Note

../XI. L'alba ../Indice IncludiIntestazione 2 maggio 2024 100% Da definire

XI. L'alba Indice
[p. 71 modifica]

NOTE

[p. 73 modifica]

NOTE



Pag. 5, v. 1, 2, 4, 8Cavedagna: strada campestre; biroccio: più secondo l’etimo così, che baroccio; brasche: un telaio, per così dire, di legno, messo sul biroccio o sul carro, per renderlo più largo e capace; chiercie, non cerchie, avrei voluto dire coi toscani dell’Apennino: coreggiati per battere il grano. I bolognesi dicono: zerci.

Più giù (pag. 17, v. 6) è lebe, che traduce il bol. aibi e rom. ebi, che vale abbeveratoio, e mi sembra da aggiungere a mâtra, calzêdar e simili voci lasciate sulle spiagge dell’Adriatico dai bizantini.

Pag. 5, v. 11Fantino o fantolino: bimbo. Ricorda la graziosa canzoncina popolare bolognese del dugento, edita dal Carducci (Cantilene e ballate, 1871) e dal Casini (Le rime dei Poeti Bolognesi del secolo XIII, 1881). Eccola in una lezione quasi al tutto fedele (cfr. Crest. It. per Ernesto Monaci, pag. 294):

For de la bella caiba     fuge lo lusignolo.
Plange lo fantino     però che non trova
lu so osilino     ne la gaiba nova,
e dise cu dolo:     chi gli avrì l’usolo?
e dise cum dolo:     chi gli avrì l’usolo?

E in un boschetto     se mise ad andare,
sentì l’oseletto     sì dolze cantare.
oi bel lusignolo,     torna nel meo broylo
oi bel lusignolo,     torna nel meo broylo.


[p. 74 modifica]

Pag. 5, v. 16Flor d’uliva. Dolce nome che latinizzato in Flos olivae, si trova in un’antica lista di nomi.

Pag. 6, vv. 2 a 11 — Per questi versi e per quelli di pag. 7 e pag. 8 della canzone o romanza di Flor d’uliva, cfr. Barzaz Breiz di Hersart de la Villemarqué, pag. 146. Per il metro, ricorda la Romance di Gaiete et Oriour, che troverai nel Bartsch, Chrest. Franç., a col. 61, 62; e il confronto che, per esso metro, fa con questa, del famoso contrasto di Ciullo o Cielo, lo Jeantoy, in Les origines de la Poés. lyr. en Fr., pag. 257. Sono tre versi maggiori, rimati insieme, seguiti da due minori pure insieme rimati. Quanto alle forme dialettali ed arcaiche, vedi Gaudenzi, I suoni, le forme e le parole dell’odierno dial. di Bologna, e in esso gli Antichi testi bolognesi inediti, da pag. 127 a pag. 224. Vedi anche Casini, op. cit., Voci e passi di Dante di Ott. Mazzoni Toselli, e altri libri e documenti. Per togliere ogni offensione trascrivo qui la romanza o canzone o lay, in forma più moderna:

IL RITORNO DEL CROCIATO

Sette anni pianse, oimè sett’anni sani,
e scalza andava, un vinco nelle mani.
Pecore e capre aveva intorno, e i cani.
          Sette anni, oimè tapina schiava,
          Sett’anni pianse: un dì, cantava...
Passava un cavaliere della croce.
Sentì lassù la dolce chiara voce.
Legò il cavallo con la briglia a un noce.
          «Vocina chiara come argento,
          sette anni è, sì, che non ti sento!».
Legò il cavallo, e le si fece avanti.
«Deh! pastorella, Dio te guardi e i Santi:
mangiasti bene, così gaia tu canti!»
          «Voi dite, la Dio grazia, vero.
          Mangiammo i cani ed io pan nero»


[p. 75 modifica]

