La Signora di Monza/Capitolo IV

Suor Virginia de Leyva

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IV.


SUOR VIRGINIA DE LEYVA

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1607 die sabathi XXII mensis dicembris.

Mediolani in monasterio Boccheti in quadam camera superiori habens fenestras versus claustra.

Coram Ill.mo et M. R. D.no Hieronimo Saracenio Vic. Crim. Curiæ Archiep. Mediolanensis, meque notario.


Constituta soror Virginia Maria filia q.m ill.mi D.ni Martini de Leyva, monialis sactæ Margaritæ, oppidi modoetiæ, et nunc degens in dicto monasterio Boccheti, actrix principalis quoad se, et testis quoad alios.


Delato sibi juramento veritatis dicendæ, juravit tactis scripturis:

interrogata an sciat seu saltim præsumat causam sui præsentis examinis et ob quam fuit reposita in hoc monasterio;

respondit:


1607 questo giorno di sabbato 22 dicembre.

Milano, nel monastero del Bocchetto, in una camera superiore guardante verso il chiostro.

Alla presenza dell’illustrissimo e molto reverendo signor Gerolamo Saraceno, vicario criminale della Curia arcivescovile, e di me notaro.

Chiamata ad esame suor Virginia, figlia del fu illustrissimo signor Martin de Leyva, monaca di Santa Margherita in Monza, ed or dimorante in questo monastero del Bocchetto, principal attrice quanto a sè, e testimonio quanto ad altri.

Deferitole giuramento, ecc.


interrogata se sappia o presuma saper la causa dell’attual esame, e perchè sia stata riposta in questo Monastero;

rispose: [p. 92 modifica]

» Io non so altro, se non fosse per causa di non so che parole che si dicevano per conto di Giampaol Osio; e che per questo sono stata riposta qua; che io l’ho sempre desiderato d’essere riposta qua.


Interrogata ut exprimat quænam verba dicerent occasione dicti Osii

respondit:


Interrogata che accenni quai discorsi si tenevano a proposito dell’Osio;

rispose:


» Io ho sentito alle volte dai Superiori, e particolarmente da monsignor Barca, e da persone monzasche andar dicendo, che io, per la vicinanza tra la casa di Giampaolo e del nostro Monastero, facessi all’amore con lui.


Interrogata numquid verum sit quod ipsa amores duceret cum Osio et quamdiu sit;

respondit:


Interrogata se sia vero che essa facesse all’amore coll’Osio, e da quanto tempo;

rispose:


» È la verità che ho fatto l’amore, ma amore forzato; che, per conto d’amor volontario, non lo avrei fatto col Re di Spagna. Sono sette anni che cominciò questo amore tra me e l’Osio.


Interrogata explicet hoc initium amoris quomodo sese habuit;

respondit:


Interrogata che spieghi questo principio d’amoreggiamento, e come avvenisse;

rispose:


