Kant - Geografia fisica, 1807, vol. 1/Capitolo 1/II. Del fondo del mare
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II.
Del fondo del mare.
Il fondo del mare è la continuazione della terra asciutta, ed in conseguenza affatto simile a questa. Quivi troviamo la medesima varietà di stagni, di sabbia mobile, di fondi calcarj, argillosi e selciosi; là sorgenti; qui laghi paludosi, fango e fracidume, nel quale non s’attacca alcun’ancora; alga, strati di conchiglie, masse di pietre, e varie specie di marmo. Il fondo presso Marsiglia è coperto di bellissimo marmo, e presso le isole Maldive si traggono dal suo fondo le pietre più dure per le fabbriche. In esso troviamo boschi intieri di coralli, antri, caverne, valli e precipizj.
Le isole non sono altro che le punte delle montagne le quali s’innalzano sulla superficie del mare. Ciascun basso fondo fa supporre esistervi una montagna. Vi sono montagne artificiali di una considerabile circonferenza, cioè banchi di corallo i quali veramente non sono formati dalla natura non organica ma ammassati da ammirabili verminetli: queste montagne stanno verticalmente, simili ad immense muraglie di roccia, ed in piccole distanze dalla sponda circondano spesse volte isole intiere. Taiti, per esempio, è cinta da una tale muraglia: nella vicinanza di Turtle Eiland (isola delle Tartarughe) s’innalza quasi in forma ovale una diga di coralli da una profondità immensurabile sino alla superficie del mare, la quale in molti siti, particolarmente in tempo di riflusso, resta scoperta dalle onde. Questi piccoli vermi, che svaniscono quasi in confronto alla loro opera, si fabbricano queste masse di dighe contro la burrasca e l’ondeggiare del mare, per potersi ricreare tranquillamente dietro esse; e non raramente hanno prodotto e fondato isole nel mare pacifico, le quali ora sono abitate; poichè il mare depone fra queste abitazioni fango, terra ec., e le riempie a poco a poco, finchè s’innalzano sopra l’acqua, anzi in varj siti a maggiore altezza del flusso. Qui prendono radice il frutto della palma di cocco ed altre semenze gettatevi dal mare, e così finalmente si rendono abitabili. L’intiero arcipelago delle asse isole degli Amici e molte altre, l’isole della Catena (chain Eiland), Tedhurea ec., sono di questa origine. Le isole di questa natura sono interamente pine senza colline, ma hanno in mezzo una profondità ripiena d’acqua. Ancora al presente in tempo di flusso passa il mare sopra i siti più bassi dell’isola fino alle dette paludi; ciò non ostante molte di queste isole più grandi sono abitate; altre di quando in quando sono visitate dagli abitanti delle isole vicine, per farvi la caccia degli uccelli e delle tartarughe; altre poi, benché siano coperte di palme di cocco, e frequentate da una quantità di uccelli, paiono essere affatto inservibili. Siccome i vermi che innalzano queste masse di rocce, vivono solamente sott’acqua; così non possono trovarsi tali innalzamenti artificiali sulla superficie della terra. Appartengono benanche all’acque le montagne d’immense pianure, conosciute sotto il nome di banchi di sabbia. Sulla terra asciutta quasi tutte le prominenze finiscono conicamente; e le pianure che troviamo sulle montagne non possono in alcun modo essere paragonate con queste alte estensioni. Ma egli è facile a comprendere, che questo fenomeno non può nascere che solamente sotto acqua, la quale spiana questa arena accumulata. Se il mare si ritirasse anche al presente, il vento e la pioggia in queste alte pianure ben presto formerebbero de’ solchi, e le dividerebbero in una catena di colline. Tali alte pianure di spaventevole estensione sono la Doeggersbank (banco de’ cani) la quale dall’Jutland s’estende fino all’Inghilterra; un altro banco che corre egualmente da Northfolk a Zeeland, e forma sotto acqua una lingua di terra, la quale se fosse più alta cangerebbe l’Inghilterra in penisola: nell’acque di Francia il così detto Borneur, che si estende ancora considerevolmente; e chi conta i bassi fondi e i banchi del mare delle Indie? Per conoscere meglio queste montagne piatte del mare, accennerò ancora che ordinariamente sopra di esse tutti i pesci del circondario si affollano. L’acqua su di esse è sempre fredda, e la profondità intorno a loro non si misura con nissuno scandaglio.