Il cavaliere la mirò con doglia.
«Nei tuoi capelli sempre il vento broglia:
lascia tra i ricci l’erba, il fior, la foglia».
          «Il vento no, non è, mio sire:
          è che nel fieno ho da dormire».
Al cavaliere ansava forte il petto.
«In quel castello, ov’albergare aspetto,
dimmi s’io posso ritrovare un letto».
          «Di piume, io l’ebbi, in quel castello,
          col sire mio sì biondo e bello!».
«Tristo a cui ti fidai nel mio passare!
Mia dolce sposa, io torno a te dal mare».
E si toglieva l’elmo ed il collare:
          e per le spalle, a mo’ dell’onde,
          scorrean le lunghe ciocche bionde.


Per broglia cfr, Div. Com., Par. XXVI, 97:

Talvolta un animal coverto broglia,

e s’interpreta: si muove, si dimena.

Al mo’ di questa riduco anche la prima delle altre due canzoni di Flor d’uliva, sebbene, a dir vero, non ve ne sia gran bisogno:

SANTA FILOMENA

In una grotta in riva della Zena
c’è un vieni e vai, ma che si sente appena...
          gràpari gràpari tra...
Ell’è una donna che tesse che tesse,
          una spola che va che va...

Un drago aspetta, attento, che si spicci;
il giorno sta con gli occhi fissi ai licci...
          gràpari gràpari tra...
Finito ch’abbia quello ch’ella tesse,
          dopo, il drago la mangerà.

Ma, guarda e guarda, gli occhi a sera ei vela.
Ei dorme, ed ella stesse la sua tela...
          gràpari gràpari tra...
Il giorno fa, la notte sfa, chè tesse
          la tela dell'eternità.


[p. 76 modifica]

La leggenda è antica, di che vedi le Trad. Pop. It. II, pag. 196; ed è, come, si vede, una curiosa trasformazione del mito di Penelope. Il ritornello sembra aver un senso, e significare, in bretone, “Fa quel che fai, bene„. Vedi Villemarqué, pag. 417.

Circa alla canzone del Re Morto, si può veder quella leggendina nel proemio del Lu Cunto delli cunti, del Basile, e della traduzione in bolognese col titolo La Ciaqlira dla banzola.

I versi sono novenati, somiglianti a quelli del Lamento della sposa padovana (vedila in Cantilene e Ballate di Giosuè Carducci, pag. 22 e seg.), con andatura per lo più giambica:

Rispònder vòi a dòna Frìxa
Ke mè consèia en là soa guìsa.


Pag. 6, v. 19 e segg. — Per molti particolari campestri del contado di Bologna vedi il grazioso libretto di A. Rubbiani: Etnologia Bolognese, Bologna, 1882. Per es., l’arzdòur è il capoccio, al campagnol è colui che attende più specialmente ai lavori campestri, al biolc quello che ha cura de’ buoi e della stalla. Manipelli (bol. manvì) sono i manipoli.

Per altri nomi, usi e superstizioni vedi: Trad. Pop. It., I, pagg. 71, 78, 385, 511, 898, 934. Giovi ricordare qui gli aierini (pag. 13, v. 12 e al.) o aiarên che sono gli spiriti dell’aria, gli angeli restati a mezza via tra il cielo e la terra entro la quale inabissarono i ribelli, i daimones fugati dal Cristo.

Pag. 12, v. 13 — Le panche. Vedi Atti Dep. Stor. Patr. per la Rom., Serie 3 X, pag. 10.

Pag. 29 e segg. — “Bonacursio Prefetto del Popolo (credo, Capitano del Popolo; il Ghir. ama cangiare in [p. 77 modifica]belle parole romane i nomi degli uffizi comunali) alli 25 di Giugno (anno 1256) raunò gli Antiani, Consoli (Antiani e Consoli sono tutt’uno), Maestri delle Arti et dell’Armi (Massari, credo), con tutti i Consiglieri così del picciolo, come del gran Consiglio, et propose loro, se si contentauano, che i Serui, et le Serue, che apparteneuano al Commune, et Popolo di Bologna fossero come tutti gli altri habitatori tanto della Città, come fuori nel contado, o fossero liberi, tutti si contentarono....„ (Ghir. Hist. di Bol. VI, pag. 190 e seg.).