» Il principio fu a questo modo; che avendo io uno Joseph Molteno fiscale in Monza, e mio agente che faceva i fatti miei, fu ammazzato dal detto Giampaolo; e stando perciò esso Giampaolo ritirato nel suo giardino, il qual è contiguo alla muraglia del nostro Monastero, e ritrovandomi a caso nella camera di suor Candida Brancolina vicina alla mia, la qual aveva una finestra che rispondeva in detto giardino, vedendomi lui a quella finestra mi salutò; e dopo, essendo io andata un’altra volta a quella finestra, tornò a salutarmi, e mi accennò [p. 93 modifica] di volermi mandare una lettera. Io, ch’ era in collera con lui per l’omicidio suddetto, vedendomelo così davanti gli occhi, e parendomi che strappazzasse la giustizia, ne feci avvisato il signor Carlo Pirovano affinchè lo mandasse a pigliare e mettesse prigione: egli mandò sua madre a pregare la Priora che volesse operar meco che facessi che il detto signor Carlo soprasedesse la condanna contro di lui, ed anche operasse che gli fosse fatta la proroga e remissione: e così la Priora mi pregò, ed anco mi comandò sotto pena della obbedienza; così scrissi al Pirovano, ch’era auditore di Monza, che fosse contento di farlo; il qual mi rispose, che, sebben era stato pregato da molti cavalieri, e non l’aveva voluto fare, per amor mio se ne contentava: e ciò inteso dall’Osio, me ne ringraziò assai dal giardino, dicendo che non mi sarebbe manco servitore di quello mi fosse stato il Molteno; e che desiderava scrivermi una lettera. Così, tra alcuni giorni, essendo lui nel giardino, mi mostrò una lettera che aveva in mano, facendomi cenno di volerla buttare, come la buttò, dentro la mura ch’è tra’l suo giardino e la corte delle galline del nostro Monastero; e mi pare che suor Ottavia andasse per essa e me la portasse: e perchè vidi che tal lettera mi pareva che fosse un po’ licenziosa, e contenesse intenzione di far amore lascivo meco, per ciò gli rescrissi facendogli un gran rabbuffo, che mi maravigliavo di lui, che avesse ardire di trattare con un par mio a quella maniera; e che desistesse, altrimenti ne lo avrei fatto pentire. Ed esso Giampaolo, il qual er’amicissimo di prete Paolo Arrigone, si consultò con lui, che modo dovesse tenere in escusarsi meco; ed esso gli disse che quella non era la strada d’amicarmi, ma che bisognava ingannarmi, e scrivermi una lettera, nella qual mostrasse segno di santità; e così me ne scrisse un’altra in cui mi domandava perdono della mala creanza usatami, e che per l’avve[p. 94 modifica]nire sarebbe stato in guardia di non disgustarmi, e non avrebbe fatto se non quanto fosse stato il piacer mio: e così fu mandato giù un filo da quella fenestra, e tirata su quella lettera. La madre di Giampaolo mi mandò una scattola di fiori di seta di Bologna con alcune palle muschiate; ma credo fosse Giampaolo a mandarmele: l’Arrigone mi disse poi, che, a consigliare l’Osio di scrivermi in quella maniera era stato lui, e che se la lettera fu in nome dell’Osio l’innamorato era lui, e se ne scoperse meco. Nella sopradetta lettera l’Osio mi chiamava grazia di potere ragionar meco al parlatorio; ed io gliel’accordai: venne una notte nel parlatorio del confessore, che suor Ottavia gliene buttò la chiave dissopra il muro; e così vi entrò. Divisi com’eravamo dalla doppia grata, ragionassimo di cose di creanza: mi domandò perdono dell’omicidio del Molteno, e mi esibì farmi ogni servizio in suo scontro; insomma mostrò la maggior modestia che si potesse più immaginare.


Subdit interrogata;


Interrogata, soggiunse;


» Giampaolo faceva all’amore con una Isabella de Ortensii secolare, la qual’era nel Monastero educanda; ed avendo io trovato che stavano guardandosi alla cortina delle galline, gli feci un grande rabbuffo che portasse così poco rispetto al Monastero, massime che la detta giovine era data in mia custodia; e questo fu per cui scrisse la prima lettera, e se n’andò via abbassando la testa.


Subdens;


Soggiungendo;


» Dopo ch’ebbi veduto l’Osio due volte nel parlatorio, e particolarmente dopo ch’ei sempre più si restrinse coll’Arrigone, mi sembrò d’esser come diabolicamente forzata d’andare a quella finestra: e una volta che mi fu detto da suor Ottavia che Giampaolo stava in giardino, perch’io volli farmi forza di non andare a vederlo, svenni [p. 95 modifica] sopra d’una cassa; e questo si ripetè più volte. Talvolta io entrava in collera pregando Dio che mi ajutasse: talvolta mi pareva che fossi levata a forza per andarlo a vedere: talvolta in sentirmi spinta da questa tentazione mi stracciava i capegli: pensai fino di ammazzarmi. Le quai cose tutte credo mi avvenissero per opera diabolica, per malefizi fattimi: ho conosciuto dopo ciò esser vero; perchè, essendo andata nel detto parlatorio a ragionare coll'Osio, esso, sotto pretesto di cose sante, mi fece baciare e toccar colla lingua una cosa legata in oro, che poi mi confessò ch’era calamita bianca; e ritengo che l’Arrigone ne fosse partecipe; il qual, dopo avermi perseguitata con lettere che arrivai un giorno a stracciargli sul viso, cominciò a parlare a suor Candida, e la indusse ad andar di notte in parlatorio a conversare con lui; ond’io, che ne fui informata, ne feci una solenne bravata al Domenico nostro fattore che portava le lettere, e lo minacciai di farlo metter prigione, e gastigare dal signor Cardinale; e per questa ed altre cause feci licenziare detto fattore; onde, sentendo da lui l’Arrigone come il fatto fosse seguito, mi portò odio grandissimo.


