L'astronomo Giuseppe Piazzi/Capitolo III

Capitolo III

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III.


Nascita di Piazzi a Ponte — Vien mandato a Como, a Milano e Torino — Discepolo ed aiuto di Jacquier in Roma.


Gioachino, Giuseppe, Maria, Ubaldo dei nobili Piazzi, figlio di Bernardo e Antonia Artaria, nacque il 16 luglio 1746 in Ponte di Valtellina, paese de’ più ospitali e gentili di quella più che gentile ed ospitale regione, e soprattutto de’ più ameni e vetusti.1 — La gracile [p. 26 modifica]salute di lui bambino lasciò temere su le prime che la sua vita dovesse essere di pochi giorni.2

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Torna alquanto difficile avere notizie particolareggiate della sua prima età, de’ suoi primi studî e tendenze: ma sembra ch’e’ mostrasse natura piuttosto raccolta e restìa, e fare e modi assai lontani da [p. 28 modifica]lasciar presentire il futuro luminare, ch’e’ fu, della scienza astronomica. Ma quell’indole sua lenta e scabra in apprendere, se non poteva a lungo nascondere il suo spirito arguto e vivace e l’ingegno penetrante e [p. 29 modifica]vivo, tenne però in forse i genitori; i quali, pronosticando sulle apparenti infelici condizioni del figlio, il destinavano frate sin da quel tempo, quasi a levarsi dinanzi disutile arnese. Onde, fattolo dirozzare negli [p. 30 modifica]studî elementari a Ponte, lo inviavano nell’undecimo anno al seminario di Como, città che aveva già in seno il fondatore della elettro-telegrafia, Alessandro Volta, giovinetto allor dodicenne. E fu quivi che si fecero sentire le prime aspirazioni del solitario suo animo allo stato chiericale, e che cominciò a gustare quell’attraente amore allo studio, ch’è privilegio delle menti speculative e comprese del loro avvenire.

Da Como recasi (1755) a proseguire le scuole a Milano nel collegio Calchi, dove ricevette gli elementi della lingua latina; e quivi passa in Brera a frequentarvi le lezioni di logica, i rudimenti delle lettere e dell’eloquenza sotto il celebre Gerolamo Tiraboschi, onore di Bergamo, che amorevolmente l’accolse e lo indrizzò a buoni studî; e fu vera fortuna per lui l’incontro di tanto maestro. Un anno dopo, chiesto ed ammesso nei chierici regolari Teatini, veste l’abito religioso in Sant’Antonio, nella quale casa, a’ 16 di marzo del successivo 1765, in età poco meno di anni diciannove, fa la sua professione religiosa.

I superiori quindi lo inviano a Torino per istudiarvi filosofia dal portoghese padre Pereira, il quale diegli a digerire «a tutto pasto», come nota il suo panegirista Saverio Scrofani, il Purcozio, che doveva valergli di testo; il Purcozio che, non ostante cominciasse a venire in fiore, anzi a trionfare seriamente la fisica sperimentale, passava tra più caparbî corifei dello scolasticismo pedante. Per buona ventura trovava si allora in Torino un uomo di grande mente ed acutezza, che [p. 31 modifica]doveva e’ pure contribuire non poco a’ progressi delle scienze fisiche, vo’ dire Giovan Battista Beccaria, famoso elettricista, primo in Italia che, sull’orme del Franklin, rapisse i fulmini al cielo. E questi, conosciutone l’ingegno pronto e vivo, a innamorarlo tosto non dello studio soltanto, ma anche dei metodi, che veramente investigano e procacciano la scienza; e proprio da quel momento e’ principiò a gustare le matematiche.

Correva il 1767, quando, lasciata Torino, avviossi per Roma: lo aveano spinto il desiderio e il bisogno di consecrarsi con maggior profondità e ampiezza alle scienze sacre; chè, sebbene le speculazioni positive avessero già scosso il suo animo, sentiva, essergli necessaria, a compimento d’ogni studio, la teologia. E fu nella casa teatina di S. Andrea della Valle uditore di don Filippo Lopez, il quale passava da poi alla sedia vescovile di Nola, più tardi levato a quella arcivescovile di Palermo.