I Danesi sogliono chiamarle Haubröen o sia ponti del mare, oppure Storeggen. Lungo la costa della Norvegia, in distanza di 4 miglia, ed in altri siti, di la e i4 miglia, esistono tali montagne piatte. Dappertutto intorno ad esse lo scandaglio di 200 a 300 tese non è stato capace di scoprire la profondità che le circonda; i banchi stessi sono coperti solamente di dieci in dodici piedi di acqua, ed in quanto alla pesca sono assai importanti ai Norvegesi, poichè nella grande profondità non si potrebbero prendere i pesci, e le reti non vi potrebbero essere tirate. Questi banchi facilmente sono distinti dall’occhio pratico per mezzo delle onde corte, le quali rapidamente seguono l’una dopo l’altra. Ciò nasce dalla poca profondità; poichè il vento può muovere l’acqua fin al fondo, ove le onde si rompono.
Cogniti sono i grandi banchi presso Neufoundland (Terranova) il di cui possesso è diventato l’oggetto di straordinari trattati di pace fra gl’Inglesi, Francesi, Olandesi ed Americani, e quelli di S. Pietro, di Sable e di S. Giorgio. Il banco maggiore giace sulla parte sud-est di Terranova, lungo quasi 80 miglia e largo 20, ed è circondato da profondità immensurabile. I bastimenti più grandi vi passano sopra, poichè il mare ha su di esso ancora una profondità di 40 braccia. I merluzzi si affollano quivi in sì grande quantità, che annualmente, per la pesca e per salare i pesci, sono occupati più di 350 bastimenti, e 2000 barche, le quali unite portano 20560 uomini. Il freddo1 in tali banchi è forse eccessivo, perchè l’acqua proveniente dall’immensa profondità, ove non trapassa raggio di sole, si rotola sopra di essi come sopra un piano inclinato. Finalmente è facile ad intendere che montagne di sabbia innalzate dall’acqua non possono essere rapide, ma che inclinano a poco a poco: forse il piede più rimoto di queste alte pianure cade in mezzo al mare fra l’Inghilterra e la Groenlandia.
Vi sono altri banchi di sabbia che s’innalzano fino alla superficie, i quali però in tempo di riflusso sono ancora coperti di acqua. Questi, siccome il bastimento facilmente vi si arresta, minacciano grandi pericoli. Di tal natura sono le Sirti presso Tripoli. Le colline di sabbia innalzate dal mare in poca distanza della costa le chiamiamo dune. Di queste se n’estendono considerabilmente lungo le coste di Kent, e particolarmente dell’Olanda e delle Fiandre, sulla costa occidentale della Francia, e su quelle della Spagna. Queste dune sono assai importanti agli Olandesi, poichè rimpiazzano le loro dighe costose. In tal guisa l’acqua, la quale pare richiedere continuamente il suo antico territorio d’Olanda, ha tirato i confini da sè stessa, e propriamente con quella forza che la rende sì terribile: dietro di esse stanno tranquilli i bastimenti ancorati. Nella Bretagna, ove s’ingrandiscono quasi troppo verso la costa, mediante il vento marino, co prono colla loro sabbia fruttiferi campi; ma ora si cerca di por fine a questo danno per mezzo di piantagioni.
Gli scogli di mare sono rocce, delle quali piene sono le coste occidentali della Norvegia. Milioni di essi colle loro punte s’innalzano, più o meno considerabilmente, sulla superficie dell’acqua, ed hanno l’aspetto di pilastri e d’obelischi posti ad arte. La Norvegia con tutta ragione li considera come una muraglia o riparo contro gli attacchi de’ nemici dalla parte di mare, poichè quelli che non sono pratici della loro situazione, difficilmente vi si avvicinano senza correre pericolo di naufragare. Sulle coste della Svezia questi scogli chiamansi schereen (gruppo di banchi), fra i quali sono particolarmente notabili quelli davanti Stockolm.
Gli scogli a fior d’acqua sono quelli che continuamente restano coperti dall’acquai marina; essi sono i più pericolosi pei navigatori, e perciò indicati con precisione sulle carte idrografiche.scandaglio e campana urinatoria.
In primo luogo esaminiamo il fondo del mare per mezzo dello scandaglio.
