Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XII

Capo XII

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CAPO XII.

Cosroe, domandato ai Calcidesi danaro, valica l’Eufrate. — Re Augaro, di Edessa, intrinsichissimo di Augusto ottiene con maraviglioso artifizio la permissione di tornare nel regno. — Scrive al figliuolo di Dio implorando salute. — Il quale ne accoglie i voti, ed assicuralo inoltre che Edessa trionferebbe ognora degli assalimenti nemici. — Giudizio di Procopio sulla verità di queste lettere. — Persiano istigato da tale grido assedia lor città, quindi si parte.

I. Cosroe pervenuto a Calcide, ottantaquattro stadj lontana da Berea, e dimenticatosi nuovamente di tutti gli accordi, mandovvi entro Paolo con intimazione ai cittadini, che ove non fossegli spedito danaro, e consegnato il governatore coll’intiero presidio cingerebbe lor mura d’assedio; i Calcidesi a tale annunzio, temendo inimicarsi l’uno dei due monarchi, risposero non avervi truppe nella città, occultando quelle in realtà ivi stanziate, ed inviarongli dugento aurei con sudore grandissimo raccolti. Di là il Persiano fermo nel proposito di non ricalcare le sue orme, valicato l’Eufrate, diede il guasto alla Mesopotamia: quindi [p. 193 modifica]costruì un ponte vicino al cosiddetto Obbane, luogo solo quaranta stadj lontano dal forte Barbalisso1, e sopra valicatovi il fiume ordinò a tutto l’esercito di fare il simile nello spazio di tre giorni, dopo i quali si romperebbe; ed in conformità al comando nel terzo dì sebbene rimanesse indietro molta truppa, riuscita nel tratto successivo a raggiugnere comunque il duce, fu distrutto. Una brama di gloria intanto destògli il pensiero di conquistare Edessa, e la credenza somma tra’ cristiani ch’ella fosse inespugnabile vie più accendevalo ad eseguire ostinatamente il divisato progetto, e qui riporterò d’onde a lei derivasse la supposta prerogativa.

II. Eravi altre volte in Edessa un toparca (nome dato ai regoli di ciaschedun paese) chiamato Augaro2 e d’intelletto e prudenza superiore ad ogni altro del secolo, il quale itosene a Roma per istrignervi lega seppe coll’assennatezza de’ suoi ragionamenti conciliarsi per guisa la stima e l’affetto dell’imperatore da non poterlo più indurre ad accordargli la permissione di restituirsi nel regno. Chiesto adunque replicatamente ma sempre indarno commiato, ebbelo in fine mercè del seguente artifizio: Essendo valentissimo cacciatore andò tal giorno per volere di Augusto a far pruova di sua bravura, e trascorsi que’ dintorni rivenne carico di molta preda e con essa delle varie terre su cui avevala [p. 194 modifica]accalappiata. Presentatosi quindi colla cacciagione all’imperatore, seduto com’era suo costume nel circo, mostrògliela indicando eziandio i luoghi ov’ella dimorava. Collocate di poi là entro le diverse terre raccolte, e posti in libertà gli animali, ognuno di essi all’istante corse a quella d’onde erasi tratto; il che mentre Augusto attentamente osservava, e facevasi le maraviglie come la natura senza precetto alcuno scolpito avesse nei loro cuori sì grande inclinazione pel suolo natale, Augaro gittòglisi ai piedi esclamando: «Or tu, o imperatore, giudica, se pure il vuoi, quali esser debbano i sentimenti d’un tuo servo, che abbandonò colla patria terra e moglie, e prole, ed un piccolo regno». Laonde Augusto convinto dalla evidente verità gli accordò con molto suo dispiacere la grazia di ripatriare, e promisegli che non andrebbe senza effetto ogni sua inchiesta; e quegli pregollo di far costruire in Edessa un circo. I suoi, tornato, domandarongli che mai avesse ottenuto da Roma a pro loro? e fu la risposta: una tristezza senza perdita, ed una gioia senza profitto, dando per tal guisa la più esatta definizione dell’implorato favore.

III. Augaro nella sua vecchiezza addivenne gottoso all’ultimo segno, addoloratissimo in causa del male, ed inetto al moto; nè rimanevagli, consultati indarno i più famosi medici, altro sollievo che il ripetere di continuo i suoi lamenti. In quel tempo Gesù figliuolo di Dio, preso mortal corpo, visibilmente conversava nella Palestina cogli uomini, e che si fosse vera prole divina rendevalo manifesto colla sua vita santissima e co’ più [p. 195 modifica]inauditi miracoli, facendo sorgere in virtù della sua onnipotente parola i morti dalle tombe, ridonando la vista ai ciechi, mondando lebbrosi, raddrizzando zoppi, ed operando maraviglie superiori ad ogni potere della medicina e della natura. Il re informato di tutti questi prodigj dai viandanti di quella regione, e speranzoso di averne la salute, mandògli una lettera supplicandolo che, abbandonati gli sconoscenti giudei, passasse a vivere nel suo regno.

IV. Gesù risposegli di non poterlo visitare, ma che il sanerebbe; di più, come narra una popolare tradizione, renderebbe la città inespugnabile dai barbari. Gli istorici di que’ luoghi ignorarono la seconda parte della promessa, ma gli abitatori contendono pertinacemente che vi si leggesse nella scritta, le cui parole furono quindi a perpetua rimembranza scolpite nel fregio delle porte di Edessa; questa nondimeno obbedì col volger degli anni al Medo, il quale, senza aver ricorso alle armi per farne la conquista, riuscì a dominarla in grazia di tal circostanza che merita di essere brevemente qui riferita. Augaro al ricevere i caratteri del Salvatore fu libero da ogni male, e solo dopo una lunga serie d’anni, partendoci dalla miracolosa guarigione, pagò il suo tributo, morendo, alla natura. In allora il primogenito de’ figli, nefandissimo in tra tutti i mortali, asceso il trono manomise colle più orribili violenze i proprj sudditi, e poscia timoroso della romana vendetta implorò il giogo persiano; trascorso nondimeno assai tempo gli abitatori, discacciatone il presidio, rifuggirono di lor volontà al trono romano. [p. 196 modifica]

V. Io poi son di parere che Gesù non iscrivesse la prefata lettera, ma che gli Edesseni, posta la città loro sotto il patrocinio di lui, tenesserla ognora esente dai travagli d’un conquistatore nemico; ma poco monta checchè ne sia, o come altri la pensi.

VI. Cosroe dunque in grazia della mentovata tradizione fu d’avviso che v’andrebbe della sua gloria se non imprendesse a debellare quella città; ed a tal uopo giunto ad un borgo distante da lei un sol giorno di cammino e nomato Batne3, fece alto a fine di pernottarvi; la dimane partitone coll’esercito e marciato avendo, non pratico dei sentieri, tutto il dì, videsi colle tenebre nel luogo medesimo d’onde pigliato avea le mosse nella mattina, ed il simile accaddegli secondo alcuni per ben due volte. Corre parimente grandissima fama che pervenuto da ultimo avanti alla città fosse costretto da malattia a desistere dal premeditato assedio, ed a contentarsi d’inviarvi Paolo per averne danaro. I cittadini allora, sebbene ostentassero impotente ogni umano sforzo contro quelle mura, inviarongli dugento aurei per sottrarre dal furore persiano le adiacenti loro campagne.

Note

  1. Ora Beles.
  2. O Abgaro. Questo nome si pretende essere stato proprio a tutti i re Osroeni di Edessa.
  3. Forse il nomato castello Batuense negli Edifizj (lib. ii)