Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo VII

Capo VII

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CAPO VII.

Cavado chiesto in vano danaro all’imperatore Anastasio prende a farne vendetta col guerreggiare i Romani. — Assedio della città d’Amida. — Sua espugnazione tra la notte posteriore ad un giorno festivo coll’assalto d’una torre mal guardata da monaci. — Orribile strage degli assediati, cessata colla saggia rimostranza d’un prete al vincitore.

I. Del rimanente andando egli debitore al re eutalitico di danaro nè potendolo compensare divisò averne prestanza dall’imperatore Anastasio, il quale, richiestone, comunicò la domanda a’ suoi consiglieri, e questi risposero non convenirsi ch’e’ desse col proprio erario il mezzo ai nemici di rafforzare l’amicizia loro, sendo invece mestieri di gittar la discordia tra essi: tanto bastò perchè fossero guerreggiati i Romani. Venuto adunque Cavado improvvisamente sopra le armene terre e disertatele a tutto potere, entrò quindi nella Mesopotamia procedendo fino alla città d’Amida1, che cinse d’assedio [p. 26 modifica]nel colmo del verno. E gli abitatori di lei, avvegnachè sorpresi in una profondissima pace e sprovveduti di truppa e di vittuaglia, risolverono tentare nondimeno la sorte delle armi, preparandosi contra la universale espettazione ad una ostinata difesa. Aveavi poi tra la gente siriaca un Giacomo di rara virtù, il quale tutto dedito alle sante cose, per vie meglio formarne l’unico oggetto di sua occupazione, erasi da lunga pezza appartato in un borghicciuolo su quel degli Endileni, ed una lega appena lontano dalla città d’Amida. Ove i costei cittadini, desiderosi che non fosse disturbato del suo commendevole divisamento, aveangli eretto all’intorno dell’eremo una maniera di palancato, i cui stecconi messi tra loro a qualche distanza lasciavan sufficiente spazio da non impedirne la vista e la favella a chi bramasse colà visitarlo, ed avevanne parimente coperto di tetto l’abitazione affinchè si stesse riparato dalle piogge, dalle nevi, e da ogni altra intemperie: [p. 27 modifica]quivi egli con maravigliosa pazienza sopportava i disagi del caldo e del freddo, cibandosi di pochi legumi, e passando talora novero di giorni in perfetto digiuno. Sendo così la bisogna parecchi Eutaliti nel battere la campagna vedutolo, diedersi a trargli d’arco, ma lor mani al tenderne la corda rimaservi come attaccate, e prive affatto di moto. Sparsosi nell’esercito il grido di tanto miracolo e giunto sino all’orecchio del re, questi volle esserne spettatore, e quasi di sè per maraviglia uscito pregò Giacomo che perdonasse ai barbari, e l’uom santo con una sola parola tornolli al possesso delle mani loro. In premio di che il monarca fecegli promessa di consentirne ogni domanda, e nella vana supposizione di udirsi a chiedere non più che danaro, iva follemente ripetendo che obbligavagli sua fede nel compiere la inchiesta. Quegli per lo contrario non implorò che la salvezza di quanti camperebbero al suo eremo, e n’ebbe la conferma per via di regale patente; laonde molti de’ cittadini, divulgatasi entro le mura di Amida la grazia, ne approfittarono serbando così la persona e gli averi. Tali cose proponevami narrare di Giacomo.

II. Cavado intanto proseguiva l’assedio travagliando in più luoghi le mura d’Amida cogli arieti, il cui urto reprimevano gli assediati interponendovi fortissime travi; nè cessò dal batterle che al mirar vano ogni suo sforzo, rimanendo esse dopo replicati attacchi quali appresentavansi dapprincipio; tanta era la solidità loro. Dimessa perciò l’inutil opera altra ne sostituì, inalzando un cavaliere che dominasse le torri. Gli Amideni [p. 28 modifica]allora presero anch’egli a scavare disotto al nuovo artifizio traendone, senza dare il menomo indizio al di fuori, grande quantità di terra; cosicchè il nemico libero da ogni sospetto ascendeva il cavaliere, e da quivi pertinacemente molestava la città. Se non che al ragunarvisi tal altro giorno truppe in copia maggiore del consueto, esso in un subito profondò, avvolgendo nelle rovine quasi l’intiero novero de’ sostenuti guerrieri. Il Persiano sbigottitosi pel tristo accidente deliberò sciogliere l’assedio, facendo bandire a’ suoi la partenza col dì venturo. In quella però gli Amideni vedendo svanito ogni loro pericolo diedersi ad oltraggiare il nemico, e sin di alcune meretrici giunse a tale l’orgoglio che, alzate lor gonne, mostrarono al re quanto vuole onestà si tenga celato; alla qual cosa i maghi fecero istanza a Cavado di contraddire l’andata, essendo per essi l’avvenuto un segno certo che gli assediati appaleserebbero dell’egual modo tra brev’ora quanto aveano di più recondito là entro.