A Roma, accrebbe le tendenze e gli affetti per gli studi matematici, saviamente diretto dai padri Jacquier e Le Seur, illustri chiosatori di Newton; e sì rapido e sostanziale fu il suo progredire, che lo Jacquier se ’l tolse ausiliario ne’ lavori occorrenti alle opere sue, e soprattutto nell’esame del calcolo integrale. Però, i superiori non vedevano con occhio sereno questo suo applicarsi a siffatte scienze; le quali, astraendo la mente nelle regioni di fatti irrepugnabili e severi, pareva lo dovessero di altrettanto allontanare e rendere indipendente da loro. E così passarono anche a [p. 32 modifica]malignarlo, a ferirlo con motti, a strappargli di mano i libri che trattavan di matematica.

Guerricciuole di chiostro, nè vecchie, nè nuove!

Fu, credo, per virtù di tali influssi che, una volta, trovandosi in una brigata di culte e civili persone, venne punto da un suo avversario, il quale volle alludere con acredine alla nota tardità del suo ingegno, fanciullo, e alla difficil vittoria che, pur dai grandi, mal si consegue negli studi severi. Ripiccò il Piazzi, pronto ed arguto, il maligno; e, non che infiacchirsi, destossi a lena maggiore e, maggiormente risoluto, pose l’animo là dov’intendeva. Virtù degli eletti!

Ordinato sacerdote nel 1769, fu mandato a Genova, lettore di filosofia a’ novizi in quella casa. Vi recò nuove idee, metodi più sennati e conformi alla ragione; e per questo non mancarono gli attriti; i quali si fecero anzi amarezze e, peggio, persecuzioni e calunnie, allora che, abbandonate le vecchie dottrine, si costituì pubblico difensore di tesi nuove. Per la qual cosa il soggiorno, quasi triennale, di Genova gli tornava lungo ed inospite; e fu poi lieto di correre a Malta, chiamatovi dal Pinto, gran mastro dell’Ordine Gerosolimitano, a professarvi le matematiche; dove tuttavia non rimase più di due anni, essendosi, come è noto, sciolta quell’università dal successore, il gran mastro Ximenes. Eppure, in omaggio a’ suoi meriti, gli vennero fatte le migliori profferte per trattenerlo, tra cui una commenda dopo un decennale esercizio: rifiutò; — voleva tornare in terraferma.

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Giunse a Ravenna con mandato superiore; correva il 1773. Suoi uffici, dirigere il collegio di que’ nobili e tener cattedra di filosofia e matematiche. Se non che, così quivi come a Genova, ire di frati e di laici susornioni, peggiori de’ frati: pregiudizi e ignoranza da un lato; onesta fermezza e dottrina dall’altro. Pur questa volta i nemici dovettero ascondersi, e chi aveva ragione e talento trionfò; e a Ravenna rimase sino a che quel collegio venne sottratto alla direzione dei Teatini. Intanto, continuando ne’ suoi studi, pertinace e presago, è mandato nel 1778, predicatore ordinario, a Cremona; e nel successivo anno ritorna, richiesto, a Roma, lettore di teologia dommatica nel convento di Sant’Andrea. Ivi, conobbe ed ebbesi a collega il cesenate Barnaba Chiaramonti, monaco cassinese, divenuto poi, nel 1800, papa Pio VII, coronatore, indi prigione del Buonaparte a Fontainebleau; il quale, pur salito alto, non mostrossi più dimentico del Teatino. Onde i modi famigliari e la considerazione singolare non ismentiti al buon frate, provarono il senno e la bontà del pontefice, le virtù e la dottrina del Piazzi.

