La Famiglia De-Tappetti/I - La Rivista

I — La Rivista

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La Famiglia De-Tappetti II - Le gioie di De-Tappetti


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I.


La Rivista.


Policarpo De-Tappetti, incauto padre e scrivano presso il Fondo per il culto, ha promesso al figlio Agenore, sei anni e quattro mesi, di condurlo al Macao.

— Agenore — gli ha detto, la sera del sabato, con accento severo — tu appartieni a una nazione di ben trenta eziandio milioni di abitanti, non ficcarti le dita nel naso! a una nazione che è stata [p. 2 modifica]maestra di civiltà... non grattarti, perdio, la testa, quando parla papà, hai capito? a una nazione insomma, di cui è operoso scrivano colui che ti ha messo all’onore del mondo. Domani è la festa dello Statuto.

— Papà, che cos’è lo Statuto?

— Lo Statuto è, figlio mio, quella cosa per cui non c’è che la gente senza educazione, che finga d’ignorare i proprii doveri, tra cui, te lo dico una volta per sempre, quello di ubbidire mammà e papà, e di non fare certe risposte; che non le farebbe neanche un monello di strada.

Sono le sette di mattina. Casa De-Tappetti pare un inferno. La signora Eufemia, tutta discinta, con le papillotes in testa, mette sossopra i cassettoni, e butta in aria quanto trova, cercando un involtino di carta azzurra, contenente una dozzina di bottoni per camicia.

Policarpo è in mutande, coi piedi infilati in un paio di ciabatte, che ogni tanto gli [p. 3 modifica]scappano, insieme con la pazienza maritale e paterna. Egli ha in mano un solino finto e una cravatta di seta nera, veneranda memoria sopravvissuta a tempi migliori.

— Per bacco baccaccio! — egli mormora tra i denti — queste cose non succedono che a me... Non c’è una camicia a cui non manchi un bottone. Specialmente di quelli a parte di dietro. Ma dove li avete gli occhi?... a casa del diavolo?...

— Sta un po’ zitto.

— Zitto, un corno! sarà la trentesima volta... ma che dico? sarà l’ottantesima volta che trovo la camicia senza il bottone a parte di dietro... Agenore! lascia stare l’orologio. Conoscerò, a dire poco, mille persone; pure tutte hanno i bottoni in regola.

— Ma finiscila una volta... ecco, li ho trovati. Rosa! un ago, e un po’ di filo bianco.

— Oh! non si troverà nè ago, nè filo, ne sono sicuro. [p. 4 modifica]

Serva e padrona si sbracciano, si affannano, frugano, rifrugano e non trovano nulla.

— L’avevo detto io! Agenore! lascia stare l’orologio.

— Dimmi — soggiunse la moglie tutta stravolta — non ti basterebbe uno spillo messo per bene?

— Sicuro! per farmi scoppiare una vena.

— Aspetta... ecco l’ago... manca il filo... ah! un po’ di filo nero.

— Lo sapevo!

— Papà — strilla Agenore — non mi voglio lavare la faccia.

— Non ti vergogni, sudicione? (alla serva con autorità). Rosa, non risparmiate il sapone, specialmente nel collo... e che sia pettinato, mi raccomando... sangue di bacco!

— Che cosa c’è?

— Te l’ho detto mille volte! non abbottonare i manichetti delle camicie pulite!.. uno si infila la camicia e non riesce a [p. 5 modifica]mettere fuori le mani. Non c’è mai stato verso... mai... mai...

— T’ha preso il nervoso stamane?

— Sfido io! guarda l’orologio, son già le otto; presto, il mio fazzoletto bianco, quello delle feste... il mio fazzoletto turchino, quello per il naso... il fazzoletto rosso, di seta, per il sudore... dopo sette anni di matrimonio ho sempre da chiedere le stesse cose. Agenore, sei pronto?... il mio bastone! dammi la chiave del portone... me la voglio cucire in tasca! non c’è caso che vi ricordiate di darmela... Agenore, sei pronto?... l’astuccio degli occhiali... dov’è... non si trova mai... già! l’avrete dato al ragazzo per baloccarsi, si capisce!... questa casa è un inferno... dammi un giornale.

— Per che farne?

— Dammi un giornale vecchio.... non si sa mai.... quando c’è dei ragazzi.... Dio, come stirano queste bretelle! e il gilet poi [p. 6 modifica]pare un sacco... te l’avevo detto, io, di farmi una piccola basta di dietro?

— Che dici?

— Basta di dietro!... sei sorda?

