla superficie.
Anche là si vedevano carrelli rovesciati, rotaie di ferro e un certo numero di bardature che aveva servito ai cavalli destinati a condurre il combustibile dalle gallerie al pozzo d’innalzamento.
— Signor Harris, — disse Blunt, — non vedo nessuno qui. Dov’è la compagnia promessa?
— Mi pare di scorgere un barlume di luce in fondo a quella galleria, — rispose l’ingegnere, che si era avanzato fino al centro della caverna.
— Andiamo a vedere, signore.
Staccarono anche la lampada appesa alla parete e s’inoltrarono nella galleria che era semi-ostruita da massi enormi. Le armature delle volte, non più riparate, erano qua e là cadute.
— Adagio, Blunt, — disse Harris. — Può rovinarci addosso qualche frana.
— Che questa miniera sia stata abbandonata da lungo tempo?
— È probabile; le armature sono infatti in pessimo stato.
— Piove, signore!
— È l’acqua che filtra.
— Quei furfanti avrebbero dovuto provvederci d’un impermeabile. Fortunatamente qui fa assai caldo; e ci asciugheremo facilmente. Sì, vi è un lume là in fondo.
— E un uomo, — aggiunse Harris.
— Che lavora?
— Mi pare che cerchi di intaccare la parete. Ha un arnese in mano.
Raddoppiarono il passo e scorsero infatti un uomo di alta statura, con una lunga barba bianca arruffata, vestito di panno grossolano che cadeva a brandelli, il quale, armato d’una rotaia, menava colpi formidabili contro la parete della galleria.
— Chi siete voi? — chiese Harris, alzando la lampada.
Quell’uomo, che pareva non si fosse ancora accorto della presenza dei due prigionieri, tanto era assorto nel suo lavoro, udendo quella voce, si era vivamente voltato, alzando la rotaia e prendendo una posa difensiva.
— Non ho fame, — disse.
Poi accortosi di aver dinanzi due sconosciuti, che non aveva mai visti prima di allora, lasciò cadere la sbarra facendo un gesto di stupore.
— Voi non siete i banditi di Will Roock, è vero? — chiese.
— No, signore, siamo suoi prigionieri, — rispose Harris.
— Fa ancora dei prigionieri quel manigoldo? — disse il vecchio con voce irata. — Quando avrò un vendicatore che lo punisca dei suoi misfatti? Non esiste più una giustizia negli Stati dell’Unione?
— Scusate, signore, — disse Harris. — Sareste voi il padre di miss Annie Clayfert?
— Di Annie! — gridò il vecchio. — Chi siete voi per parlarmi di lei?
— I suoi più devoti amici, signore. Siamo stati noi a condurla nel Gran Cañon.
Una intensa commozione aveva alterati i lineamenti del vecchio minatore.
— Voi, suoi amici! — esclamò. — Dov’è mia figlia? Parlatemi, parlatemi di lei.
— Vi è nessuno che possa ascoltarci qui?
— I banditi scendono una volta soltanto al giorno in questa miniera per portarmi da mangiare e rinnovare l’olio delle lampade — disse Clayfert. — Non vi è nessuno che possa udirci. Venite nella caverna centrale: qui si soffoca e poi la galleria è satura di grisou.
Staccò la lampada che aveva deposta in una cavità della parete, e condusse i due californiani nella caverna centrale, dove in un angolo si scorgeva una piccola tettoia che un tempo ospitava i cavalli.
— La mia dimora, — disse, entrando. — E vi abito da quasi tre mesi.
Il mobilio consisteva in un materasso, una sedia ed una tavola su cui stavano una brocca piena d’acqua, alcune pagnotte di mais e gli avanzi d’un prosciutto affumicato.
— Narratemi, signore, — disse ad Harris. — Muoio dall’impazienza di aver notizie della mia adorata Annie.
L’ingegnere riassunse alla meglio le varie vicende del viaggio attraverso la California e l’Arizona, le persecuzioni subite e gli attentati del Re dei Granchi, e terminò raccontando come fossero stati catturati dagli Apaches prima, dai vaqueros e dai negri poi.
Clayfert, che aveva ascoltato senza mai interromperlo, quando Harris ebbe finito, porse le mani ai due bravi giovani, dicendo con voce profondamente commossa:
— Non scorderò mai quello che avete fatto per la mia Annie; signor Harris, vi considero ormai come mio figlio e sarò orgoglioso di avere un tale genero. Grazie, miei giovani amici: siete due eroi.
— Ma vostra figlia, signor Clayfert, è sempre nelle mani degli Apaches.
— Victoria nulla oserà centro di lei.
— Mi togliete una terribile spina dal cuore.
— Quel capo non è cattivo, come generalmente si crede, e noi gliela chiederemo, pagando una taglia in armi e liquori. E poi, se vi è di mezzo Buffalo Bill, può darsi che quel diavolo d’uomo trovi il mezzo di sottrarla agli Apaches senza pagare un dollaro. So quanto vale quel coraggioso scorridore delle praterie americane.
