L'asino (Guerrazzi, 1858)/Parte I/Il Giudizio delle Bestie
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Il Giudizio
DELLE BESTIE
§. III.
Giudice delegato a sentenziare i piati delle bestie. Si trova giusto eleggere un giudice che le intenda, e da loro sia inteso. Nel mondo la faccenda non andò sempre così, e dove, e come. Mitridate. Il Cardinale Mezzofanti. Indiani credono, che chi cibò il fegato di Drago intenda gl’idiomi delle bestie. Melampo conosce il linguaggio degli Uccelli. Democrito, Filostrato e Plinio il vecchio lo affermano; Buffon, Cuvier e Paolo Savi gli scorbacchiano. Adamo lasciato stare. Apollonio Tianeo. Il re Salomone. Giudizio di Salomone fra le Bubbole e gli Avvoltoi. I principi hanno in delizia le bestie, e lo attesta con giuramento il marchese Panciatichi Ximenes d’Aragona. Ai tempi di Salomone non usava diventare acerbi dopo essere stati maturi.
Costà apprendemmo come gli Angioli avessero posto fine al giudizio degli uomini comparsi, e concesso ai contumaci uno aggiornamento di quaranta mila secoli, affinchè in questo mezzo tempo, e prima di presentarsi al giudizio criminale trovassero modo o per via di transazione, o per compromesso, di definire il piato intorno alle ossa di loro proprietà, imperciocchè per quello che ci venne raccontato, anche gli Angioli in questa faccenda avessero perduto la tramontana, e dopo molte consulte si fossero trovati d’accordo a decidere, che per quello concerne simile materia importava assai, che gli uomini come gli spinaci si lasciassero bollire dentro la propria acqua: intanto per non perdere tempo, esserne andati a giudicare le creature di diecimila mondi disfatti in una delle mille Galassie1 giusta in quel punto, ch’ei profferivano le sentenze di questo nostro. E siccome volevano delegare persona la quale giudicasse dei meriti, e dei demeriti delle bestie, non che di certe loro pretensioni vecchie, che avevano subodorato essere risolute a mettere in campo e far vive da capo; così attesero a cercare chi avesse fama d’intendente nella linguistica animalesca. Veramente, gli Angioli rovistando le scelleraggini umane avevano trovato come uomini ferocissimi e ipocritissimi, non rifuggissero da preporre a tribunali di sangue carnefici in forma di giudici, i quali né la favella degli accusati intendevano, nè da loro erano intesi; ma queste scelleraggini parve loro da maledirsi nello inferno, piuttostochè da scansarsi in paradiso! E premendo pure, assettare la faccenda, ad alla voce chiamarono: — Mitridate! — Indi a poco ecco fu visto rotolare un teschio incoronato (questo era quanto avanzava di te, o terrore del popolo romano) il quale richiesto rispose: avere bene saputo ai tempi suoi favellare ed intendere ventotto lingue, ma di bestie nessuna. Allora chiamarono da capo: Mezzofanti! — E questi tardando a comparire, con voce più forte replicarono: Mezzofanti! — Il cardinale Mezzofanti fuori! — Un po’ di pazienza, fu risposto, sta mettendosi insieme. Non importa, soggiunsero gli Angioli, venga come si trova. — L’usciere si fece oltre portando dentro un cappello rosso non so quali frammenti di ossa, e lo depose a mo’ di tagliere sopra la tavola. Gli ossi interrogati chiarirono, avere conosciuto mentre erano in vita settantotto favelle2, e talune di uomini, che si potevano dire peggio che bestie, ma in verità poi bestie non erano: per le quali ragioni non gli pareva essere il fatto loro. Stando gli Angioli sgomenti saltarono fuori certi stinchi di Democratico, di Plinio il vecchio, e di Filostrato, che gli ammonirono essere fra gl’Indiani ferma opinione, che comprendessero ottimamente il linguaggio degli animali tutti coloro, che avessero cibato il fegato o il cuore di Drago3; anzi Melampo avere appreso il dolce idioma degli Uccelli solo per avergli lambito le orecchie un Dragone4; cercassero pertanto questi mangiatori di Draghi, ed era negozio finito; ma qui ecco sorgere un femore del Buffon, una tibia del Cuvier, ed anche certe schegge di Paolo Savi, e sussurrare, che ell’erano coteste fandonie e baie da accomodarne il Ciriffo Calvaneo e il Morgante Maggiore, non già naturalisti che avessero stocco; poi protestato che ebbero per la dignità della scienza si tacquero, e gli Angioli si trovarono più imbrogliati di prima; pensarono al padre Adamo, ch’ebbe credito un giorno di conoscere la favella delle famiglie delle varie bestie, ma considerata alquanto la materia, ne deposero il pensiero non sembrando dicevole, che il primo misfattore alla faccia di Dio si affibbiasse la giornea di giudice; ed oltreacciò lo avevano visto così stupidito allo aspetto della mole sterminata della miserie e dei delitti, che opprimeva la sua figliolanza, che parve loro discreto lasciare il povero uomo in pace; finalmente posero gli occhi sopra Apolonio Tianeo, e sopra il re Salomone; sapientissimi entrambi; operatori di portenti, e paruti amendue piuttosto prossimi alla natura divina, che superiori alla umana; però dopo averne conferito alquanto reputarono dovere preferire al Tianeo il Palestino, imperciocchè se questi su gli anni declinati della vita a cagione di femmine, si era alquanto appartato dalle vie del Signore, quegli non andava immune dal sospetto di avere fatto miracoli per virtù del demonio, e finalmente il figliuolo del re David (che fu un fior di galantuomo pel suoi tempi, come diceva il Caporali del Marchese del Vasto) si era mostrato giusto e saputo non solo fra gli uomini, come ne porge testimonianza il giudizio delle due madri a cagione del figliuolo morto a tutti notissimo, ma eziandio l’altro più bello forse, e certo meno noto, che profferì fra le Bubbole, e gli Avvoltoi5.
