L'Economico/Capitolo III

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo III
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CAPITOLO III.


Udito ciò Critobulo, disse: certo, o Socrate, che non ti lascerò prima che tu mi abbia dimostrato quello che ora mi hai promesso alla presenza [p. 13 modifica]di questi nostri amici. — E Socrate allora: se ti farò vedere in prima, o Critobulo, quanto alle abitazioni, altre che sono fabbricate con grande spesa, e di veruna commodità, ed altre, le quali con assai minor dispendio hanno tutto quanto si richiede, non ti parrà forse che io ti abbia fatto conoscere alquanto questa parte dell‘economia? - Si nel vero, o Socrate. — E che ti parrà, se di poi ti mostrerò, ciò che in parte è a questo somigliante, alcuni che avendo molte masserizie di ogni genere, di esse quando ne hanno d’uopo non possono servirsi, e nè anche sanno se più si conservino, e quindi molto essi si rammaricano, e molto fanno rammaricare i servi: altri poi i quali non ne avendo niente di più, anzi anche di meno, pure hanno in pronto quello di che abbisognano. — Ma di questo, o Socrate, quale altra n’è la cagione se non che gli uni gittano ciascuna cosa dove s’incontra, e gli altri hanno tutto in alcun luogo riposto? — Così è, disse Socrate, e nemmeno ciascuna cosa è riposta in un luogo qualunque s’incontri, ma quivi appunto dove le si conviene. — Anche ciò di cui ora parli, Critobulo disse, parmi che si rapporti alla economia. — Se poi ti farò vedere in alcun luogo i servi esser tutti, a modo di dire, legati, e non di meno di là spesso fuggirsene, e in altro luogo starsene tutti sciolti, e travagliare di buon animo, e volentieri rimanervi, non ti [p. 14 modifica]parrà forse che ti abbia mostrate una parte dell’economia assai bella a considerarsi? — Tale, disse Critobulo, al certo mi sembra. — E che ti sembrerà se ti mostrerò tra coloro, che coltivano egualmente la terra, alcuni, che dicono di essersi per tale coltivazione al tutto rovinati, ed altri all’opposto che dal coltivamento dei campi sono ottimamente, e copiosamente forniti di quanto loro abbisogna? — Ma questo forse, Critobulo disse, addiviene perchè quei primi non solo spendono per quello che si richiede, ma per quello ancora che reca poi danno ad essi, e alla casa. — Ve n‘ha forse anche di questi, ma di essi non ragiono io ora, ma di coloro, che dicendo di esercitare l’agricoltura, non ritraggono da essa di che spendere nemmeno per quelle cose che bisognano alla vita. — Quale adunque, disse, o Socrate, potrà essere la cagione di così fatta divergità? — Io ti condurrò anche da questi, disse Socrate, e tu riguardandovi, l’apprenderai. — Si, disse Critobulo, seppure il potrò. — Non farebbe egli adunque d’uopo che tu fin d’ora prendessi esperimento di te stesso se riguardando potrai tu apprendere? io so bene che per andre a vedere le commedie, e ti levavi di buon mattino, e facevi un’assai lunga via, e m’instigavi a riguardare con attenzione; mai però non mi hai invitato a vedere alcuna di quelle cose, di cui ti ragiono. — Ti sembra forse, o Socrate, che io sia da [p. 15 modifica]deridere? — Assai più lo sembrerai a te medesimo. E se ti mostro pur anche quelli che dall’avere cavalli sono venuti a mancare di ogni cosa necessaria, ed altri che coll’aver pure cavalli si vivono molto agiatamente, e gloriansi del guadagno che vi fanno? — Cotesti ben li veggo ancor io, e conosco gli uni, e gli altri, ma non per ciò divengo io uno di quelli, che vi guadagnano. — Ciò ti addiviene perchè li riguardi in quella maniera che guardi pure i tragici, o i comici, non istudiando in questi, credo io, come ancor tu possa renderti poeta, ma solo come averne diletto veggendoli, e ascoltandoli. E ciò sta bene forse così, poichè non vuoi divenir poeta: ma dei cavalli, essendo tu in necessità di usarne, non pensi di essere stolto, se non provvedi almeno di non ignorare al tutto ciò che si richiede di sapere a chi molti ne nutrisce, massimamente perchè quei medesimi destrieri che ottimi sono a maneggiare, quelli anche utilissimi sono a vendersi? — Vuoi tu, o Socrate, che io mi metta a domar puledri? — Non già, siccome non vorrei nemmeno che dovendo procacciarti lavoratori pe’ tuoi campi, li comperassi fanciulli: ma ben m’è avviso essere una certa età, così nei cavalli, come negli uomini nella quale possano a dirittura rendertisi utili all‘uso, e in seguito poi divenire anche migliori. Posso pure mostrarti alcuni, che dalle donne, a cui si sono sposati, hanno [p. 16 modifica]aiuto, onde accrescere insieme la casa, ed altri, ai quali esse sono cagione di rovina. — E di questo, o Socrate, chi se ne dee accagionare, l‘uomo, o la donna? — Se vediamo, disse Socrate, che gli armenti arrechino danni, per lo più ne accagioniamo il pastore, e se un cavallo sia spiacevole, noi vituperiamo il palafreniere; ma quanto alla donna, se quantunque dal marito ammaestrata al ben fare, pure al mal fare si rivolga, forse a ragione ne verrà essa incolpata; ma se non l’avrà per niun modo ammaestrata di quello, che sarebbe a lei onesto, e convenevole di fare, e poi tale se l’abbia che di tutto questo nulla affatto conosca, non dovrà egli il marito a buon diritto averne la colpa? quindi seguì egli a dire: con tutta schiettezza, o Critobulo, (poichè siamo qui tutti amici) dinne ora il vero. V’ha forse alcuna persona a cui più cose, e più importanti tu affidi, che alla tua donna? — Niuna ve n’ha al certo, disse. — Ragioni tu poi con verun’altra meno che colla tua donna? -— Se non al tutto, disse, con niuna persona, nel vero non con molte. — E ben ti sarai ad essa sposato mentre era assai giovane, e con tal cura educata, che veduto, e udito avesse il meno che fosse stato possibile? — Così è appunto. — Non è egli adunque assai più da meravigliarsi, se di ciò che dire o fare le si conviene, alcuna cosa pur ella ne sappia, che se in ogni cosa fallire tu la [p. 17 modifica]vegga? — Ma coloro, che tu dici avere buone mogli, forse che, o Socrate, essi medesimi le ammaestrarono? — Ciò è pure da considerarsi; ed io ti condurrò ad Aspasia, ed essa, meglio di me saprà dimostrartelo. Quanto a me poi, giudico, che la donna, quando ella sia quale si richiede, stiasi perfettamente a paro alla bilancia col marito rispetto all’utile, che ambedue alla casa possono arrecare: perocchè siccome per lo più le facoltà vengono nella casa per le cure dell’uomo, così tutte quasi si dispensano colla sopraintendenza della donna, e quando tutte e due queste cose si fanno bene, le case si accrescono, facendosene poi alcuna male, si diminuiscono. Anche in ogni altra arte potrei, come parmi, dimostrarti quelli, che in ciascuna sanno bene adoperarsi, se giudichi di averne d’uopo.