Ora dobbiamo pensare a fuggire noi.
— Sarà un affare piuttosto serio, signor Clayfert, — disse Blunt. — Ci hanno cacciati in una prigione molto sicura.
— Forse meno di quello che credete, — rispose il vecchio. — Da solo non sarei probabilmente riuscito; ma col vostro aiuto non dispero di riaprire la galleria.
— Quale galleria? — chiese Harris.
— Ascoltatemi, ingegnere, — disse Clayfert. — Io conosco benissimo questa miniera, chiamata di Waterpoket, poichè vi ho lavorato nella mia gioventù. Ha due sbocchi, uno verso ponente, ed è quello occupato dai banditi, un altro verso levante, che termina sulla riva del Colorado. La galleria in cui mi avete trovato, mette in quella di levante per mezzo d’un pozzo che forse non hanno chiuso. Me ne sono accorto perchè una corrente d’aria filtra attraverso i rottami che la ingombrano.
Un giorno, per persuadermene, a rischio di fare scoppiare il grisou, ho aperta la lampada di sicurezza accostando la fiamma a quelle macerie, e l’ho veduta vacillare e piegarsi ripetutamente dalla mia parte. Mi sono in tal modo convinto che solo da quella parte è possibile fuggire.
La galleria era allora ingombra, fino al suo sbocco in questa caverna, di carbon fossile e di massi calcarei, perchè le armature avevano ceduto in parecchi luoghi. Lavorando assiduamente sono riuscito a vuotarla per una lunghezza di cento quaranta metri.
— Senza che i banditi se ne accorgessero? — chiese Blunt.
— Non ne scende che uno solo, una volta ogni ventiquattro ore e, appena deposto il cibo e riempite le due lampade, risale in fretta. Nessuno si è mai occupato di sapere come impiego il mio tempo.
— Signor Clayfert, — disse Harris, — andiamo a visitare quella galleria. Sono ingegnere e le miniere non hanno misteri per me.
Il vecchio si alzò, e prese le lampade dicendo: — In tre, giudicheremo meglio se da quella parte possiamo uscire.
Riattraversarono la caverna e si cacciarono nella galleria, giungendo ben presto all’estremità.
— Vedete, — disse Clayfert. — Una frana ha ostruito il passaggio. Se si potessero togliere queste macerie, sono certo che noi potremmo giungere ad uno dei pozzi che conducono all’uscita di levante.
Harris guardò attentamente la massa di detriti che ingombrava la galleria e appoggiò il viso ad una fenditura.
— Ma sì; — disse, — giunge dell’aria.
— Le macerie avranno un grande spessore? — chiese Blunt.
— Non credo, — rispose l’ingegnere, dopo aver percossa la massa con la sbarra di ferro che aveva servito poco prima al vecchio minatore.
— Non vi sarà pericolo che, una volta scavato un passaggio, si produca un’altra frana e ci seppellisca?
Harris guardò le volte che erano parzialmente coperte da grosse traverse di legno, poi disse:
— La roccia è compatta, e qui non vi sono abbondanti infiltrazioni. Ritengo che resisterà.
— Signor Harris, — disse Blunt, — non perdiamo tempo. Giacchè da questa parte forse esiste una via di salvezza, attacchiamo senz’altro quest’ostacolo. Siamo in tre, e tutti robusti: che cosa dite, signor Clayfert?
Il vecchio approvo con un cenno del capo, poi chiese:
— Prima di cominciare, volete fare colazione? Will Roock non vi avrà certo offerto delle bistecche prima di calarvi quaggiù.
— Veramente, signore, facevo gli occhi dolci al vostro prosciutto — disse Blunt. — In questo paese pare che non si abbia molta cura del ventre dei prigionieri, è vero, signor Harris?
— Li lasciano senza pranzo quanto più lungamente è possibile, — rispose il giovane ridendo.
— Ho un altro prosciutto in serbo, — disse Clayfert — e anche due bottiglie di brandy, che ho risparmiato per servirmene nella fuga. Metto tutto a vostra disposizione, miei giovani amici. Mangeremo un boccone qui.
— Vi hanno trattato sempre bene quei miserabili? — chiese Blunt.
— Finora non ho avuto da lamentarmi, di loro. Non mi hanno lasciato mancare nè il cibo, nè il tabacco, nè la luce. Solo tre giorni or sono hanno minacciato d’uccidermi se tardava a giungere il riscatto chiesto a mia figlia. Aspettatemi.
Il vecchio uscì dalla galleria e tornò poco dopo, portando due pagnotte di mais, condite con grasso d’orso, un prosciutto, una brocca d’acqua, una bottiglia di brandy ed un piccolo coltello.
