La Buffa/IV. L'episodio del Podgora/La canzone di Lavezzari
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LA CANZONE DI LAVEZZARI
Il 24 maggio,
la notte della guerra,
Giuseppe Garibaldi
uscì di sotto terra.
E andò da Lavezzari,
che si beveva il vino;
gli disse: «Lavezzari,
vecchio garibaldino,
Lavezzari, vecchio fante,
è scoppiata un'altra guerra,
ma io non posso andarci:
perchè sono sottoterra.
Camerata di Bezzecca,
mio vecchio portabandiera,
va’ te sul Podigora,
e porta la mia bandiera!»
E allora Lavezzari
senza il becco di un quattrino
— non aveva che la camicia
e due soldi per il vino —
si prese la camicia,
dimenticò gli affanni,
e salì nella tradotta
come uno di vent'anni.
E il 19 luglio
arrivò sulla trincera,
si levò la giubba verde,
mostrò la sua bandiera.
E disse ai volontari
romagnoli e triestini:
«Avanti alla baionetta,
e fate i garibaldini!»
E in testa a tutti i fanti
uscì dalla trincera
con la camicia rossa
che era la sua bandiera.
E i fanti della Giulia,
di Romagna e del Trentino
lo seguirono all'assalto,
e occuparono il fortino.
Ma lui non era pago,
oltrepassò il fortino,
e mosse verso il Peuma
e il Monte Sabotino.
Quattro portaferiti,
passata la bufera,
usciron per cercare
il suo corpo e la bandiera.
Finalmente con la luna,
che uscì dal Sabotino,
essi videro, tra i massi,
il vecchio garibaldino.
Egli stava sull'attenti
davanti al Generale,
che gli appuntava al braccio
i galloni da caporale.
E i morti dell'Isonzo,
fanti, honved, graniciari
presentavano le armi
al Vecchio Lavezzari.
Garibaldi diè il piedarme,
lo baciò due volte in fronte,
poi spariron con la luna
che discese dietro il monte.
***
Io ho un poco divagato,
me lo perdonerete,
io non ho visto quel giorno
che la camicia rossa.
E i volontari la videro,
quella bandiera rossa,
e accorsero piangendo,
per coprirla con il petto.
In testa Diomede Benco,
Pier Riego dei Gambini,
Pagnacco, Lucatelli
ed Emo Tarabochia.
E Tastel, Foschiatti, Cirillo
correvano per l'erta;
correvano come ragazzi,
tra loro c'era De Cinque:
la zucca sua pelata,
la barba leonina,
ansava per la fatica,
ma non poteva tacere!
Parlava tutto gesti,
avvocato della trincera,
nessuno lo sentiva
e neanche lui sentiva
le granate e la mitraglia!
E già scendevano i primi,
zoppicando, dalla cima;
più bello e più coraggioso
d'ogni altro, Egidio Grego.
Scendeva Tommasini
e il vecchio Illesi, dottore,
sbalzando la sua figura
un po' buffa nella divisa.
Gridava a tutti l'addio,
la voce piena di fede,
teneva il braccio ferito
in alto come un vessillo,
nessuno lo avrebbe creduto
così grasso e così coraggioso.
E gli altri? i romagnoli?”
quelli del 35, che salirono in 50
e scesero meno di 10?
e gli altri, Lupetina,
Miani, Gobbo Cicca,
e Bergamas, maestro
di fede e di coraggio?
E infine chi la ricorda?...
la mularia di Barriera...
che marciava all'attacco del monte.”
come quando faceva bombade!
***
Barcolammo, oltre trincere,
oltre reticolatì,
finchè ci fermammo un istante:
sentivamo le voci rauche
degli altri e i loro gerghi.
Fuori il busto,
la testa china,
il petto coperto dal braccio,
Enrico Elia sparava...
Ad un tratto udii la sua voce:
«Amico, amico mio!»
Lo presi fra le mie braccia:
egli era pallido tanto
come un bambino malato,
e sorrideva per dire:
«Vero che sono bravo?»
Anche la sua camicia era rossa.
Ancora con gli occhi mi disse:
«Amico, amico mio!»
***
In mezzo ai reticolati,
mi sono strappato le carni,
per portarlo via.
Gli versai la borraccia d'acqua,
la sola cosa preziosa che avevo,
con le mani nere,
per la canna infocata.
Di nuovo squillò la tromba:
«Indietro fantaccini
della Brigata Re!»
Caenazzo, l'amico Cirillo,
m'avevano aiutato
a portarlo via,
mi dissero:
«Non c'è più niente da fare!»
Io non sapevo decidermi;
restai solo.
La sera e le sue ombre
avvolgevano nel silenzio
le sublimi miserie umane.
Ad un tratto udii delle voci,
o immaginai di sentire:
«Was, vor-vezz»
e il chiacchiericcio
dei loro portaferiti...
Lo baciai un'ultima volta...
Se attendo ancora un poco,
mi prendono prigioniero:
quelli che stanno all'Aragno
mi diranno: traditore;
amico, ti devo lasciare,
cosa dirò alla tua mamma?
Amico, camerata, amico, amico
[mio».