Interrogata quidquam aliud secutum fuerit inter ipsam et Osium post scriptas litteras per dies et menses invicem;

respondit:


Interrogata che cos’altro avvenisse tra lei e l’Osio dopo quella corrispondenza di lettere durata giorni e mesi:

rispose:


» L’Osio mi mandò a donare un pajo di guanti di seta bianca, nei quali era una lettera che trattava tutta di santità e purità; mi mandò anche un crocifisso d’argento, che gli rimandai per mano di Giuseppe Pesen, ch’era quel che portava le ambasciate; ma mi obbligò con minacce a riprenderlo. Di poi seguitassimo ad andare a ragionar insieme al parlatorio, dove si discorreva di diversi casi, sempre di cose di onestà. Una volta mi domandò per grazia, sotto pretesto che dovesse essere [p. 96 modifica]l'ultima, che di notte venissi a conversar seco dentro la piccola porta pel Monastero: ed io, pensandomi levarmelo d’attorno, oppure sentendomi stringere da quel tal malefizio (n’è informato il padre Battista che mi ha esorcizzata) mi contentai che venisse.


Interrogata an dictam portam habuerint apertam vel clausam, et qui sermones fuerint;

respondit:


Interrogata se la detta porta era aperta o serrata, e quai parole si tennero;

rispose:


» Parlassimo a porta aperta; e la fu aperta da suor Ottavia che levò via la stanga, e introdusse l’Osio. Ci mettemmo a ragionare tra una porta e l’altra, che suor Ottavia sentiva: e si partì l’Osio avuta parola da me di presto tornare. Ma la cosa andò avanti un gran pezzo, e me ne rimproverò con lettera, ricordandomi l’onestà mostrata nel precedente abboccamento; e così ci trovammo un’altra notte nel medesimo luogo; e ragionavam di varie cose, lorchè l’Osio tentò farmi ingiuria, nonostante ch’io gridassi — ah traditore! — e subito corsi via, e lo piantai li.


Interrogata numquid aliud secutum fuerit inter ipsam et Osium;

respondit:


Interrogata che cos’altro accadesse tra lei e l’Osio;

rispose:


» Dirò a Vostra Signoria, che, con tutto ch’io facessi ogni sorta di orazioni e discipline sino al sangue per non avere a trattare più coll’Osio, pareva che fossi portata dal diavolo, e cruciata talmente al cuore da non potere stare di non vederlo, e andare dov’esso era: di modo che, ricercata e supplicata da lui, son tornata a quella porta, caddi in peccato, e mi prese tanta malinconia che ne infermai e stetti a letto tre mesi. Egli in quel tempo non cessò di mandarmi lettere con dire che quando fossi guarita avessi a concedergli di entrare [p. 97 modifica] nel Monastero: e perchè gli feci rispondere che non volevo cadere in iscomunica, mi mandò un libro a stampa che tratta dei casi di coscenza, acciò vi vedessi che non v’era scomunica per lui ad entrare, sibbene per le monache ad escire: mi fu poi detto quel libro essergli stato prestato dall’Arrigone. Consentii che l’Osio venisse nel Monastero. Molto dopo mi sgravai d’un puttino morto, e, per il gran dolore dell’animo, cascai in infermità di fibre, che mi durò tre anni: nel qual tempo, per liberarmi da quella pratica, vendei degli argenti che aveva, e mandai alla Madonna di Loreto una tavoletta votiva sulla quale aveva fatto mettere una monaca ed un puttino inginocchiati che piangevano: la mandai per mezzo di Bernardo Grosso, al quale per il viaggio diedi sei ducati, ed uno da offrire. Due altre volte mandai il suddetto alla Madonna affinchè mi accordasse la grazia di liberarmi da quell’affezione: ma prevalser i malefizii dai quali mi trovava circondata: attesochè, essendosi guardato nel mio letto, vi si trovaron ossi di morto, uncini di ferro, e molte altre cose, come ne sono state informate tutte le monache... (1) che avrei fatto cose anco maggiori della perdita della vita per salvar l’anima; e tanto pativa che una volta sopraffatta dalla disperazione andai per gettarmi nel pozzo, ma fui trattenuta dalla figura della Madonna che è in fondo al giardino, alla qual’avea divozione...

Prosegue il doloroso racconto. Caduta in balìa del tentatore, la sciagurata vien creduta complice d'ogni scelleratezza del suo drudo: deve prima difendersi d’aver avuto mano nell’assassinio del Reineri, e lo fa ricordando i servigii prestatile da quell’uomo, e la benevolenza che gli portava: cerca poi di mandarsi d’ogni compartecipazione pre[p. 98 modifica]meditata alla uccisione di Catterina da Meda. Qui comprende che le prevenzioni sono forti a suo danno: ecco la narrativa a cui ricorre per infirmarle.

