La Colonia Eritrea/Parte I/Capitolo IV
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CAPITOLO IV.
(1885)
Mentre la nostra politica coloniale, appena dischiusi nuovi orizzonti ed eccitate grandi speranze, si incagliava, determinando la caduta del ministro Mancini, a cui sottentrava nel portafoglio degli esteri lo stesso presidente del consiglio Depretis, sorgevano nell’Etiopia delle nubi foriere di tempesta.
Il negus Giovanni aveva visto di mal occhio la nostra occupazione di Massaua, che gli toglieva la speranza tante volte vagheggiata di farne un porto pel suo impero; e la sua natura diffidente e sospettosa, abilmente montata da consiglieri europei nemici dell’Italia, residenti in Abissinia, non tardò a concepire il dubbio che gli italiani volessero attentare ai confini dell’Etiopia.
Per rassicurare il Negus sulle buone intenzioni dell’Italia il Governo italiano, appena occupata Massaua, gli aveva spedito in missione il capitano Vincenzo Ferrari, accompagnato dal dottor Nerazzini della R. Marina, munito di cospicui doni, e coll’incarico di fargli le più ampie assicurazioni sui nostri pacifici intendimenti e di manifestargli il proposito dell’Italia di mantenere coll’Etiopia le ottime relazioni di buon vicinato ed inalterati i patti stipulati dall’ammiraglio Hevett. Il Ferrari portava inoltre una lettera autografa di S. M. Umberto I nella quale si prometteva di inviare quanto prima al Negus un’altra più solenne missione per regolare un trattato di amicizia.
La missione fu benissimo accolta, ed il Negus parve così rasserenato che volle concorrere alla ricerca degli assassini della spedizione Bianchi, e come segno della sua gratitudine spediva poi al re Umberto le armi stesse del Bianchi trovate sul luogo dell’eccidio.
Ma non tardarono a prendere sopravvento nell’animo del Negus i sentimenti di avversione e di diffidenza, specialmente poi dopo che il colonnello Saletta, secondo le istruzioni governative, aveva proceduto all’occupazione di Arkico e di Arafali e gli annunciava imminente anche l’occupazione di Saati e di Amba.
Cominciarono le agitazioni e le scorrerie intorno ai nuovi possedimenti per parte di ras Alula, governatore dell’Amasen e residente ad Asmara, sempre mascherate allo scopo di razzie e di repressione di ribelli; ma che tuttavia lasciavano spesso travedere il mal animo del Ras a nostro riguardo. Quando poi verso la metà d’agosto i nostri basci-bouzuc occuparono Saati, sostituendovi un piccolo presidio egiziano ivi esistente, allora l’irritazione del Ras e quello del suo Sovrano si palesarono apertamente.
Al greco Marcopulo, segretario del vicegovernatore Izet Bey, recatosi all’Asmara per sollecitare il Ras a nome del Governo anglo-egiziano a mantenere la promessa di liberare Kassala, questi sdegnato rispose che non avrebbe mosso un passo se prima non fosse sgombro Saati che egli considerava terreno neutrale.
Questa località, oggetto di tante contese, era già stata occupata dagli egiziani nel 1866 quando si stabilirono a Massaua; essi vi tennero un piccolo presidio fino al 1876, dopo di che lo ritirarono in seguito alle gravi sconfitte subite a Gudda-Guddi ed a Gura. La rioccuparono quindi durante le trattative dell’ammiraglio Hevett, e la tenevano ancora presidiata quando vi si insediarono i nostri basci-bouzuc.
Trattavasi quindi di un territorio che come tutti quelli di confine tra l’Abissinia e le regioni limitrofe era di incerta e male definita giurisdizione, nel quale sempre era prevalso il diritto del primo occupante, o del più forte; ed il colonnello Saletta oltrechè da motivi politici, era stato consigliato ad occuparlo anche dallo scopo di voler premunire da una possibile sorpresa per parte degli abissini il villaggio di Monkullo importantissimo per la sua posizione e più specialmente pe’ suoi serbatoi di acqua che alimentano quelli della città di Massaua.
Avuto sentore dell’inasprito animo del Negus e di ras Alula a nostro riguardo, il Governo italiano ritentava tosto di placarli, facendo loro ripromettere pel mese di novembre, la solenne missione già annunciata al Negus dal Ferrari, colla quale si sarebbero appianati tutti i dissidi.