Lo scandaglio è un pezzo di piombo di 40 in 50 libbre, in farma d’un pane di zucchero, il di cui fondo concavo è fornito di un margine riempiuto di sevo, o di altra materia grassa. Per mezzo delle particelle che vi s’imprimono o che vi si attaccano nel fondo del mare, allorchè lo scandaglio vi si appoggia sopra, possiamo giudicare benissimo del suolo di esso. Se ne traggono ancora delle altre conseguenze; per esempio, quando si trova la sabbia mobile dopo un fondo pietroso, allora la sponda non è più molto distante.
Un altro mezzo di esaminare il fondo è quello d’immergersi nell’acqua.
Ordinariamente l’uomo è per l’undecima parte del suo peso più leggiero dell’acqua piovana, e per la decima parte in circa più dell’acqua marina. L’uomo dunque non può propriamente affondarsi nell’acqua, ma facilmente può dare al suo corpo la posizione più convenevole per dividere l’acqua ed attuffarsi, per mezzo di movimenti ed urti, contro la massa della medesima. Per non perdere inutilmente le forze, quelli che s’im-mergono, qualche volta si attaccano un peso di 20 libbre, ma in tal caso sono legati con una corda per poterli tirare in su. Fa veramente sorpresa che sieno giunti tanto a fondo nell’acqua alcuni uomini, anzi nazioni intere: essi prendono nella profondità del mare gli utensili e le mercanzie dei bastimenti naufragati, e tolgono al mare i suoi tesori (perle e coralli). Thevenot dice, che gli abitanti dell’Arcipelago della Grecia sono qnasi tutti bravi nuotatori e marangoni, e che nell’isola di Samo non è permesso ad un giovine di maritarsi prima di sapere tuffarsi 8 braccia nella profondità dell’acqua. I popoli nelle isole del mare pacifico si fecero conoscere agli Europei, che li riconobbero i più bravi marangoni; essi in alto mare si precipitavano nell’acqua per prendere un filo di coralli, e presto ritornavano sulla superficie colla roba gettatavi. I Negri sono egualmente abili marangoni e nuotatori. l pescatori delle perle e dei coralli sogliono turarsi il naso e gli orecchi colla bambagia, per non soffrire in queste parti l’irritazione dell’acqua. Essi, prima d’immergersi, empiono i polmoni ampiamente di aria, e quando si sentono angustiati, lasciano sortirne un poco per una picciola apertura della bocca, e subito si sentono sollevati: qualche volta prendono seco loro grandi vesciche di aria la di cui apertura entra nella bocca; questo modo facilita moltissimo la maggior permanenza sotto acqua. Qualche volta si fa uso ancora con vantaggio di un denso e forte vestiario di pelle, che può contenere all’incirca una mezza botte di aria: questa pelle è conciata sì fitta, che difficilmente l’aria può penetrarla. Questo abito passa esattamente sopra le braccia ed i piedi del marangone, ed il davanti è fornito di un vetro. Vestito in tal maniera, egli può camminare sul fondo del mare, ed entrare in tutte le camere di un bastimento sommerso a scegliere quello che gli piace. In quelle profondità nelle quali i marangoni scendono v’è sufficiente luce per poter riconoscere tutti gli oggetti, anzi fino al segno di potervi leggere e scrivere; ma il maggior incomodo vien cagionato dalla mancanza dell’aria atmosferica. L’aria che si porta con sè ben presto è guasta; la circolazione del sangue è impedita, e questo si ammassa in conseguenza ne’ vasi, e particolarmente in quei della testa; che perciò i marangoni spesse volte sono esposti a perdere il sangue dal naso e dagli orecchi. Siccome non possono restare che 5 minuti in circa sotto acqua, e d’altronde non possono discendere con celerità nelle grandi profondità, poichè l’acqua comprime il loro corpo in proporzione dell’altezza di essa; cosi non è possibile che i marangoni discendano a maggior profondità di 100 piedi. Ai marangoni dobbiamo assolutamente una grande cognizione del fondo del mare; e se potessero dorare sotto acqua più di 5 minuti, potremmo chiamarli geografi sottacquei. In qualità di marangone è celebre Cola Pesca, siciliano, nato in Catania da poveri parenti. Quello che Kirchero2, Pontano ed Alexander ab Alexandro di lui raccontano, cioè, che restò sott’acqua da quattro in cinque giorni, e quivi si sia nutrito di pesci crudi, è sicuramente alterato al segno, che non merita alcuna fede. Spesse volte nuotò egli in qualità di messo verso le isole del circondario, ai porti vicini, e raggiunse bastimenti che passarono innanzi la Sicilia, dando loro o prendendo notizie da essi: egli s’arrischiò di entrare nel mare in tempo di burrasca, anche quando i marinai non l’osarono; ma finalmente vi peri. Il