Allora, e’ trovavasi nel vigor dell’età e del sapere, e vieppiù s’acuiva in lui il desio d’imparar cose nuove: in dieci anni con istancabil costanza, senza mai venir meno a ogni suo ufficio, notte e dì s’affannando, dai primi elementi di geometria era giunto alla scienza dei calcoli più sublimi. Avea domo contrarietà moltiformi, vinto ardui cimenti, rimosso considerevoli difficoltà; con la coscienza di sè sentiva occorrergli [p. 34 modifica]procedere. È ciò che fece con addoppiata lena di animo, con inalterata tenacità di volere. Tuttavia, in mezzo alla varietà delle discipline cui s’era consecrato, le sole matematiche, e in ispecial modo l’astronomia, aveano intieramente guadagnato il suo cuore; e in esse la sorte eragli stata tanto amica da fargli trovare, come si accennò, non un semplice maestro, ma una guida ed un padre nello stesso Jacquier. Matematico, filosofo e letterato insigne, questi non aveva tardato a distinguere le qualità dell’allievo, giù da lui sperimentate in seri lavori; e, amante della scienza e del benefico lume di lei, attendeva il momento per avviare su più degno e proficuo cammino il valoroso e giovine Teatino.

Vuota, per la morte di Niccolò Cento, la cattedra di calcolo sublime presso l’Accademia degli Studi in Palermo, viene proposto — e dal Jacquier sostenuto — a quell’ufficio, che non tardò ad accettare: indi, presago di migliori destini e pieno di speranze, recasi nel 1780 nella metropoli della Sicilia.


Note

  1. Non sieno discare alcune notizie di questo importante comune, quali si leggono nel noto e recente Dizionario del Vallardi.
    «Comprende le frazioni seguenti: Arigna, Sazzo, Briotti e Carolo.
    Ha una superficie di 6762 ettari.
    La sua popolazione di fatto, secondo il censimento del 1861, contava abitanti 3022 (maschi 1491, femmine 1531); quella di diritto era di 3048.
    La sua guardia nazionale consta di due compagnie con 161 militi attivi.
    Gli elettori amministrativi nel 1865 erano 139, e 44 i politici, iscritti nel collegio di Tirano.
    Ha ufficio postale, pretura di mandamento e carceri mandamentali.
    Appartiene alla diocesi di Como.
    Il suo territorio si estende in collina, e viene bagnato dai torrenti Rone e Valle Fontana e dal fiume Adda. Fertile è il suolo: il prodotto principale si ricava dalle viti. La riva destra del fiume è coltivata a gelsi, ed i luoghi elevati abbondano di boschi e pascoli. In valle Fontana esiste una miniera di galena di piombo argentifero, ed una volta era lavorata: al tempo degli Sforza v’avevano pure alcune miniere di ferro spatico. Frequentemente si risentono i grandi effetti delle ghiacciaie della valle d’Arigna.
    Il capoluogo, una delle terre più signorili della Valtellina, è fabbricato in amena posizione, al di sopra della riva destra dell’Adda, ed a’ suoi piedi passa la strada postale che va allo Stelvio. Sta ad ostro-ponente da Tirano, a levante ed a dieci chilometri e mezzo da Sondrio. In una lunetta sopra la porta della chiesa maggiore si ammira una mirabile pittura di Bernardino Luini, rappresentante il Bambino in grembo a sua Madre, il quale benedice il martire s. Maurizio, protettore di questa terra. Due angioletti compiscono il dipinto, di meravigliosa grazia d’atti, con una perfetta armonia di colori, ed ottimamente conservato. Il tabernacolo, di una rara eleganza, in bronzo, è opera di Innocenzo e Francesco Guicciardi, e data dal 1578: vi si ammirano inoltre un battistero in marmo d’elegante lavoro, quattro quadri a tempera, ben conservati, ed un affresco d’antica pittura sotto il quadro dell’altare che sta a sinistra di chi entra. Possiede altre sette chiese, tra cui distinguesi per eleganza quella della B. V. di Campagna. Per l’istruzione si contano le scuole elementari ed un ginnasio comunale, in origine fondato dai Gesuiti, i quali eressero all’uopo un vasto fabbricato in amena positura. Per cura del dotto Luigi Guicciardi, teologo, professore e poscia direttore del Ginnasio, venne istituito un teatro, ad uso della gioventù studiosa, dove anche le Società filarmonica e filodrammatica offrono piacevoli ed utili ricreazioni. Nel 1867 venne formata una compagnia di pompieri, e nel 1868 per cura di privata società fu costruito un bersaglio. Discretamente regolari sono le contrade, e diverse abitazioni si distinguono per ricchezza, vastità ed eleganza, quali sono quelle dei Piazzi, dei Guicciardi, dei Quadrio, ecc.
    Di opere di beneficenza evvi una congregazione di carità, eretta in corpo morale nell’anno 1827, e che ha per iscopo di dare soccorso agl’infermi poveri a domicilio. Nell’anno 1861 ebbe una rendita complessiva lorda di 1646 lire; e provvede annualmente a circa 360 persone. Il suo stato patrimoniale ascende a circa 39,000 lire: avvi anche un monte grano, ed in uno dei suoi locali si ammirano sulla volta fra le lunette le pitture che rappresentano le sibille, e si credono opera del Ferrari. Vi si tiene fiera nei giorni 25 marzo, 15 agosto e 9 settembre.
    A Ponte ebbe i natali l’erudito ed arguto Saverio Quadrio (1695-1756). Scrisse moltissimo; e tra le sue opere vanno ricordate la Storia e ragione d’ogni poesia, e la Dissertazione della Rezia di qua dalle Alpi. Vi nacque pure Giuseppe Piazzi..... La famiglia Guicciardi si rese celebre nelle rivoluzioni della Valtellina del 1621: e nel 1797 Diego Guicciardi contribuì a staccare quest’alpina regione dai Grigioni.
    Aggiungiamo che nel 1869 a’ 12 di agosto nell’atrio dell’aula comunale veniva eretto al teologo Guicciardi un elegante monumento, di C. Corti, consistente in una lapida marmorea e in un medaglione rappresentante il defunto, con la seguente iscrizione:

