L'amor coniugale e le poesie d'argomento affine/De amore coniugali/Libro II/Le nenie

Le nenie

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LE NENIE


Armene, parve puer, laeti spes longa parentis,
sacra tibi, nate, et naenia naeniola.



Le Nenie sono state sempre considerate le poesie piú originali del P., se non addirittura le piú belle. Certo, nel loro genere, sono cosa nuova. La loro bellezza è sopratutto nell’esatta rispondenza dei vari elementi d’arte che le compongono. Tutto vi è rimpicciolito, tutto è veduto con occhi infantili, tutto è adattato al semplice ritmo di una cuna che dondola. L’esametro latino à qui un’andatura da barcarola, e le ripetizioni, i diminutivi, le pause, i bisticci, i balbettii vi trovano esatta rispondenza musicale, linguistica, fraseologica e sintattica. Alcune di queste dodici poesiole sono veri e propri capolavori del genere, e gli ammiratori del P. furono invogliati a tradurle. Nessuno però à saputo tener conto dell’elemento ritmico che è qui essenziale, e che si poteva solo in parte rendere, usando lo stesso metro del latino.

Le due versioni piú note delle Nenie sono quella dell’Adimari e quella dell’Ardito: nella prima delle quali sono usati i metri piú diversi, mentre nella seconda, assai inferiore per valore letterario, ogni distico è reso con una quartina di ottonari a rime piane e sdrucciole alternate. Quest’ultima versione, che segue le migliori stampe, è accurata, esatta ed è contenuta nel secondo volume dell’opera del Tallarigo, già citata, mentre la versione dell’Adimari fu edita dal Foffano (Pavia 1899) in un opuscolo per nozze.

L’Adimari, poeta secentista, usa, traduceudo, la massima libertà; aggiunge, toglie, adatta a piacimento il testo latino ai suoi capricci metrici. Egli non avrebbe certo sperato che la sua versione (e non le sue molte centinaia di sonetti) avesse fatto ricordare a noi lontani posteri il suo nome.

Il Foffano che lo esuma con tanta diligenza non si è però dato la briga di confrontare la versione col testo o coi vari testi delle nenie pontaniane. Poiché, come ben spiega il Soldati (Op. cit. I, pag. LIX-LX) due sono le redazioni a stampa delle nenie: l’una del 1498 non autorizzata e riprodotta poi nell’Aldina, e l’altra già definitiva nel 1496 e che non fu pubblicata se [p. 52 modifica]non alcuni anni dopo la morte del poeta (edizione summontiana), L’una e l’altra redazione furono dunque conosciute assai per tempo.

Già il Soldati à fatto il confronto con le due redazioni e à rilevato la contaminazione subita da tre nenie (4a 8a 11a ed. Soldati) certo per opera dell’autore stesso.

Ma c’è di piú. L’Adimari dovette conoscere entrambe le versioni. Egli infatti segue un po’ l’una, un po’ l’altra e rimaneggia due di esse a suo piacere, inserendo, e questo mi pare l’argomento definitivo, nell’edizione Aldina, che egli a torto crede la migliore, i quattro versi che ci son di piú nella nenia quarta della Summontiana e che essa sola contiene. Cosí la nenia settima (Exitus e somno) dell’Aldina, invece di essere di 18 versi (16 nella summontiana) ne à nell’Adimari almeno 22. Un’attenta lettura della versione italiana può (al contrario di ciò che pensa il Soldati, Op. cit. ibid.) far rilevare la confusione che da tale imbroglio deriva.

La nenia undicesima dell’Aldina suona cosí:

“Vien, desiata Lisa, a che dimori?
Vien, perch’indugi? a che ritardi? ah vieni!
Ha sete e piange e ti rampogna, e fuori
cerca il bimbo le t.... e tu le tieni.
Ahi, ch’ambidue fingete ire et amori,
ma siete ambidue pur d’inganni pieni;
torrò le poppe e ’l figlio; e fia mia scusa
che tu fuggi col petto, ei lo ricusa.”
                                                                                          (Adimari)

I quattro ultimi versi non rispondono evidentemente ai quattro primi. Dove sono in questi le ire, i finti amori, gl’inganni di Lisa e di Lucio? Perché quell’intrusione della mamma?

Queste piccole incongruenze sono accuratamente evitate nella redazione definitiva. Qualche versione dell’Adimari non è priva di vivacità e di brio. Quella che ci sembra la migliore è la versione della nenia terza, che, data la rarità dell’opuscolo del Foffano, riportiamo a delizia dei nostri lettori.

“Serbo a te questo sen, ma del mio petto
la destra poppa è tua, la manca è mia.
Piange ora il mio Cosmin? Mutiamo il detto:
sia tua la manca, e mia la destra or sia.
Or su, non pianger, no, taci in buon’ora,
è tua la destra e la sinistra ancora.
Dolce ride il mio bimbo, e ’l sen mi tira.
Ahi! tu mordi, crudele, or le mie poppe!
Or, perch’io dico mie, vie piú s’adira;
taci, son ambi tue, né ti son troppe,
suggile tutte, e poi di latte pieno,
perché non l’abbia alcun, chiudile in seno.”


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