Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XIV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XIV.
Digressione sopra Chilbudio impostore. — Costumi degli Sclabeni e degli Ante. — Narsete scuopre l’inganno.
I. Nella corte di Giustiniano Augusto aveavi un Chilbudio, guerriero valorosissimo e cotanto dispregiatore delle ricchezze che nella sua cosa famigliare annoverava possedimento sommo il non posseder nulla. Questi da Giustiniano, correndo l’anno quarto del suo imperio, fu eletto a prefetto militare della Tracia, e preposto alla custodia del fiume Istro coll’ordine di attendere soprattutto che nel tempo successivo i barbari non si dessero al valicare del fiume, da prima solendo gli Unni, gli Ante e gli Sclabeni, trapassate quelle acque, arrecare i più insanabili mali ai Romani. Ed in allora concepito aveano sì forte spavento di Chilbudio che durante il triennio della sua presidenza nessuno cimentossi, attraversato l’Istro, di apportar loro danno; questi per lo contrario sotto gli ordini di lui spesse fiate messo piede sulle barbariche terre fecero grande strage di quanti avean dimora presso del confine, e molti pure ne condussero prigionieri seco. Dopo tre anni Chilbudio proceduto giusta la consuetudine di là dall’Istro con piccol novero delle sue schiere, gli Sclabeni con forte esercito di tutta la nazione mossero ad incontrarlo. Venuti ad ostinata battaglia molti imperiali giuntaronvi la vita, e per colmo di sciagura ebbevi morte Chilbudio stesso; il perchè da quell’epoca in poi essendo ai barbari addivenuto libero il traghettar del fiume le imperiali terre di continuo soggiacevano alle nemiche scorribande, pruova manifestissima che non aveavi in tutta la romana signoria come supplire, per sottrarsi da tanta calamità, il valore d’un solo duce.
II. Intromessasi quindi la discordia intra gli Ante e Sclabeni si passò ai fatti ed alle armi andandone colla peggio i primi; ora fervente la pugna tale degli Sclabeni fe’ prigioniero altro de’ nemici giunto alla pubertà (Chilbudio erane il nome) e sel condusse nella propria casa. In processo di tempo il giovinetto diè prove di grandissima benivolenza al padron suo e di raro valore nella guerra, tal che incontrati molti pericoli a pro di lui e superatili con prodezza somma ebbene alta rinomea. Non molto di poi gli Ante scorrendo la Tracia spogliarono quantità di Romani quivi a dimora e li menarono in servaggio alla patria loro; se non che altri di questi, volpe sopraffina, ed ammaestrato in tutti gli artifizj idonei a gabbare chiunque gli si appresentasse, capitato per sua buona ventura sotto di liberale e mite padrone al vedersi chiusa affatto ogni via di tornare giusta il suo desiderio in quel de’ Romani, macchinò la seguente frode. S’appresenta al padrone, e commendatane la umanità protestagli ch’e’ ne avrebbe dal Nume larga ricompensa; di più, che giammai il suo animo sarebbesi indotto a divenire ingrato verso un cotanto amorevole benefattore, tra breve per lo contrario avrebbegli fornito mezzo di acquistare grandi ricchezze se pur non trovasse in lui opposizione alle vantaggiosissime proposte che sarebbe per suggerirgli: e qui narravagli come il comandante della imperiale truppa Chilbudio giacesse prigioniero in mano degli Sclabeni, uom di questi non sapevole del conto sommo in cui dovea tenersi: s’egli per tanto, riscattatolo, ne facesse restituzione ai Romani avrebbene a non dubitarne dall’imperatore lode e ricchezze immense; e con tali ed altrettali parole possedutone l’animo lo guida seco in mezzo degli Sclabeni, essendosi già questi confederati cogli Ante, e fuor d’ogni timore conversandovi insieme. Quivi sborsati molti denari al possessore ottengono il servo, e con lui di subito fannosi indietro. Tornati a casa il compratore lo interroga se in effetto egli sia il vero Chilbudio comandante della romana truppa? e questi pronto a confessare la verità espone ordinatamente e di buona fede ogni cosa: originare, diceva, e’ pure dalla nazione degli Ante, ed in un certame tra le due genti allora in discordia essere caduto in poter de’ nemici, tuttavia ripatriato una volta, com’era il suo caso, teneasi da quell’epoca in poi compiutamente libero giusta le patrie sue leggi. Udito ch’ebbe siffatto racconto il pagatore dell’oro cominciò forte a maravigliare ed a lamentarsi vedendosi fallita la bella speranza. Il Romano pertanto volendolo consolare e indurre alla credenza di cose ben lontane dal vero, colla mira di togliere ogni ostacolo al suo ripatriare, vie meglio affermava costui essere Chilbudio, e la sola dotta dei barbari all’intorno rattenerlo dall’esporre candidamente il giusto; che se alla fin fine venissegli fatto di metter piede su quel dei Romani tosto appaleserebbe il segreto, e domin che per soprappiù glorierebbesi di quel nome; nè l’universale de’ barbari ebbe da principio sentore veruno di simiglianti mene.
