Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XXII

Capo XXII

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CAPO XXII.

Morìa gravissima da Dio mandata all’uman genere; sua descrizione. — Strage da essa fatta in Bizanzio. — Giustiniano curantissimo del suo popolo dà a Teodoro la soprantendenza di tutti i provvedimenti necessarj in quelle angustie.

I. Iddio permise di questi tempi una moria grandissima cui l’uomo non seppe rimediare, avvegnachè molti presumendo mostrarne la origine da cagioni fisiologiche, vane tutte ed incomprensibili, studiassersi abbagliare le umane menti co’ loro discorsi; ora dove in prima si manifestò e di qual guisa apportava la morte, non perdonando a luogo, sesso ed età, è mio proposito di qui esporre. Ella ebbe cominciamento tra gli Egizj presso di Pelusio1, da dove, sempre con moto progressivo, corse tutta la terra non rispettando luogo alcuno comunque fuor di mano e solingo, mai però assaliva una seconda volta o la medesima contrada o l’individuo stesso. Al comparir suo furono veduti molti fantasmi tremendi sotto umane forme, e quanti [p. 239 modifica]riscontravanli, tenendosi da loro percossi, venivano tosto sopraffatti dal morbo, che da principio invano adoperavano discacciare con parole sante ed altre divote azioni; prese quindi le sembianze di spiritati o di mentecatti non davan più orecchio alla voce degli amici, e rinserravansi in appartati luoghi; avevanvi pur di quelli che dormendo sognavan gli eguali spettri. Dopo di che principiavano repentinamente a sentir di febbre sebbene i corpi loro non mostrasserne il minor indizio per lo alterarsi del colore e del calore, o vuoi per quella maniera d’infiammazione comunissima in cui entra la febbre; questa, accompagnata al venire da poca tosse, durava insino a notte, cosicchè gl’infermi non mandavan pel medico, nè sembravano pericolare in conto alcuno. Entro poi le ventiquattr’ore, o nel dì vegnente, o non guari dopo usciva fuori un carbone in tale o tal altra parte de’ loro corpi, e chi di essi cadeva in letargo profondissimo, e chi in disperata frenesia, di guisa che i primi dimentichi di tutto, non eccettuato il nutrimento, partivansi di questa vita; ma i frenetici mandavano alte grida immaginandosi riportare offese, e voltavan le spalle con subita fuga: nè men degli ammalati movevano a commiserazione i loro curatori ed infermieri, esposti di continuo a crudeli ed intollerabili strazj, imperciocchè sebbene andassero esenti da ogni tema di contrarre il male, non avendovi esempio che uomo al servizio degli infetti ammalasse, pur tollerar dovevano penosissime fatiche ad impedire che nel delirio e’ non precipitassersi giù dal letto, o corressero ai fiumi per estinguervi lor sete ardentissima. Tale in [p. 240 modifica]fine moriva il giorno stesso della comparsa di quel carbone, e tale durava lungamente nelle sue pene.

II. Tre mesi2 bastò il male in Bizanzio, e non molte per verità erano da principio le vittime sue, ma di poi crebbero per ciaschedun giorno sino a cinque e ben di frequente a dieci mila, nel quale numero aveanvi molti ricchi spenti meglio dalla mancanza di chi ministrasse loro gli opportuni rimedj, non sopravvivendone più alcuno, che non dalla gagliardia del male, e degli estinti gran copia rimaneva insepolta.

III. In allora il piissimo Giustiniano fidò la cura della comune salvezza a Teodoro suo referendario (così chiamando i Latini colui che riferisce le suppliche all’imperatore e l’evento loro ai preganti), e questi con pubblico danaro sovvenne ai bisogni del volgo. Nella desolata città poi non vedevi più artefici al lavoro, non fondachi aperti, non traffico, e molti de’ suoi abitatori, spaventati dal flagello, ritrassersi dall’antico mal fare, e con nuovi costumi rivolsero lor mente a Dio e alla religione; ma de’ cambiati in meglio non pochi, cessata la burrasca, tornarono con dispregio del Nume agli abbandonati vizj.

Note

  1. «Tra la Tannitica e Pelusiaca foce vedi laghi e vastissime paludi senza intervallo, e quaentro molte borgate. Lo stesso Pelusio è attorniato da laghi, nomati eziandio baratri, e da paludi. La città sporge in fuori nel mare più di venti stadii; di venti stadii parimente è la circonferenza delle sue mura, ed ebbe il nome dal loto, pelos (πελός) dai Greci è detto» (Str., lib. xvii). Ora è chiamata Belbais.
  2. Quattro mesi ha il testo del Cousin, avvegnachè nell’ultimo di essi la forza del male avesse grandemente ceduto.