re di Napoli Federico,| della casa di Svevia, lo fece discendere nel tanto rinomato vortice dal Faro di Messina: dicesi, che la prima volta abbia riportato, dopo tre quarti d’ora, un boccale d’oro che vi fu gettato, facendo un rapporto al re della situazione del vortice; ma la seconda volta non comparve più. Circostanze più minute riguardanti questo uomo trovansi nella raccolta degli scrittori della Sicilia, pubblicata dal canonico D. Antonio Mongitore a Palermo nel 1743. Merita ancora di essere esaminato, quanto sia vera la storia del moderno marangone Francesco De la Vega, nato a Lierquanes nel vescovato di Burgos. Questi nel 1674 andò a bagnarsi all’età di 15 anni; si precipitò capovolto nell’acqua, e più non ritornò. Nel 1679 alcuni pescatori di Cadice videro sull’acqua una figura umana che nuotava e s’immergeva; la presero, e dalla parola Lierquanes, ch’egli pronunciò, credettero di riconoscere Francesco Della Vega, che da 5 anni in dietro si era perduto. Un francescano, Giovanni Rosende, lo condusse in quel villaggio; essendo ancora distante un quarto d’ora di cammino, Francesco raddoppio i passi, e corse addirittura verso la casa di sua madre, la quale lo riconobbe benissimo, come pure due de’ suoi fratelli: Francesco al contrario non esternò alcun sentimento verso la madre nè verso i fratelli, e non parve punto sorpreso. Egli restò nove anni appresso la madre; il suo intelletto fu sì debole, che altre parole non imparò a dire, che vino, pane , tabacco, ed anche tali core non disse sempre a proposito: al più egli potè servire da portar lettere e pacchetti. Dopo nove anni scomparve di nuovo senza che si avesse avuto alcun indizio di lui. D. Paolo Muccia, che nel 1766 si fece vedere nuotare a Napoli, potè restare 5 minuti sott’acqua senza incomodo: la leggerezza specifica del suo corpo rapporto all’acqua fu sì grande, ch’egli con un peso di 30 libbre napolitane fu spinto dall’acqua sulla superficie. Quello che gli antichi, come, per esempio, Erodoto, VIII, 8, raccontano di Scyllias di Sciona nella Macedonia, cioè, ch’egli sotto il governo di Serse abbia camminato per la distanza di 80 stadj dal promontorio Afete, presso Magnesia in Macedonia, fino ad Artemisio, il punto più settentrionale di Eubea, per dare ai Greci la notizia del naufragio della loro flotta, appartiene al regno delle favole.
Per immergersi con maggior comodo, per restare più tempo sott’acqua, e per lavorarvi meglio, si sono inventate le campane urinatorie. Egli è noto, che un vaso voltato in giù ed immerso nell’acqua non si riempie mai interamente, ma immergendolo con forza alla profondità di 33 piedi, vi monta l’acqua sino alla metà; a quella di 66 piedi, solamente a 2/3 e alla profondità di 99 piedi, fino a 3/4 del vaso. L’aria però vi è compressa in modo, che i marangoni perirebbero, se a tale accidente non s’ovviasse col riempiere la campana d’aria fresca, anche durante la sua discesa.
Si scelgono a quest’uopo le campane, poichè resistono maggiormente alla pressione; simili in ciò alle volte, ove un punto sostiene l’altro. La campana proposta ed usata da Halley ha 8 piedi di altezza, 5 di diametro alla sua bocca, 3 di sopra, e contiene incirca 63 piedi cubici, quasi 8 botti. Essa è coperta di piombo, e sì pesante, che cala a fondo anche senza carico. Il suo peso sul margine è distribuito in maniera, che sempre deve calare verticalmente; in cima trovasi un vetro forte ed assai chiaro, aociocchè vi passi la luce: sul fondo del margine intorno alla campana v’è una sedia pe’ marangoni, ed accanto a questa una graticola di corde sulla quale essi possono lavorare stando in piedi. Verso la volta vi è una vite, per lasciare sortire l’aria guasta: per introdurvi l’aria buona si fanno calare accanto alla campana degli otri coperti di Piombo, di 63 galloni3 circa, i di cui tubi lunghi ed imbevuti d’olio, ed applicati al coperchio superiore, possono essere votati facilmente sotto la campana. Votato l’otre d’aria, ad un segno del marangone è tirato in alto, e subito se ne cala un altro; ed in tal modo l’aria fresca entrando nella campana, fa sollevare l’aria calda e rarefatta che v’era, la quale esce poi per la chiave già descritta. Con questo metodo si può introdurre una quantità di aria fresca, e veramente in sì grande quantità, che Halley assicura essere stato egli stesso in compagnia di altre quattro persone un’ora e mezzo sott’acqua alla profondità di 10 braccia, senza che loro sia arrivato il menomo accidente; e che avrebbero potuto restarvi più tempo senza alcun incomodo.
