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stornata» dal musico Gaetano Guadagni, che vuole che l’opera «vada in terra» perchè gli impresari non lo assunsero come «primo soprano»; 1 settembre, Bortolo Vitturi ha speso per la «cantatrice» milanese Chiara Marini più di cinque mila zecchini ecc. ecc. - Ma di simili storielle, e di fatti più gravi che posero i ministri nell’imbarazzo e i principi in conflitto, sono pieni i libri che narrano la storia dei teatri nel Settecento (vedasi anche P. Molmenti, La gente di teatro al tempo del G., in Fanfulla della domen., 26 maggio 1907).
Che l’autore scrivendo si ispirasse ai propri ricordi, lo sappiamo, per sua confessione, dalla prefazione alla commedia e da un cenno che leggiamo nelle memorie premesse ai vari tomi dell’edizione Pasquali, dove il Goldoni ci parla del direttore e impresario dei due teatri di Genova, Francesco Bardella (t. XV, p. I; v. vol. I, p. 121 della presente ed.): «Niuno meglio di lui conosce questo difficile impegno; tratta con politezza e generosità gli Attori dell’uno e dell’altro genere; ma sa farli star a dovere, e nella mia Commedia intitolata l’Impressario delle Smirne, è egli quel bravo Direttore, di cui si lagna a torto l’impertinente Carluccio» (v. atto I, sc. 3).
Il Goldoni non creò certo un capolavoro, bensi una commedia piacevole, dove anche qualche personaggio minore, come il poeta Maccario (v. sui poeti nel teatro goldoniano R. Schmidbauer, Das Komische bei Gold. München, 1906, p. 111), riusciva a strappare le risa. Il turco Alì che per il linguaggio, e forse per qualche linea comune nel carattere, ci richiama alla memoria il levantino Isidoro nelle Donne de casa soa, non già la mascherata turca nel Borghese gentiluomo di Molière, o altri turchi del teatro dell’arte e dell’opera buffa, è personaggio originale, se non fine, e a Venezia più che altrove doveva piacere al popolo. Oggi la sua figura ha perduto ogni valore, ma nel secolo decimottavo bastava che un po’ di Oriente venisse a contatto col nostro Occidente per provocare la satira dei nostri costumi: si ricordino le mille imitazioni e derivazioni della Spia turca di Marana e delle Lettere persiane. Più fine e più originale il conte Lasca. Ma protettori ben diversi, ora vittime dei virtuosi e specialmente delle virtuose, ora insidiatori tirannici, troveremo più tardi nei romanzi di Antonio Piazza, che anche di altri impresari ci raccontano, più audaci del turco Alì, oppure più imbecilli (v. per es. l’Impresario in rovina 1770, Giulietta 1771, il Teatro ovvero fatti di una Veneziana che lo fanno conoscere 1777-78). Né il Chiari aveva esaurito tutto il suo arsenale: si sfogò ancora contro i cantanti nelle Commedie da camera (1770) e in un poema bernesco che, a guisa di testamento, uscì dopo la sua morte, Il Teatro moderno di Calicut (1787).
Intanto la commedia del Goldoni procedeva nel suo corso fortunato. Nel n. 1O della Nuova Gazzetta Veneta, che porta la data dei 14 aprile 1762, in cui si annuncia la partenza del Goldoni da Venezia per la Francia, tra le altre sue lodi leggevasi questa notizia (in parte ripetuta nei Notatorj del Gradenigo) che non siamo in grado di poter confermare ovvero respingere. «Si recitò a Londra: L’Impresario d’Opera alle Smirne, e ne’ fogli pubblici di quella città, ne’ quali sogliono esaminare col più fino criterio e colla più grande libertà le opere dei letterati e qualunque altra cosa, fu lodata non solo, ma, con lungo articolo, difesa da que’ punti critici co’ quali potesse essere attaccata (v. V. Malamani, Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887, pp. 62-63).