    nato nel 1797 in ponte. morto nel 1858
    a
    luigi di nicola guicciardi
    teologo
    lustro decoro
    della chiesa pontese
    nelle lettere italiche e latine
    dottore
    dell’omerico idioma interprete paziente sagace
    nei poetici entusiasmi
    spontaneo gentile
    direttore sapiente del patrio ginnasio
    primo a rivendicare in valtellina
    la memoria del piazzi
    per liberalità d’affetti modestia d’animo
    singolarissimo
    nella carità del natio loco
    a nessuno secondo
    i conterranei gli amici
    a efficacia d’esempio a tributo d’affetto
    ponevano.


    Lo stemma di Ponte in Valtellina porta la croce d’argento in campo di tre quarti di rosso e un quarto di verde.

  2. Questo pericolo ci viene confermato dalla stessa fede di battesimo, che gli si dovette amministrare nella propria casa. Eccola come ci venne a suo tempo comunicata:

    PROVINCIA DI SONDRIO
    MANDAMENTO DI PONTE
    N. 64.

    Il 1.° giugno 1865.


    «Nei Registri Battesimali di questa Chiesa Prepositurale di S. Maurizio Martire, alla pag. 383, leggesi l’atto seguente:
    Anno Domini millesimo septingentesimo quadragesimo octavo (1748), die vigesima nona (29) octobris; peractæ sunt sacræ Baptismi ceremoniæ super puero Joachim, Joseph, Maria, Ubaldo ab admodum Reverendo Domino Iersone Foliani Canonico Burmiensi: qui puer natus est die decima sexta (16) Julii, anno millesimo septingentesimo quadragesimo sexto (1746); et, «ob imminens vitæ periculum,» domi baptizatus fuit ab admodum Reverendo Domino Francisco Piazzi. — Hic puer natus est ex Nobilibus Dommis conjugibus Bernardo Piazzi Antonia Artaria bujus Parœcisæ.

    In fede:Prevosto Luigi Guicciardi,
    Vico Foraneo.»