Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo II

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CAPO II.

Belisario fa sicura la via ad Eutalio in cammino da Bizanzio cogli stipendii. Manda truppe contro i Gotti. — I Romani vincitori alla porta Pinciana, e vinti nel campo di Nerone. — Ferita d’Arzo mirabilmente sanata. Morte di Cutila e Buca. Lutto dei barbari.

I. Sul fare dell’estivo solstizio un Eutalio partito da Bizanzio apportatore dei militarj stipendii pervenne a Tarracina. Quivi pigliato da timore non avvenutosi tra via ai barbari fossegli tolta col danaro la vita scrive a Belisario di guardarlo dai pericoli nell’andata a Roma; e il duce scelti fra’ suoi dallo scudo cento guerrieri di ben chiaro valore mandali con due lance della propria guardia alla volta di lui per iscortare la condotta; in questo mezzo poi adopera sì che i Gotti vivano nella certezza d’un imminente assalto con tutto l’esercito, volendo farli guardinghi a non uscire de’ campi loro in drappelli per foraggiare, o per imprendere altra cosa comunque. Udito oltr’a ciò nel dì seguente a brevissima distanza Eutalio, schierò con finto proposito le truppe volendo costringere vie meglio il nemico a starsene all’erta, e saputo che l’atteso convoglio giugnerebbe non prima del tramonto, della mattina impose a tutti i suoi di rimanere armati alle porte, e sul meriggio ordinò che desinassero; il Gotto eseguì altrettanto persuaso che fosse differita al seguente giorno la pugna. Ma poco stante egli invia Martino e Valeriano con le genti loro al Campo di Nerone, avvertiti di nulla [p. 148 modifica]ommettere all’uopo di scompigliare con un badaluccar continuo gli avversarii. Di pari tempo altri secento usciti della porta Pinciana per suo comando e posti sotto gli ordini di tre famosissimi duci delle proprie lance, Artasine, di sangue persiano, il massageta Baca, e Cutila originario della Tracia, gittaronsi contro gli steccati de’ barbari, e gran numero di questi venuto ad incontrarli si combattè lunga pezza con vicendevole fortuna, di guise che fattisi gli uni assalitori davan gli altri di volta per quindi riprendere l'offensiva e mettere in fuga i vincenti; al vederli per tanto avresti detto voler le due fazioni consumare in iscambievoli scorrerie di tal natura quel giorno. Alla fin fine ed imperiali e Gotti sentendosi gli animi ribollenti d’ira passarono ad una ostinata zuffa con grande e reciproca perdita di animosissimi guerrieri. Mandati da ambe le parti e dalla città e dal campo aiuti, all'infoltirsi con essi gli ordini de' combattenti crebbe il furor delle armi, rinvigorito ognor più dalle grida provvenienti dai merli e dagli steccati. Da ultimo tuttavia i barbari messi in rotta dal romano valore diedero volta. Cutila portando conficcato un dardo nel mezzo della testa, frutto di quel cimento, incalzò il nemico, lo disperse e si restituì verso il tramonto nella città co' superstiti suoi e col tromolante ferro nel capo, attirando sopra di sè gli universali sguardi. In quel giorno parimente altro gottico arciero colpì di freccia Arze, pavesaio del supremo duce, tra il naso e l'occhio destro, penetrandone la punta sino per entro della cervice; l'asta sporgendogli sopra il volto, al cavalcar del prode [p. 149 modifica]veniva di continuo agitata. I Romani al mirare e lui e Cutila in simigliante stato e fermi tuttavia in arcione facevansi le maraviglie di cotanto valore; ma di queste cose ho ragionato abbastanza.

II. Nel Campo di Nerone aveano i barbari migliore fortuna; imperciocchè le genti di Valeriano e Martino lottando contro uno sterminato nembo di nemici, tenevan bensì forte all’impeto loro, ma con gravissima perdita, che aveali ridotti agli estremi. Buca allora ebbe ordine da Belisario di condurre i suoi, tornati dalla battaglia sani della persona e co’ destrieri in piena salute, al Campo di Nerone. Era ormai sul far delle tenebre quando gl’imperiali rassicurati dall’aiuto di Buca alla impensata fugarono il nemico. Se non che il duce allontanatosi di soverchio nel perseguitarlo, fu posto in mezzo da dodici barbari astati, e tutto punzecchiato dalle costoro lance. Trovandosi nondimeno armato di lorica riportonne lievi offese, dai colpi infuori di due Gotti, uno de’ quali percossegli da tergo la nuda parte del corpo sopra l’ascella destra, vicino all’omero, imprimendovi non mortale, nè pericolosa ferita; il secondo conficcatogli, da fronte, il ferro del femore sinistro, con obliquo colpo squarciògli il sottoposto muscolo; ma Valeriano o Martino non prima ebbero veduto il caso di lui che furono là per soccorrerlo, e messo in rotta il nemico, menando entrambi per la briglia il destriero di Buca, tornarono entro le mura. Annottato, ecco venire Eutalio col danaro.

III. Restituitesi le truppe nella città, fu generale occupazione l’attendere ai feriti. Al qual uopo i medici [p. 150 modifica]bramosi d’estrarre la freccia dal volto d’Arze stettersi alcuni poco sopra sè non tanto a cagione dell’occhio, nessuno più sperando serbarlo, quanto per tema non offendessero le membrane ed i nervi, molti in quella parte, e dessero con ciò morte al fortissimo tra’ domestici di Belisario. Ma poscia tale di essi, per nome Teotisto, premendogli la cervice domandollo se ne avesse grave dolore; che sì rispostogli, ebbene adunque, soggiunse, tu n’andrai salvo e della vita e dell’occhio; e’ fondava il suo dire, argomentando che la punta della freccia non fosse di troppo lontana dalla cute. Laonde troncatane la parte sporgente infuori, e con un taglio divisi i nervi ben di leggieri ne cavò il triangolare ferro con tutto il di più a questo unito. Così Arze non ebbene danno, nè rimasegli tampoco deforme cicatrice sul volto. Cutila per lo contrario dopo trattogli di molta forza il dardo (penetrato a grande profondità) cadde in deliquio, e al sopraggiugnere dell’infiammazione alle membrane del cervello addivenuto farnetico da lì a poco sen muore. In quanto a Buca il moltissimo sangue sgorgatogli dal femore dovea, giusta i medici, tra non molto privarlo della vita, adducendone egli in pruova che il muscolo riportato avea obbliqua e non orizzontale incisione; passato in effetto il terzo giorno avrerossi la fatale sentenza. I Romani pertanto con grave mestizia trascorsero quella notte; e dai nemici accampamenti giugnendo sino alle orecchie loro i molti gemiti ed il dirotto lagrimar dei Gotti forte maravigliavanne, estimando che nel giorno prima e’ non fossero andati soggetti a nessuna rilevante sciagura, ed a piccol numero [p. 151 modifica]ascendesserne i morti negli ultimi combattimenti; quando in simili occasioni, anzi in altre di gran lunga peggiori, non aveanli mai veduti in preda a sì grave tristezza, ponendo ognora somma fiducia nella immensa lor copia. Odesi poi nel giorno appresso la riferta che i barbari lamentavano la trista sorte cui soggiacquero nelle trincee chiarissimi personaggi spenti da Buca nel primo battagliare. Qui non finirono le pugne, ma di altre minori parmi cosa superflua al tutto di tramandare ai posteri memoria. Basti il dire che in tale assedio si diede di piglio alle armi sessantasette volte non comprese le ultime due, serbandomi di parlarne a miglior tempo. Col verno alla perfine ebbe compimento il secondo anno di questa guerra scritta da Procopio.