di volermi mandare una lettera. Io, ch’ era in collera
con lui per l’omicidio suddetto, vedendomelo così davanti gli occhi, e parendomi che strappazzasse la giustizia, ne feci avvisato il signor Carlo Pirovano affinchè
lo mandasse a pigliare e mettesse prigione: egli mandò
sua madre a pregare la Priora che volesse operar meco
che facessi che il detto signor Carlo soprasedesse la
condanna contro di lui, ed anche operasse che gli fosse
fatta la proroga e remissione: e così la Priora mi pregò,
ed anco mi comandò sotto pena della obbedienza; così
scrissi al Pirovano, ch’era auditore di Monza, che fosse
contento di farlo; il qual mi rispose, che, sebben era
stato pregato da molti cavalieri, e non l’aveva voluto
fare, per amor mio se ne contentava: e ciò inteso dall’Osio, me ne ringraziò assai dal giardino, dicendo che
non mi sarebbe manco servitore di quello mi fosse stato
il Molteno; e che desiderava scrivermi una lettera. Così,
tra alcuni giorni, essendo lui nel giardino, mi mostrò
una lettera che aveva in mano, facendomi cenno di volerla buttare, come la buttò, dentro la mura ch’è tra’l
suo giardino e la corte delle galline del nostro Monastero; e mi pare che suor Ottavia andasse per essa e
me la portasse: e perchè vidi che tal lettera mi pareva
che fosse un po’ licenziosa, e contenesse intenzione di
far amore lascivo meco, per ciò gli rescrissi facendogli
un gran rabbuffo, che mi maravigliavo di lui, che avesse
ardire di trattare con un par mio a quella maniera; e
che desistesse, altrimenti ne lo avrei fatto pentire. Ed
esso Giampaolo, il qual er’amicissimo di prete Paolo
Arrigone, si consultò con lui, che modo dovesse tenere
in escusarsi meco; ed esso gli disse che quella non era
la strada d’amicarmi, ma che bisognava ingannarmi, e
scrivermi una lettera, nella qual mostrasse segno di santità; e così me ne scrisse un’altra in cui mi domandava perdono della mala creanza usatami, e che per l’avve-