“Il Decreto de’ Servi liberati, de’ quali accanto si è detto, fu messo fra le leggi da i legislatori alli 3 di Giugno (anno 1257)...„ (id., ib., pag. 193).

Tra fa proposta e la registrazione del Decreto si sbrigò sollecitamente la cosa. In vero “il Pretore (cioè il Podestà), et il Prefetto (cioè il Capitano del Popolo) alli 26 d’Agosto (anno 1256) pronunciarono nel Consiglio Generale, et Speciale, che i detti Serui fossero comprati dieci lire per ciascuno, essendo di anni 14, et quei di manco lire otto....„ (id., ib., pag. 191).

Pag. 30, v. 20 e segg. — Vedi Statuta Comm. Bon., I, pag. 482 e prima e dopo. V’è in un d’essi un audiatur che ho tradotto come fosse audeat, ma credo stia bene come sta: “non si senta dire!„.

Pag. 30, v. 21 — Nel sigillo proprio degli Antiani et Consules era S. Petrus cum clavibus in manibus.

Pag. 31, v. 5 — Nel Paradisus voluptatis (vedi più giù) è questa imagine evangelica: “ne massa tam naturalis libertatis, ulterius corrumpi possit fermento aliquo servitutis„.

Pag. 31, v. 8Bona omnia: antica, e, si capisce, arbitraria etimologia di Bononia.

Pag. 31, v. 14 e segg. — Ricca è la letteratura a questo soggetto della liberazione degli schiavi. Basti [p. 78 modifica]ricordare un dei primi, lo Zamboni con l’insigne opera, Gli Ezzelini, Dante e gli schiavi, e un degli ultimi, l’avv. Arturo Palmieri di cui ho letto con profitto un buono studio che è l’ultimo di lui ma non l’unico: Sul riscatto dei servi della gleba nel contado bolognese.

Pag. 31, v. 21 e segg. — Odofredo diceva: Sclavos qui omnes bullantur in facie... tempore estus in meridie spoliasti servum et in equo ligneo ligatum posuisti ad solem, et forte unctum melle. In Atti Dep. Stor. Patr., Serie III, vol. 12, pag. 341: studio di N. Tamassia.

Pag. 35 e segg. — Giovi ricordare, per alcuni tratti dell’arringa di Rolandino de’ Passageri, alcuni della sua risposta a Federigo (vedi Frati, La prigionia del R. E., pag. 116): confidunt se potentia potius quam de iure (v. 75),... nec semper ponet.... arcus (v. 73).... ventosis verbis.... non sumus arundines paludine que vento modico agitantur (v. 72; e cfr. La Canzone del Carroccio, pag. 62, vv. 1 e 16, La Canzone dell’Olifante, pag. 50, v. 7, in cui sono volute rendere le note di Dante in Par., III, 119, Purg., I, 130)... tamquam creditur nostri iuris (v. 77)... Accingemus enim gladium super femur (v. 76) et rugitum dabimus (v. 74)... nec magnificentie vestre suffragium dabit innumerabilis multitudo (v. 75 e cfr. v. 77)...


E con Dio comincia anche quella celebre risposta: Exurgat Deus, et inimici sui penitus dissipentur.

