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ormai familiare al poeta ed esercitato a far parlare le massere e le donne de casa soa, gli restituì la gaiezza e la vita. Qui non vi sono soltanto ombre o manichini: ma figure vere di donne prorompono davanti al pubblico confondendo i loro gerghi, e sul palcoscenico s’incrociano le gelosie e le invidie, le piccole ipocrisie e le grandi vanità femminili. E fate largo a un signore del Settecento, al «soprano» Carluccio, terrore degli impresari; fate largo all’ignoranza, alla villania, alla superbia. Questo è veramente il dietroscena del teatro, ai tempi, intendiamo dire, del Goldoni; e il pubblico veneziano anche questa volta diede un giudizio inappellabile presso i posteri, sbadigliando in faccia al maestro di ballo Rigadon e battendo le mani ad Alì impresario delle Smirne.

Certamente non era cosa nuova la satira delle virtuose di canto. Con una Cantatrice (o Pelarina) non aveva iniziato il Goldoni a Feltre nell’inverno 1729-30 la serie dei suoi intermezzi? non ripetè più tardi nel 1740-41 il ritratto della cantante pelarina nella Clarice della Bancarotta (vol. I della presente ed.)? e nell’autunno del 1750 non fece intervenire nel Teatro comico la «cantatrice» Eleonora? Egli poi teneva a mente, molto più dei romanzi del Chiari, il vecchio e arguto codice del Teatro alla moda ( 1720?) di Benedetto Marcello, certi passi del quale sembrano essersi trasformati in viva materia drammatica nella commedia del Goldoni. Si potrebbe anche ricordare un’opera buffa, la Cantarina, rappresentata e stampata a Napoli nel 1728 (B. Croce, I Teatri di Napoli, Napoli, 1891, p. 243 e sgg.); e meglio ancora l’Impresario delle Canarie, intermezzo attribuito, si può dire con certezza, al giovane Metastasio: recitato la prima volta a Napoli, nel 1724, fra gli atti della Didone abband. (B. Croce, I teatri di Nap, Nap. 1891, pp. 291-2), replicato nel 1725 a Bologna (C. Ricci, I teatri di Bol., Bologna 1888, p. 429) e a Venezia (T. Wiel, I teatri music. venez., Ven. 1897 e Allacci, ed. 1755), poi infinite volte in tutti i teatri. Si potrebbe anche ricordare il ritratto che delle Cantatrici offriva l’avv. Gius. Ant. Costantini in una delle sue Lettere critiche ecc., t. I, Venezia, 1743; e altri infiniti esempi.

Fermiamoci un poco a esaminare l’Impresario delle Canarie del quale ho sott’occhio la ristampa bolognese del 1744, di Lelio dalla Volpe (pp. 12), perchè ad uso del pubblico, e abbreviata qua e là (si confronti per es. coll’ed. Molini di Firenze, vol. I delle Opere di P. M., pp. 638 sgg.). Ricordate i versi citati nel Teatro comico (a III, sc. IO: v. voi. IV, p. 80 della presente edizione): «Signor mio, non v’è riparo, — Io qui spendo il mio danaro, — Voglio dir quel che mi par»? Ebbene, sono versi del libretto metastasiano. Esso è a due parti (ossia di due scene) e a due voci: Dorina e Nibbio.

               Nibbio mi chiamo:
               Canario di nazione.

Anche questo personaggio, insieme col titolo dell’intermezzo, fu trasportato dal Goldoni nella sua commedia. Dice Nibbio a Dorina:

               Dunque deve sapere.
               Che un Teatro famoso
               Nell’Isole Canarie è stato eretto,
               Io vengo a solo oggetto
               Di far la Compagnia.