Si sedettero su alcuni blocchi di carbone, intorno alle lampade, e si misero a mangiare con appetito invidiabile, annaffiando il prosciutto con qualche sorso di liquore.
— Signor Clayfert, — disse Blunt, — quel Will Roock è stato un giorno alle vostre dipendenze?
— Sì, lavorava nella mia miniera di Great Falls.
— Che si trova qui nel Gran Cañon? — chiese Harris.
— Nel Marble Cañon, ingegnere, — rispose il minatore. — Era ricchissima: v’erano numerosi filoni auriferi, che fruttavano assai, e sarei diventato ben presto milionario senza quell’uomo.
— E’ stato lui a rovinarvi?
— Sì, ingegnere. Quel miserabile sobillava i miei operai, perchè mi si ribellassero e s’impadronissero della miniera. Accortomi dei suoi delittuosi tentativi, lo scacciai, dopo averlo frustato in viso. Se ne andò, giurando di vendicarsi, e mantenne la parola. Si era alleato coi Navajoes ed un giorno lo vedemmo riapparire alla testa di due o trecento indiani.
Invano tentammo di resistere all’invasione. Gran parte dei minatori fuggì, altri furono uccisi e scotennati sotto i miei occhi, ed io venni fatto prigioniero. La miniera fu inondata, facendo saltare con alcune cartucce di dinamite una cateratta che muoveva i piloni per lo stritolamento dei quarzi auriferi.
— E vi condusse poi qui? — chiese Harris.
— Sì, ingegnere. Quel brigante, non contento d’essersi impadronito della cassa della miniera che conteneva circa seicentomila dollari in pepite e polvere d’oro, esigeva ancora una forte somma per lasciarmi libero.
— Signor Clayfert, — disse Blunt. — Io spero che se usciremo da questo inferno, non lascerete invendicati i vostri minatori.
Un lampo terribile balenò nelle pupille del vecchio.
— O Will Roook ucciderà Clayfert od io lui, — disse con accento d’odio. — L’ho giurato sul capo di mia figlia e manterrò la promessa. Non usciremo entrambi vivi dal Gran Cañon. Ed ora, miei giovani amici, al lavoro per riacquistare la nostra libertà.
— Io demolirò la frana e voi trasporterete le macerie, — disse Harris. — Devo assicurarmi, coi miei occhi, della resistenza e dello stato della volta.
Il giovane afferrò la rotaia, di cui si era fino allora servito il vecchio, e assalì energicamente la frana, mentre i suoi due compagni asportavano i massi di carbone e di roccia, sgretolati dal ferro.
Per due ore l’ingegnere lavorò febbrilmente, poi lo sostituì Blunt, cui il vecchio minatore diede in seguito il cambio.
Poichè quei massi erano uniti a detriti carboniferi, lo sgombero della galleria procedeva rapidissimo. Una speranza poi animava i lavoratori: quella di giungere facilmente dall’altra parte.
I colpi che essi vibravano contro la frana echeggiavano sempre più sonori, indizio sicuro che l’ostacolo non doveva avere un grande spessore. Infatti, dopo otto ore di lavoro ininterrotto ed accanito, senza che si verificassero nuove frane, i tre californiani videro abbattersi la parete e si sentirono investire da una forte corrente d’aria.
Harris, che aveva vibrato quel colpo fortunato, non aveva potuto frenare un grido.
— La via è aperta!
Poi aggiunse subito:
— Badate! Vi è del grisou anche qui! Non aprite le lampade!
Fra i massi di carbone, rovesciati da quell’ultimo colpo di rotaia, si udiva ad intervalli un leggiero crepitìo. Era il pericolosissimo gaz detonante che si sprigionava, sfuggendo attraverso le fenditure della miniera.
— Avanti! — aveva gridato Clayfert. — La libertà sta dinanzi a noi!
Tutti e tre si erano slanciati attraverso alla galleria, certi di giungere ben presto ad un pozzo che permettesse loro di raggiungere lo sbocco di levante.
Avevano già percorsi duecento metri ed erano sbucati in una seconda caverna assai più vasta dell’altra, e completamente ingombra di ammassi di carbone, quando udirono in lontananza una sorda detonazione che si propagò rapidamente sotto quelle volte tenebrose.
Harris aveva mandato un grido:
— Che cosa è scoppiato?
Si era vivamente voltato.
Una luce intensa avvampava in fondo alla galleria che avevano allora lasciata. Pareva che un torrente di fuoco avesse invasa la miniera.
— Il grisou! — urlò. — A terra!
Con una spinta improvvisa gettò Blunt ed il vecchio dietro un alto cumulo di carbone, gridando:
— Copritevi gli occhi!
Una tromba di fuoco irruppe nella caverna, atterrando e disperdendo, con impeto formidabile, gli ammassi di carbone, e schiantando le armature delle volte, poi si dileguò con rombo assordante attraverso i pozzi, che mettevano nella parte superiore della miniera.