Ma sopratutto si tenga presente il solenne proemio al registro degli schiavi liberati, il qual registro si chiamò Paradisus o, dal caso che ha questa parola iniziale, Paradisum voluptatis. Eccolo trascritto dalla Historia di Bologna del Ghirardacci, vol. I, pag. 194, sotto l’anno 1257:

“Nella Camera de gli Atti di Bologna, vi è un libro intitolato Paradisum voluptatis dove si vede il numero de’ servi liberati, et anco il nome di quei, che havevano li [p. 79 modifica]detti servi sotto il loro imperio, nel qual libro così si legge: «Paradisum voluptatis plantavit dominus Deus omnipotens a principio, in quo posuit hominem, quem formaverat, et ipsius corpus ornavit veste candenti, sibi donans perfectissimam et perpetuam libertatem. Sed ille miser suae dignitatis, et divini muneris immemor pomum vetitum supra praeceptum Dominicum degustavit. Unde seipsum, et omnem suam posteritatem in hanc vallem miseriae trahxit, et humanum genus enormiter tossicavit, alligans id miserabiliter nexibus diabolicae servitutis, et sic de incorruptibile factum est corruptibile; de immortali, mortale, subiacens alterationi, et gravissime servituti. Videns vero Deus quod totus mundus perierat, misertus est humano generi, et misit filium suum unigenitum natum de Virgine Maria, cooperante gratia Spiritus Sancti, ut gloria suae dignitatis diruptis vinculis servitutis, quibus tenebamur captivi, nos restitueret pristinae libertati. Et idcirco valde utiliter agitur, si homines quos ab initio natura liberos protulit, et creavit, et ius gentium servitutis iugo subposuit, restituantur manumissionis beneficio. Illi inquinati fuerunt libertati, cuius rei consideratione nobilis Civitas Bononiae, quae semper pro libertate pugnavit, praeteritorum memorans et futura providens in honorem nostri Redemptoris D. N. Jesu Christi nummario pretio redemit omnes quos in Civitate Bononiae, ac Episcopatu reperit servili conditione adstrictos, et liberos esse decrevit, inquisitione habita diligenti, statuens ne quis adstrictus aliqua servitute in Civitate, vel Episcopatu Bononiae deinceps audeat commorari, ne massa tam naturalis libertatis, quae redempta pretio, ulterius corrumpi possit fermento aliquo servitutis, cum modicum fermentum totam massam corrumpit, et consortium unius mali bonos plurimos dehonestet. Tempore in quo viri nobilis D. Accursij de Sorixina Bononiae Potestatis fama, cuius omnium laudum longe, lateque diffusa irradiat, velut sydus, et sub examine D. [p. 80 modifica]Iacobi Grataceli eius Iudicis, et Assessoris, quem vir peritia, sapientia, constantia, et temperantia in omnibus recommendat, factum est memoriale praesens, quod proprio nomine debeat vocari merito Paradisus, continens Dominorum nomina Servorum, et etiam Ancillarum, ut liqueat, quibus Servis, et Ancillis est acquisita libertas et quo pretio, scilicet, decem libras pro maiore xiiii. annis Servo, et Ancilla, et octo libras Bonon. pro minore constituto cuilibet dominorum, pro quolibet, qui detinebatur astrictus vinculo servitutis. Scriptum est autem hoc Memoriale per me Corradinum Sclariti Notarium ad Servorum, et Ancillarum officium deputatum. Sitque nunc, et in posterum memoria omnium praedictorum„.

Pag. 35, v. 9 — Vedi per questa e le altre leggende sul Paradiso deliziano il bel libro di Edoardo Coli, Il Paradiso terrestre dantesco (Firenze, 1897). E v’è bisogno di ricordare la Matelda dantesca, l’arte cantatrice e operatrice, contemplativa e attiva, la quale è il simbolo perfetto di ciò che deve essere, di ciò che sarà, il lavoro umano?

Pag. 42, v. 9 — Non fu in somma il Cattolicismo romano, che liberò gli schiavi e abolì la schiavitù, cioè ricondusse il Cristo in terra e adempì la redenzione.

Pag. 44, v. 9 — Ricorda le magne parole di Virgilio a Dante:

Libero dritto sano è tuo arbitrio
e fallo fora non fare a suo senno:
perch’io te sopra te corono e mitrio.

cioè: “a te do l’impero di te, sì temporale e sì spirituale„.

