Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XXIII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO XXIII.
I. Cosroe standosi in quel degli Assirj e calcando la via di tramontana per giugnere ad un castello detto Ardabigara1, deliberò attraversare la Persarmenia per avventarsi nuovamente contro il suolo romano. Quivi è il gran Pireo, nume veneratissimo da Persiani, sull’ara del quale per opera de’ magi arde perpetuo fuoco ed offronsi vittime, sendone gli oracoli molto invocati negli affari gravissimi; è desso in breve la divinità nomata Vesta dagli antichi romani. Ma venutogli intrattanto un messo da Bizanzio a prenunziare l’imminente arrivo di Constanziano e Sergio2, imperiali ambasciadori, l’uno illirico, l’altro della mesopotamica Edessa, ed ammenduni retori e forniti di molta prudenza, i quali recavansi a lui per trattare la pace, nella costoro aspettativa si rimase tranquillo.
II. Se non che ritardatisi nel viaggio per l’infermare di Constanziano ed il pestilenziale morbo inoltratosi nel regno, Cosroe fe comando a Nabede, in allora comandante della Persarmema, d’inviare Eudulio3, vescovo de’ cristiani, a Valeriano prefetto dell’Armenia per richiamarsi della tardanza degli ambasciadori, e per esortare i Romani con ogni studio alla pace. Il vescovo preso a compagno un suo fratello partì, e fattosi alia presenza di Valeriano compiè gli ordini avuti; assicurollo di più ch’egli stesso, avendo l’animo propensissimo alle parti romane in grazia d’una comune religione, indurrebbe a tutto suo potere il monarca, venuti gli ambasciadori in Persia, a non intrapporre ostacoli nella conchiusione d’una pace conforme ai desiderj loro; così il vescovo. Ma il fratello ito di nascoso al prefetto manifestavagli: andar colla peggio le reali bisogna: la peste non avere perdonato all’esercito ed al monarca: il figliuolo ambire la tirannide, e dalla sola complicazione di tali gravissime sciagure causarsi questo chiedere sì premurosamente la pace. Valeriano ascoltati entrambi diede commiato al vescovo con promessa che gli ambasciadori non più indugerebbero il venir loro.
III. L’imperatore avvisato incontanente dal prefetto di tutte le antedette cose, animandosi a’ nuove speranze gli commise di tosto assalire le terre persiane, non vedendo chi dei barbari potesse opporvisi; al qual uopo gli altri comandanti dovevan aggiugnere Martino, e procedere di conserto nella Persamenia. Come queste lettere furono lette dai capitani, si fecero valicare alle truppe i confini dell’Armenia. Ma non guari prima il re paventando forte la pestilenza erasi trasportato coll’esercito nell’Assiria, libera ancora da sì orrendo flagello.
IV. Valeriano piantò il suo campo vicin di Teodosiopoli e ne fe parte a Narsete duce degli Armeni e di alcuni Eruli; Martino prefetto dell’oriente arrivato al castello di Citarizo4, lontano sole quattro giornate da Teodosiopoli, vi pose gli alloggiamenti con Ildigero5 e Teotisto da principio, ricettandovi nel tempo avvenire anche Pietro, Adulio ed altri prefetti cui soprastava Isacco fratello di Narsete. Filomene6 e Vero cogli Eruli giunsero su quel de’ Corseni7, e vi si steccarono a piccolo intervallo da Martino. Giusto, figliuolo del fratello di Giustiniano, e Peranio, e Giovanni di Niceto8, e Domenziolo, e Giovanni Faga ebbero lor tende presso il castello Fison9, quasi a frontiera di Martiropoli. Di tal guisa campeggiavano gl’imperiali duci, la cui oste montava forse trentamila combattenti; nè la unione loro tendeva a formare un solo esercito, ma ad agevolare ai capitani il mezzo di conferire insieme sul come e quando assaltare i nemici. Pietro nondimanco senza dirne verbo a chi che sia mette improvvisamente piede sul persiano confine; Filomene e Vero, risaputolo col nuovo giorno, furongli di botto appresso cogli Eruli, ed a questi tennero dietro Martino e Valeriano, essendo a breve djstanza tutti i loro campi. Ma Giusto che occupava l’ultimo di essi fu pur l’ultimo a porsi in cammino colle truppe, e dovè stare di per sè. Gli altri di poi mossero al diritto verso Dubio, guardinghi affatto dal guastare o dal commettere ostilità sopra quelle terre.
Note
- ↑ Ardabigane (Cousin).
- ↑ Agazia dà a costui un profondo sapere delle lingue, il possesso in grado eminente della stima di Cosroe, ed il primato in fra i turcimanni delle due monarchie.
- ↑ Endubio (Cousin).
- ↑ Catarizo in Menandro; è rammentato eziandio da Teofilatte, lib. iii, cap. 15. Negli Edifizj è detto castello dell’Astianene (lib. iii, cap. 3).
- ↑ Isdigero (Cousin).
- ↑ Philimuth (Cousin).
- ↑ «Da Citarizo verso Teodosiopoli e l’alta Armenia v’ha la provincia Corzane. Questa si estende circa il cammino di tre giornate; nè stagno alcuno, nè alcun fiume, nè montagna la separano dalle terre persiane. Gli abitanti, in tal modo confusi, o a’ Romani ubbidiscono od a’ Persiani, vivendo scambievolmente senza sospetto d’insidie e senza paura alcuna; fanno parentadi tra loro e mercato di viveri, e lavorano d’accordo ed in comune le terre» (gli Edifizj, lib. iii, cap. 3). «La Corzena e la Cambisena soprattutto giacciono verso settentrione, e sono per ciò nevosissime, appartenendo ai luoghi montani del Caucaso, all’Iberia, ed alla Colchide» (Str., lib. xi). Sembra poi al Silandro che la Corzena di Strabone sia la Cotatena di Tolomeo.
- ↑ Nicolao (Cousin).
- ↑ «Da Martiropoli verso ponente è Fisene; luogo dell’Armenia Sofanene, lontano da quella città poco meno del cammino d’una giornata.» (Gli Edif., lib. iii).