Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXXI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXXI.
Ordinanza d’ambe le fazioni. — Singolare certame — L’ostentazione di Totila nel cavalcare.
I. Gli eserciti dopo le arringhe son posti in ordinanza di fronte con profondissimo e lungo schieramento. Narsete e Giovanni circondati, senza parlar di tutti, da folta mano di lance e pavesai, da gran copia di sceltissimi Unni e dal fiore delle romane truppe comandavano il sinistro corno presso del colle, avendovi nel destro Valeriano, Giovanni Faga e Dagisteo co’ loro militi; eranvi parimente in entrambi da otto mila fanti arcieri. Vedevi poi nel centro i Langobardi, gli Eruli e le altre barbariche truppe, scavalcatele da prima acciocchè se timidi o fors’anche traditori combattessero men valorosamente mancasse loro agevol mezzo alla fuga. Il condottiero a simile distesa ad angolo l’estremità del sinistro corno posta in fronte della ordinanza vi collocò mille e cinquecento cavalieri, un terzo de’ quali ove qualche corpo s’arretrasse dovea tosto procedere a soccorrerlo; quindi commise ai mille che principiatasi dai nemici la zuffa e’ venissero loro da tergo per combatterli doppiamente. Il re gotto schierò sue truppe dell’egual modo, e di corsa facendosi lungo tutto l’esercito animavalo, destando in esso colla voce e col sembiante valore. Non altramente adoperava Narsete, e per incorare vie meglio i suoi alla pugna iva mostrando inalzati sopra le aste braccialetti, collane ed altri simili addobbamenti. Qualche tempo indugiarono le due fazioni prima di venire alle armi, ed in attesa dell’urto nemico stavansi di piè fermo.
II. Un gotto soldiero in questa nomato Cocas, famosissimo di prodezza ed in epoca anteriore alla presente guerra dagli stipendi romani disertato a Totila, separatosi in arcione dall’ordinanza s’avvicina all’esercito imperiale addimandando se avessevi alcuno pronto a seco battagliare a corpo a corpo, e consentì alla disfida una lancia di Narsete, Anzala di nome, originario dell’Armenia ed anch’egli in sella. Primo Cocas spronatogli contro lo assalì mirando a trapassargli d’asta il ventre. Anzala curvatosi tosto sul cavallo evita il colpo e rende vano l’attacco; di più, con arte obbliquamente sovrastando al nemico, spingegli l’asta entro il sinistro lato e fallo, balzato giù d’arcione, cadere spento al suolo. A tale avvenimento dal romano esercito mandansi grida a cielo, ma nè gli uni nè gli altri osano tuttavia cominciare la pugna. Totila poscia di per sè precede in mezzo ai due eserciti coll’animo anzi d’indugiare l’aringo che di provocare a nuovo singolare certame. Conciossiachè udito avendo prossimo l’arrivo dei due mila Gotti da lui premurosamente attesi, adoperò alla scoperta di cotal modo per tenere a bada il nemico sino alla costoro venuta; volle di più mostrare chi e da quanto egli si fosse; al qual uopo vestiva tessuti ricchissimi d’oro, avea pendenti dal suo cimiero e dalla sua asta bende così sfolgoranti di brillantissima porpora che affarsi potevano a solo monarca. Di tal foggia parato leggiadramente armeggiava, su di nobilissimo destriero, intra le due ordinanze, ora aggirandosi per ripiegare tosto dall’uno de’ lati, ora gittando sua lancia in alto per quindi agguantarla, venendo a basso, nel mezzo, ora passandola destrissimamente da mano a mano, ed era tutto glorioso di sua valentia in cosiffatto esercizio; arrovesciavasi eziandio, e con molteplici variate curvature il miravi quando penzolone a destra quando a manca per ostentare come diligentemente ne’ suoi primi anni apparato avesse l’arte del ballo; consumata in simiglievol giuoco tutta la mattina, fermo nel suo proposito di ritardare la battaglia mandò chiedendo al romano condottiero un abboccamento. Narsete vi si ricusò adducendo lui essere sullo scherzare e voler dargliene ad intendere, chè quando era il tempo di parlare mostrossi tutto sul combattere; laonde ora nel mezzo dell’arena lo provocherebbe egli stesso alla tenzone.