Parve che questa promessa acquetasse alquanto il Negus ed il suo Ras, il quale subito dopo si mise in marcia con 10000 uomini, muovendo alla liberazione di Kassala. Nelle vicinanze di Cuffit s’incontrava il 23 settembre 1885 in un corpo di 5000 madhisti condotto da Osman Digma e lo distruggeva quasi completamente, subendo però egli stesso gravi perdite e rimanendo anche ferito ad una spalla.
Questi risultati e la notizia che fin dal 29 luglio Kassala era caduta nelle mani del Mahdi, determinarono il vittorioso ras Alula a ritornare all’Asmara, donde mandò a chiedere al colonnello Saletta medici e medicinali per curare i feriti.
Ma le buone disposizioni d’animo che il Ras fingeva o sentiva in queste occasioni, furono tosto turbate da un’altro avvenimento che lo fece andare su tutte le furie.
La tribù degli Habab situata a nord di Massaua e nemica dell’Abissinia aveva chiesto il nostro protettorato, ed il suo capo Hamed el Driz si era offerto di mettere a disposizione del colonnello Saletta all’occorrenza circa 10000 uomini, concedendo anche una stazione estiva nel centro del suo territorio per la cura dei nostri ammalati.
Questo Kantibai era nemicissimo di ras Alula e da lui odiato per antiche controversie; destò quindi nel Ras un’irritazione profonda la notizia che il colonnello Saletta il 7 ottobre aveva ricevuto solennemente e con grandi onori in Massaua il capo degli Habab, stringendo con lui degli accordi di amicizia. Il Ras voleva dapprima trattenere in ostaggio, e poi scacciava con disprezzo i medici italiani inviatigli, e per mezzo di Marcopulo, intimò quasi al colonnello Saletta che sfrattasse da Massaua il Kantibai, non calmandosi neppure dopo aver ricevuto novella partecipazione della solenne missione promessa dal Ferrari, sebbene ne approfittasse per chiedere in dono al Saletta un cavallo baio, come pegno di amicizia.
Erano a tal punto le relazioni italo-abissine quando verso la metà di ottobre del 1885 il generale conte Di Robilant assumeva il portafoglio degli esteri. Egli si era sempre mostrato poco entusiasta di ogni espansione coloniale, e si proponeva di eliminare dignitosamente ogni causa d’attriti coll’Abissinia vagheggiando un modesto programma di pace e di raccoglimento. Primi atti della sua politica furono quelli di riunire nelle mani del comandante delle truppe, tutta l’autorità, che prima era stata condivisa e sottoposta per ragioni di grado e di anzianità anche al comandante della squadra ivi distaccata, e di assumere egli stesso la direzione generale del governo della colonia, lasciando ai ministri della guerra e della marina la sola parte tecnica e disciplinare dei vari servizi. Quindi avendo il colonnello Saletta chiesto il rimpatrio, affidava la carica di comandante superiore delle truppe in Africa al generale Genè, che arrivava a Massaua verso la metà di novembre di detto anno.
Per comporre al più presto le controversie coll’Abissinia Robilant designava il Genè stesso a capo della solenne missione già promessa pel Negus, e gli dava istruzioni di astenersi da qualsiasi nuova occupazione, mantenendo però quelle che fino allora erano state fatte, compreso quindi anche il territorio di Saati, a presidiare il quale fu preferita la destinazione di truppe irregolari.
Il 2 dicembre 1885 avvenne il piccolo colpo di stato col quale il generale Genè faceva cessare in Massaua la condominazione egiziana.
Con un proclama agli abitanti e con apposite istruzioni date alla truppa, furono occupati tutti i pubblici uffici, le carceri ed i corpi di guardia, e dappertutto fu abbassata la bandiera egiziana.
I soldati egiziani non opposero alcuna resistenza; quelli regolari furono imbarcati sopra un piroscafo kediviale che li ricondusse in Egitto, ed i basci-bouzuc (soldati irregolari) passarono quasi tutti al nostro servizio.
Protestò la Porta e con molta vivacità, ma il linguaggio risoluto e fiero del conte Di Robilant la rese tosto remissiva e disposta a tollerare il fatto compiuto.