La discesa della campana dev’esser lenta a principio, acciocchè il marangone si accostumi all’aria condensata. A ciascuna profondità di sei tese si arresta la campana, e si fa sortire l’acqua che vi è entrata per mezzo di aria fresca. Con questo metodo si può asciugare il fondo del mare intorno al lembo della campana, in modo da non entrare più profondamente nel fango oltre il malleolo. In tempo di calma entrò tanta luce per il vetro applicato sulla campana, che Halley potè perfettamente leggere e scrivere; e quindi tirando in alto gli otri di aria, egli mandò gli ordini scritti sopra tavole di piombo, affine d’essere trasportato nella campana ove voleva. In tempo oscuro, e quando il mare fu agitato, fuvvi una sì grande oscurità sotto la campana come in tempo di notte; ma Halley, attese le sue precauzioni, poté accendere perfettamente il lume, il quale restò acceso, e consumava tant’aria quanta un uomo, cioè un gallone in un minuto. L’unico incomodo che soffrì Halley fu un lieve dolore negli orecchi, come se alcuno glie li pungesse con una penna: questo dolore svaniva quando si arrestava la discesa, e ritornava egli a scendere, finchè fu arrivato al fondo. Uno dei marangoni che volle evitare questa impressione dell’aria, mise in ciascun orecchio un poco di carta masticata, ma questa nel calare s’insinuò si profondamente, che al chirurgo costò molta fatica l’estrarla. Il fenomeno è assai chiaro, e nasce dalla compressione dell’aria condensata. Quanto cresca la compressione dell’aria nel calare, lo possiamo osservare ne’ fiaschi voti ben turati con sughero, i quali non si calano a una certa profondità senza che il turacciolo non sia spinto in dentro, e che l’acqua sia passata nel fiasco. Per mezzo dell’aria, sì considerabilmente condensata sotto la campana, si spiega ancora l’oscillazione forte del suono, per cui non si dovette parlare; e quindi pronunciando uno della società altamente qualche parola, credevano essi di dover cadere. La campana di Triewald è più piccola, ma più comoda ed anche a più buon prezzo. Dessa è di rame, ha nell’alto i vetri necessari, ed in fondo Pende un anello di ferro sul quale sta il marangone in modo, che solamente la sua testa avanza sopra l’acqua nella campana, godendo così quell’aria immediatamente sulla superficie dell’acqua, ch'è molto più fresca e più atta alla respirazione che quella nell’alto della campana; In caso che il marangone fosse necessitato dal lavoro a doversi ritirare intieramente sotto la campana, v’è applicato un canale alle pareti di essa, per poter respirare immediatamente l’aria che si trova sulla superficie dell’acqua. Forse vi si riuscirebbe meglio servendosi, in caso simile, dell’aria ossigenata.
Note
- ↑ Il freddo è qui tanto considerabile, che i marinai, anche mentre che lavorano, debbono coprirsi di un vestiario più pesante, il quale a tal fine portano con sé da Terranova.
- ↑ Kircher, mundus subterran. lib. 2 cap. 15, edit. Wassberg. 3 (Amsterd. 1678) t. 1. p. 97-99, riporta degli atti d’archivio, ma ciò non ostante non rendono la cosa più credibile. Alexand. ab Alexadr. Genial. dies 11 e 21 (edit. Hack Lugd. 1673) tom. 1. p. 451-seg.
- ↑ Misura inglese pe’ fluidi, la quale corrisponde a 4 pinte di Parigi, ovvero a 4 nostre ordinarie bottiglie da tavola.