Finalmente si riesce a porre sesto a tanta confusione. Policarpo dà gli ultimi avvertimenti al figlio, e presolo per mano, scende le scale del domicilio, in via dei Coronari, attraversa via di San Luigi de’ Francesi, pozzo delle Cornacchie, piazza di Pietra, via delle Muratte, e per l’Angelo Custode, si spinge verso il Macao, gridando ogni cinque minuti:

— Non cacciarti tra le gambe della gente... sta zitto... non scendere dal marciapiede, non vedi che ci sono i legni?

Dalle finestre pendono le bandiere a tre colori. Agenore opprime di domande l’illustre genitore.

— Papà, che vuol dire tre colori?

— Vuol dire che l’Italia è divisa in tre grandi regioni: alta Italia, Italia centrale e Italia meridionale. [p. 7 modifica]

— Meridionale che significa?

— Ch’è mezzogiorno.

— L’ora del pranzo! papà, ho fame.

— Non si dice fame: le persone per bene dicono: appetito.

— Sì, papà! ma io ho fame.

— Appetito.

— Sì, papà: ho anche appetito. Comprami una ciambella.

— Mangiare a digiuno fa sempre male.

— Io mi metto a piangere.

— E io ti porto a casa.

— No, papà; voglio vedere la rivista; piuttosto piangerò stasera.

Non so come Policarpo e suo figlio riescono, malgrado la folla, a penetrare nel recinto del Macao.

Enormi spirali di polvere salgono al cielo, simili a turbini del deserto, e accecano soldati e spettatori. I reggimenti, immobili, paiono muraglie d’uomini. Lampeggiano le sciabole dei cavalleggieri. Il generale co[p. 8 modifica]mandante in capo galoppa di qua, di là, facendo ondeggiare marzialmente il ricco pennacchio che pare una nuvoletta di bianchi vapori. Romba il cannone. Le bande musicali suonano l’inno reale. Agenore non istà più nella pelle. Un drappello di carabinieri splendidi, come campioni di un torneo, entra nel recinto. Sono i corazzieri.

Ecco il re, seguìto da un codazzo di splendide, svariate, pittoresche uniformi.

— Papà! Io non vedo niente; qual è il re?

— Vedi: è quello laggiù, pallido, con quei grandi baffi.... non lo vedi?

— Li hanno tutti i baffi.

— Non capisci niente. Non mi seccare.

— Lo so che non capisco: ma la mamma dice sempre: “Papà non sa mai quello che si dica„.

Policarpo dà un’occhiata fulminante al piccolo Agenore, che si ficca il dito nelle narici. [p. 9 modifica] [p. 10 modifica]

— Via quel dito!

— Tu ce lo metti sempre e nessuno ti dice nulla. Ah, quando sarò grande!

Policarpo trascina il figlio sul piazzale dell’Indipendenza. C’è un quadrato di fanteria e un quadrato di curiosi; molte signore, in abiti assai carini; molta ragazzaglia inerpicata sui cancelli, sui lampioni. Agenore assiste alla sfilata, provocando fieri rabbuffi dalla giusta collera del genitore, per le domande stupidissime con cui mette a dura prova l’erudizione paterna.

A un certo punto, Policarpo afferra il figlio e facendolo galoppare come un dannato dantesco lo trascina sulla piazza del Quirinale. La folla si agglomera davanti al regio palazzo.

— Papà, — chiede Agenore indicando la Consulta, — chi ci sta in quella casa?

— Ci sta l’onorevole Crispi.

— Non me ne importa nulla.

— Non me ne importa nulla neanche a [p. 11 modifica]me, pure egli è il capo del governo, e lo dobbiamo amare, come si amano le istituzioni.

La folla applaude, il Re e il Duca d’Aosta si affacciano e salutano dalla loggia, agitando gli elmi piumati.

Policarpo trascina verso casa il figlio che ha un palmo di lingua fuori, e gli occhi rossi dal sudore e dal polverio.

— Ti sei divertito? — gli chiede la mamma togliendogli l’abitino.

— Sì, mamma: ho tanto fame.

— Si dice: appetito! — grida Policarpo.

— Povero figlio! — esclama la mamma, dandogli un bacetto: — papà ti dà i tormenti eh? poverino!

— Bella educazione! — soggiunge Policarpo — voi, o signora, diminuite il prestigio dell’autorità.

— Ma che prestigio?

— Voi, o signora, eccitate una creatura inconsapevole allo sprezzo verso il superiore [p. 12 modifica]immediato, voi seminate la diffidenza tra le diverse classi sociali, voi....

— Oh non mi gonfiare la testa! andiamo a tavola, chè ci sono le fettuccine al pomidoro.

Policarpo con accento maestoso:

— Signora! Non è al pomidoro che si forma il carattere della gioventù.