Racconterò il fatto di questa Catterina, donna dissoluta e mezzo matta. Essendo venute molte volte le monache in parere di rimandarla, fu trattenuta per compassione in grazia mia, credendo che la si potess’emendare. Essend’occorso ch’essa facesse ingiuria a suor Degnamerita, procurai fosse messa prigione, con partecipazione della Madre e del Confessore: ciò fu in tempo che monsignor Barca dovea venire al Monastero a mutare gli offizii. La Catterina, essendo in prigione, cominciò a dire che voleva comunicare ai superiori molte cose di me e delle altre; ed accadde ch’essendosi quella sera introdotto nel Monastero l’Osio, gli fu da quelle monache riferito ciò che la Catterina andava minacciando. Io mi avviai alla sua volta per placarla, col lume in mano, lontana da ogni malo pensiero, avendo in compagnia Ottavia, Candida, e Silvia: ci presentammo alla finestra che guarda in giardino, la qual è bassa fino alla cintura: trovai che suor Benedetta m’avea preceduta, e stava ragionando colla prigioniera; n’ebbi ajuto ad entrare, poi entrarono le altre; ultimo l’Osio: dissi allora alla Catterina — odi! — e volevo aggiungere che non parlasse, e fosse sicura che avrei procurato di farla restare; ma lei, rispondendomi superbamente — non voglio più udire le vostre ciance, e intendo d’esser la rovina di voi, e del vostro moroso; domattina verrete voi a star qui in vece mia — l’Osio, trasportato dalla collera, le diede con una cosa due o tre volte sulla testa, ond’essa all’istante morì. Nè io nè le altre eravamo consapevoli di ciò ch’egli era per commettere sulla persona della Catterina.

Succede la sposizione a noi già nota dell’ascondimento e trafugamento del cadavere: indi

» Vostra Signoria faccia scrivere che di mia volontà mai [p. 99 modifica]ho consentito ad alcuna cosa cattiva; sibbene stretta da incanti e malie; e che piuttosto avrei perso non una ma mille volte la vita avanti che consentire in cosa inonesta ad alcuno, fosse stato l’imperatore.

Qui tengono dietro a chiusa del costituto due altre pagine per me riuscite illeggibili: però da qualche parola compresa qua e là sembrano risultare di lieve importanza: leggibili e importanti son l’ultime due righe.


Interrogata de ætate ispius;

respondit:


Interrogata quanti anni avesse;

rispose:


» Trentadue anni.


Col 19 febbrajo, pagina 388, il processo si discosta dai tragici fatti del monastero di santa Margherita per investigare le turpitudini dell’Arrigone. Alla pagina 461 ricompare per la seconda ed ultima volta suor Virginia, che, chiamata a deporre contro l’Arrigone, sottoscrive di proprio pugno « Io suor Virginia Maria Leyva ò deposto e confirmato come sopra per la verità ». Aveva ella subito pocanzi la tortura de’sibilli (pezzetti piatti di legno); perocchè leggiamo che il giudice (caso unico nel processo)


mandavit adaptari sibilla ad manus ipsius; quibus aptatis, et cum funiculo currente ejus digiti sibillis comprimerentur, capit exclamari:


comandò le si applicasser i sibilli alle mani; e, poichè furon a posto, che i diti venissero stretti da trascorrente fune, onde cominciò a sclamare:


» ratifico tutte le cose che ho deposte per la verità: ma scioglietemi! mi fate male! non ne posso più!...» epperò vuolsi riflettere che quella tortura dovett’essere lieve dacchè non vietò a’diti che ne furono afflitti di stringere, appena sciolti, la penna, e vergare le sovrascritte parole con nitido carattere. [p. 100 modifica]

Dalla pagina 463, che reca in calce la suddetta firma di suor Virginia, sino alla 529 ch’è l’ultima dei costituti, non si tratta che dell’Arrigone; suor Candida e l’Osio vi compariscono per accessorio; le lascerem ricadere nella oscurità di cui sono degne.

Il sinistro volume ci presenta altre 88 pagine da esaminare, contenenti gli allegati, e le sentenze; ch’è dire l’ultimo atto della memoranda tragedia.

Note

  1. Qui s'innesta una particolarità troppo ributtante per esser citata.