Addivenutine quindi consapevoli quasi tutti gli Ante raccoltisi insieme dichiararono di comune spettanza il caso del prigioniero, persuasi di trarre grande utilità dal possedere Chilbudio maestro delle romane truppe. E qui vuol dirsi che questi popoli, Sclabeni ed Ante, non obbediscono ad un solo capo, ma sino ab antico godono d’un popolare governo, per cui del bene e del male sogliono essere tra loro consorti; così pure il massimo novero di tutte le altre cose presso le due genti camminano dello stesso piede come furono da lunga pezza stabilite. Adorano tuttora un solo Iddio fabbricatore del fulmine, e riconoscendolo assoluto padrone dell’universo offrongli buoi ed ogni altra maniera di vittime. Non sapevoli onninamente del fato vivonsi ben lontani dall’altribuirgli un che di possanza sopra le mortali bisogne; colpiti da morbo o astretti ad impugnare le armi al sovrastar loro la morte fanno voto al Nume di sacrificargli tosto campati dal pericolo, ed esauditi pronti adempiono la promessa, credendo avere per lei riscattato la propria vita. Venerano di più e fiumi e ninfe ed altri Iddii ai quali tutti immolano ostie e nell’ucciderle dannosi a pronosticare. Abitano povere capanne, molto discoste le une dalle altre, e spesso cambiano di stanza. Nella guerra il più sono fanti con piccoli scudi e dardi nelle mani, non vestono lorica, e molti van privi di camicia e mantello, di soli cosciali sino al pube coperti presentandosi in campo. Eguale ed assai barbara è la favella di entrambi, nè trovi differenza nei corpi loro, essendo tutti alti e robusti della persona; hanno pelle non bianchissima, nè biondissima la chioma, sebbene questa non vada affatto nel nero, ma nell’universale propenda al rossigno. A simile de’ Massageti menano rozza e meschina vita coperti sempre per ogni dove, siccome quelli, d’immondezza e sudiciume. Sono d’indole non maligna nè frodolente, e vi trovi semplicità e costumanze unniche in molte cose. Lo stesso nome da prima era comune agli Sclabeni ed agli Ante, detti ambidue sporos dagli antichi, perchè, a mio avviso, σποράδην ovvero sia qua e là spartatamente e rade costruivan nella propria regione lor capanne, occupando vastissimo terreno, di maniera che possedevano la massima parte della piaggia di là dell’Istro; tanto e non più di tal gente.
III. Allora gli Ante, per tornare a bomba, costrinsero di comun voto il prigioniero ad infingersi quel desso spento Chilbudio maestro delle romane truppe, minacciandolo per fin di supplizio quando vi si rifiutasse. Intanto poi che gli animi erano a tali mene intenti Giustiniano Augusto per ambasceria esortali a passare tutti nell’antica città di Torre situata oltre l’Istro, construtta già tempo dall’imperator de’ Romani Traiano, e da gran pezza deserta, colpa dei frequenti guai sofferti dai vicini barbari. E prometteva l’imperatore di farne loro cessione con tutte le adiacenti campagne di antico romano diritto, di coltivarne studiosamente l’amicizia, e di guiderdonarli con abbondantissimo denaro s’e’ volessero strigner lega seco, ed opporsi agli Unni che mai sempre macchinavano scorribande contro le sue terre. I barbari udite le proposte vi aderirono promettendo ogni cosa, purchè non venissero privi di quel prigioniero innalzatolo nuovamente alla dignità di maestro della romana milizia, protestandosi con asseveranza possessori in lui del vero Chilbudio. Ora questi pieno d’orgoglio per sua buona ventura volea già essere considerato dalle genti siccome il Chilbudio maestro delle romane truppe, e tale millantavasi in ogni suo dire. Mentrechè adunque era in cammino alla volta di Bizanzio per le narrate faccende s’avvenne lungo la via a Narsete, e passati a colloquio tra loro fu scoperto impostore (quantunque sapesse egli di latino, e con sagacità mentisse, fattone da prima studio, molti degli indizj spettanti al morto dell’egual nome), laonde posto in carcere gli fu mestieri appalesare da imo a sommo la trama, dopo la qual confessione il duce menollo a Bizanzio seco; e qui rannodo il filo del mio interrotto argomento.