Le bestie ammonite a suono di tromba non si può immaginare quale e quanto sentissero inestimabile giubbilo per così fatto partito; di fatti ne avevano buona ragione, però che il figliuolo di David sopra tutti i suoi fratelli di corona, che si fanno delizia delle bestie6, si fosse dimostrato sempre loro sviscerato, e disposto a servirle: reputavano poi avere il pegno in mano di sentenza favorevole, pensando che il prelodato re di proprio moto (come disse) aveva scritto e stampato: gli uomini non possedere cosa la quale stesse al di sopra delle bestie, e non sapersi affatto se lo spirito delle bestie andasse all’ingiù, e quello degli uomini all’insù; tutti gli animali comparire a fine di conto composti di carne, di ossa, di sangue e di spirito, particola della grande anima del mondo; e se gli uomini non la volevano intendere, egli accadeva perchè fossero prosuntuosi quanto ignoranti e arroganti. Onde non temevano, che il re una cosa volesse dire in sala ed un’altra in salotto, e smentendo le sentenze profferite in verbo regio dopo averle proclamate mature per la immortalità adesso le bandisse acerbe.
Questi tiri non usavano ai tempi di Salomone; per farli possibili ci volevano almeno altri due mila anni di civiltà proseguita nelle generazioni dell'uomo.
Note
- ↑ [p. 50 modifica]Vie lattee volgarmente dette, e congerie sterminate di stelle.
- ↑ [p. 50 modifica]Biografia del Cardinale Mezzofanti, Revue des deux Mondes, t. 4, 185, p. 606.
- ↑ [p. 50 modifica]Filostrato, Vita di Apollonio Tianeo, p. 60.
- ↑ [p. 50 modifica]Plinio, Histor. mundi, t. 10, c 71.
- ↑ [p. 50 modifica]Certo giorno re Salomone viaggiando per aria sentivasi fieramente percosso sul capo dai raggi solari, per la qual cosa avendo visto gli Avvoltoi, che passavano per di là li chiamò a se, e disse loro. — Fate di ripararmi sotto le vostre ali: — Ma gli Avvoltoi risposero: siamo forse tuoi vassalli, onde noi li abbiamo a servire? Contentati, che non ti becchiamo gli occhi e tira innanzi pei fatti tuoi. — Queste parole non poterono garbare ad un re fosse pure Salomone, ed in vero non gli garbarono, ma dissimulando per allora, si voltò alle Bubbole che facevano il medesimo viaggio di S. M. Israelitica, e chiamate con la voce, che tengono in serbo i principi quando hanno bisogno, favellò loro così. — Cuopritemi con le vostre penne da questo sole che mi da una emicrania del diavolo. — Buon re, risposero le Upupe, o come va, che sei salutato un'arca di scienza e poi ignori [p. 51 modifica]quello che sa ogni contadino, vogliamo dire di non metterci in viaggio senza ombrello o senza pastrano? Ad ogni modo sta di buon animo, ti faremo ombra con le ale. — Salomone tornato dal pellegrinaggio citò le Bubbole e gli Avvoltoi davanti al suo tribunale, dove, senza tante ipocrisie, costituitosi apertamente giudice e parte, come sempre in sostanza fanno i potenti quando piatiscono co' loro soggetti, giudicò che da quel momento in poi gli Avvoltoi andassero ignudi di penne il capo e il collo, ed alle Bubbole donò una corona d'oro. Ma era destino, che per quel quarto di ora il re sapientissimo non sapesse commettere altro che spropositi, imperciocchè laddove le Bubbole senza molestia al mondo volassero per lo innanzi a destra ed a sinistra in grazia della loro carne stupendamente coriacea, si trovarono adesso perseguitate senza requie ed uccise dagli uomini mossi dalla cupidità di spogliarle delle belle corone dell'oro. per la qual cosa le poche Bubbole scampate dalla strage si restrinsero insieme, e deliberarono di tornarsene al re per supplicarlo a emendare cotesta castroneria della corona. Il re, per quello che si racconta, fece allora tre atti rarissimi nella storia dei re, e degni di memoria; e il primo fu, che ascoltò con attenzione per comprendere bene; il secondo, che dopo avere bene inteso confessò addirittura di avere preso un granchio, e per ultimo appena confessato lo sbaglio, vi portò rimedio levando via alle Bubbole la corona d'oro sostituendone un'altra di penne, e mantenendo ferma la carne coriacea; benefizii che ai giorni [p. 52 modifica]nostri le Upupe ritengono per la maggior gloria del re Salomone. I Monasteri d’Oriente, p. 384.
- ↑ [p. 52 modifica]Questo attestò con suo giuramento preso sopra la immagine rilevata di G. C. l’Illustriss. Sig. marchese Panciatichi di Aragona nel processo di lesa maestà, o vogliamo dire perduellione formato addosso a me scrittore, dove il degno gentiluomo comparve contro me testimonio dell’accusa. — Non posso passare sotto silenzio, che in questo momento escono alla luce per le stampe di F. Lemonnier le glorie di casa Panciatichi, e s’incomincia da un matto, voglio dire dagli scritti del canonico Lorenzo Panciatichi, il quale, secondo che c’informa Cesare Guasti, si buttò nel pozzo il 12 luglio 1676.