Pag. 47, v. 9 — Matth., XXVI e XXVII.

Pag; 53, v. 14 e segg. — Trasformazione solita nelle novelline e fiabe. Vedi, per es., Novelle Pop. Tosc. del Pitrè (Firenze, 1885, pag. 27, e al.). [p. 81 modifica]

Pag. 54, v. 8 — È ora di chiarite questo “falconello„. — Questo Henzio era somigliantissimo al padre, prode sin troppo, largo, attivo, cortese... Falconello fu detto Henzio, perchè era pronto a tutto, agile di sua persona. — Thom. Tusc., 515, citato nel Koenig Enzio di H. Blasius (Breslau, 1884).

Pag. 54, v, 16 — Lucia da Viadàgola (nelle antiche carte Vidaliagla da Vitaliacula). Ricorro al solito libro del Frati (La prig. del r. E., pag. 12 e segg.): — Leggesi in una cronaca bolognese del secolo XV quest’aneddoto come segue: “Nota che il ditto Re se inamorò di una contadina da Viadagola che havea nome Lucia; la qual era la più bella giovine che si potesse vedere, e quando la ditta Lucia veniva in piazza il Re diceva: anima mia, ben ti voglio. Pietro Asinelli, che ogni giorno stava con lui, si adoperò e la fe’ venire dal Re, et in somma se ingravidò e partorì un putto maschio et posele nome Bentivoglio. Del quale ne discese la nobil casa di Bentivoglio„. Già fu osservato dal Sansovino e confermato dal Litta, dal Blasius e da altri, che questa leggenda non ha alcun fondamento di verità. Troviamo infatti che la famiglia Bentivoglio ha un’origine assai più antica... —

Sta bene, ma inventata di sana pianta la storiella non pare. Per compiacere ai Bentivoglio l’inventore avrebbe cercato e facilmente trovato qualcosa, a suo parere, di meglio che una bella contadina. E in fine Enzio ebbe pure in sua prigionia due figlie! Su che vedi il medesimo Frati, a pag. 36.

Pag. 54, v. 19 — Nel libro, voleva dire Zuam, intitolato Paradisus voluptatis, Vedi nota a pag. 35 e segg.

Pag. 59, v. 10 sg. — Vedi le rime di Enzio; e altrove e nel libro così spesso citato del Frati. [p. 82 modifica]

Pag. 60, v. 11 e al.Eya! grido di sentinelle è nel canto dei soldati di Modena:

Resultet echo, comes: eja vigila!
Per muros, eja, dicat echo, vigila!

Ed è in una ballata provenzale (Bartsch Chest. Prov., 111):

A l’entrada del tems clar, eya,
per joja recomençar, eya,
e per jelos irritar, eya,

e va dicendo; ed è esclamazione di gioia e risveglio.

Pag. 60, v. 13 — È un verso tradotto da quello che Rolandino citò nella risposta a Federigo:

a cane non magno saepe tenetur aper;

e lo tradusse appunto (vedi Cantilene del Card., pag. 328) il bolognese cronista Matteo de’ Griffoni, che fu anche a suo modo poeta: a un cotal modo gnomico.

Pag. 65 e segg. — In questa quasi albata o alba del re e della schiava sono alcune note di altre “albe„. Giova specialmente ricordare quella trovata in un Memoriale bolognese, edita al solito dal Carducci e dal Casini, e poi dal Monaci (Op. cit., 292) in lezione più fedele. Eccone alcuni versi:

Partite, amore; adeo;
ché tropo çe se’ stato,
lo maitino è sonato,
çomo me par che sia.
     Partite, amore; adeo;
che non fossi trovato
in sì fina cellata
como nui semo stati:
or me bassa, oclo meo;
tosto sia l’andata
. . . . . . . . . . . . .
Partite, amore; adeo;
e vane tostamente
. . . . . . . . . . . . .