III. Dopo qualche giorno di fatto un Persiano osservato non lunge da altra delle torri l’ingresso d’un ipponomo, che noi diremmo capanna di pastori da cavalli, superficialmente chiuso al di fuori, venuta la notte da solo tornatovi affrancollo, e giunse per esso al di là delle mura; quindi ai primi albori corse ad informarne Cavado, il quale con le tenebre della prossima notte fecevi trasportare copia di scale, e dietro a queste marciava egli stesso con piccola mano de’ suoi. Qui la fortuna dichiarossi tutta in prodigioso modo a favor dei Persiani, imperocchè la torre contigua all’ipponomo era in quel [p. 29 modifica]tempo guardata da monaci, uomini che tra’ cristiani professano austerissima vita. Or questi, vuoi per istanchezza derivata loro dalle fatiche della precedente anniversaria festività, vuoi per indulgenza maggiore in grazia de’ solenni riti del cibo e nel beveraggio, lasciaronsi di tal fatta vincere dal sonno che per nulla s’accorsero delle tramate insidie. Ebbero così gli avversarj mezzo, penetrati l’un dopo l’altro nelle mura, di ascendere la torre, e di trucidarvi tutte le guardie profondamente addormentate. Il re allora fe cenno di por mano alle scale, ma, illuminatosi l’orizzonte, i difensori della torre vicina mirato il pericolo accorsero a contrastargli la vittoria con ostinatissimo combattimento. Gli Amideni più forti di numero avean già trafitto molti nemici, e pur molti avevanne rovesciati all’imo della torre, quando Cavado sguainato l’acinace intimò la scalata alle truppe, e di uccidere chiunque tentasse evitare il cimento; di questa guisa egli addivenne armata mano padrone della città dopo ottanta giorni di assedio.

IV. L’ingresso del vincitore fu segnalato da orribile massacro di cittadini; al giugnere però del condottiero tal sacerdote, venerabilissimo per l’età sua, ripetevagli animosamente disconvenire ad un re l’esterminio dei vinti. E quegli nel bollor di sua collera: perchè dunque, rispose, v’opponeste cotanto alle mie armi? Fu volere divino, replicava l’altro, che tu occupassi la città colla forza del tuo braccio, e non col nostro volontario arrendimento. Il Persiano tranquillatosi alle costui parole proibì di versare nuovo sangue, accordando bensì alle truppe un generale saccheggio ed i prigionieri, [p. 30 modifica]meno alcuni de’ più appariscenti individui che dichiarò suoi. Posto quindi in Amida un presidio di mille uomini sotto gli ordini del persiano Glone, e lasciativi alcuni pochi abitatori indigentissimi per condurre ai soldati la necessaria vittuaglia, fe retrocedere l’esercito con tutti i prigionieri; a’ quali nondimeno trascorso qualche tempo con tratto di regale clemenza permise il ritorno alla patria loro. L’imperatore Anastasio trattò anch’egli in appresso con molta liberalità gli Amideni, sollevandoli pel corso di sette anni da ogni antico tributo, e ricolmando sì gl’individui come l’intiera popolazione di sue beneficenze; mercè di che potè questa obbliare, ma non così presto, tutte le sofferte sciagure2.

Note

  1. Non prima del 400 leggiamo nelle istorie un tal nome, il quale vi comparisce eziandio coll’aggiunta di metropoli d’una speciale provincia. Questa città fu di poi munita e ridotta un forte rispettabile dell’imperio da Costanzo, il quale diedele parimente il suo nome, ch’ella pochissimo ritenne. In progresso di tempo chiamossi ognora Amida, se son che vi si aggiunse la voce Kara (Kara-Amid) in grazia delle sue mura composte di pietre nere; impertanto essendo fondata nel Diarbeck spessissimo è detta Diarbeckir. Avvegnachè poi avanti il quarto secolo nulla si possa con certezza stabilire di lei, giova tuttavia rammentare che Strabone e Plinio parlano d’una città reale, posta dall’uno nella Sofene e dall’altro sul Tigri, nomata da entrambi Carcathiocerta; laonde parrebbe non al tutto priva di fondamento la congettura che in antico fossele data questa denominazione, osservando che una tal desinenza significa luogo munito, e che per essere comune ad altre città di frontiera indica l’esatta posizione d’Amida. Ora essa, già baluardo del greco imperio, e residenza, sotto quello turco, d’un Beglerbeg.
  2. Anastasio di poi riconquistò Amida, ed ebbe con ciò mezzo di alleviare i mali di quella infelice popolazione (V. il cap. 9 di questo libro).