bramosi d’estrarre la freccia dal volto d’Arze stettersi alcuni poco sopra sè non tanto a cagione dell’occhio, nessuno più sperando serbarlo, quanto per tema non offendessero le membrane ed i nervi, molti in quella parte, e dessero con ciò morte al fortissimo tra’ domestici di Belisario. Ma poscia tale di essi, per nome Teotisto, premendogli la cervice domandollo se ne avesse grave dolore; che sì rispostogli, ebbene adunque, soggiunse, tu n’andrai salvo e della vita e dell’occhio; e’ fondava il suo dire, argomentando che la punta della freccia non fosse di troppo lontana dalla cute. Laonde troncatane la parte sporgente infuori, e con un taglio divisi i nervi ben di leggieri ne cavò il triangolare ferro con tutto il di più a questo unito. Così Arze non ebbene danno, nè rimasegli tampoco deforme cicatrice sul volto. Cutila per lo contrario dopo trattogli di molta forza il dardo (penetrato a grande profondità) cadde in deliquio, e al sopraggiugnere dell’infiammazione alle membrane del cervello addivenuto farnetico da lì a poco sen muore. In quanto a Buca il moltissimo sangue sgorgatogli dal femore dovea, giusta i medici, tra non molto privarlo della vita, adducendone egli in pruova che il muscolo riportato avea obbliqua e non orizzontale incisione; passato in effetto il terzo giorno avrerossi la fatale sentenza. I Romani pertanto con grave mestizia trascorsero quella notte; e dai nemici accampamenti giugnendo sino alle orecchie loro i molti gemiti ed il dirotto lagrimar dei Gotti forte maravigliavanne, estimando che nel giorno prima e’ non fossero andati soggetti a nessuna rilevante sciagura, ed a piccol numero