Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXVI

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CAPO XXVI.

Sciolto l’assedio di Crotone all’apportare de’ romani vascelli Ragnari e Morra, comandanti de’ Gotti, pensano arrendersi. — Guerresco apparato e truppe di Narsete cui negasi dai Franchi il passo pel veneto suolo. Consiglio di Totila. Narsete prende la via di Ravenna.

I. L’imperatore udite le bisogne di Crotone manda ordine a’ suoi militi in Grecia presso le Termopili di navigare senza indugio alla volta d’Italia per soccorrere con ogni lor mezzo le assediate mura; queglino pronti al comando mettonsi in mare, ed a piene vele, mercè di propizio vento, entrano alla non pensata nel porto della pericolante città. I barbari a tale comparsa sopraffatti da grave timore sciolsero a furia l’assedio, e chi sopra navi riparò in Taranto, chi si ritrasse pedone sul monte Scilleo. Afforzatasi di questo modo la costernazione de’ Gotti, Ragnari, chiarissimo lor personaggio cui obbediva il presidio tarentino, e Morra [p. 543 modifica]comandante di quello acherontico, venuti a colloquio, giusta la volontà delle truppe, con Pacurio figlio di Peranio, duce in Idrunte della romana guernigione promisero l’arrendimento di sè stessi, delle genti loro e de’ luoghi difesi, quando Giustiniano consentisse mandarli salvi delle persone; laonde Pacurio tosto spedì in Bizanzio per combinare di questo modo gli accordi.

II. Narsete partitosi da Salona conduceva un poderosissimo esercito contro Totila ed i Gotti, speditogli da Giustiniano danaro in copia onde soldare floridissime truppe, mettere il tutto in punto, e pagare all’oste dimorante in Italia gli arretrati stipendj protratti assai tempo dall’erario venuto nella impossibilità di soddisfarli giusta l’usanza. Ponevasi di più con esso nell’ottima condizione di cattivarsi gli animi dei fuggitivi, agevoli a ricondursi, abbagliati dallo splendore dell’oro, sotto le abbandonate insegne. Nè giova il negarlo che per l’addietro Giustiniano avesse trascurato di soverchio questa guerra, ma vi provvide ottimamente allorquando Narsete vedendosi da lui forte sollecitato a darvi principio ebbe il coraggio, degno al vero d’un gran capitano, di rispondergli che ne compierebbe i voti quando ricevesse i mezzi di uscirne con onore. Ottenuto per tanto danaro, uomini ed armi avea raccolto con somma diligenza e premura un esercito idoneo all’opera, annoverando in esso ben molti romani guerrieri pervenuti da Bizanzio e dalla Tracia, e pur molti fornitigli dall’Illirico; eravi di più Giovanni alla testa delle sue truppe e di quelle del suocero Germano. Auduino re de’ Langobardi mercè dell’oro in gran copia ricevuto [p. 544 modifica]dall’imperatore e de’ fatti accordi aveagli spedito due mila e cinquecento valorosissimi guerrieri, fiore delle sue truppe, e con essi altri, forse più di tre mila, combattenti. Venivano poi accompagnati da tre mila eruli cavalieri aventi a primo duce Filemut, da gran turba di Unni, e dalle genti di Dagisteo che riscattò con questo servigio la sua liberazione. Non pochi disertori persiani seguivano Cabade figlio di Zami e nipote del monarca avente l’egual nome, quel desso inoltre che per evitare, come scrivea ne’ precedenti libri, il mal fine decretatogli dal zio Cosroe erasi posto in salvo, sovvenuto da Caranange, presso de’ Romani. Vi miravi eziandio il gepida Aspado valentissimo giovane con quattrocento dei suoi, gente assai destra a trattare le armi, ed Aruto con turba infinita d’Eruli, celebrati a cielo per coraggio nei pericoli della guerra; il duce, erulo anch’egli, non meno glorioso in campo e dalla stessa puerizia sua amatore delle romane costumanze, avea impalmato la figlia di Maurizio di Mundo. A Giovanni soprannomato Faga ed altrove da noi ricordato obbediva una coorte d’invitti Romani. Al postutto Narsete, splendentissimo esempio di liberalità e zelo nel soccorrer alle indigenze altrui e fatto più che potente dall’imperatore, governava di suo pieno arbitrio la somma delle cose. Duci e soldieri aveano già sperimentato così bell’animo, quindi non appena eletto al comando supremo dell’esercito contro a Totila ed ai Gotti mostrossi ognuno prontissimo a seguirne i vessilli, chi per rimeritare il benefattor suo, chi sperandone segnalati vantaggi. Gli Eruli e gli [p. 545 modifica]altri barbari singolarmente eranne amantissimi vedendosi con bontà senza pari da lui trattati.

III. Giunto a breve distanza da quel dei Veneti spedì ai duci de’ Franchi postivi a guardia chiedendo come truppe amiche il passo. Negativa fu la risposta, e passando compiutamente con silenzio vuoi per interessi proprj, vuoi l’amicizia che strignevali ai Gotti adducon altro ben meschino pretesto, di militare, intendomi, con Narsete i Langobardi loro capitali nemici. Il condottiero, uditone, da principio n’andò pensoso alquanto, quindi si fece ad interrogare gli Italiani a crocchio insieme, animandoli ad appalesargli i divisamenti loro sul partito da prendere, ed alcuni di essi protestavangli che sebbene i Franchi avessero consentito alla inchiesta mai più l’esercito per quella via sarebbesi trasferito a Ravenna senza incontrare gravissimi ostacoli di là da Verona, poichè Totila scelto il buono e il meglio dall’intero esercito avealo spedito sotto la capitananza di Teia, famosissimo Gotto, a guernire quelle mura tutta via in poter suo, commettendogli insieme di opporsi ostinatamente al proceder altre delle romane truppe, nè mentivan punto. Il duce poi non appena arrivatovi chiuse al nemico ogni via, e rendè con grande artifizio inaccessibili tutti gli approcciamenti del Po con accatastati alberi, con fosse, e scommettendone il suolo, o convertendolo in profonde maremme e limacciose voragini; quindi apprestossi colle sue truppe a combattere chiunque de’ Romani osasse inoltrare per que’ luoghi. Ma egli erasi determinato a questi provvedimenti nella persuasione che mai più il nemico marcerebbe radendo il [p. 546 modifica]littorale del seno Ionico, dove le bocche di molti navigabili fiumi basterebbero ad arrestarlo, nè avrebbe tanto navilio quanto era il caso a valicare il seno; che se compartitosi per corpi vi si accingesse, di leggieri il resto dell’esercito sarebbesi opposto al pigliar terra de’ vegnenti; di tal modo stabilite le cose future nell’animo suo faceva i comandi al nominato duce. Giovanni poi, nipote di Vitaliano, molto pratico de’ luoghi, propose a Narsete ridotto nelle massime angustie di muovere coll’intero esercito lungo la via marittima non occupata per anche dai barbari, come diceva, e di ordinare che lo accompagnassero più navi e moltissimi paliscalmi, acciocchè pervenuto alle bocche del fiume e construtto cogli ultimi un ponte avessero più facile mezzo di valicarne prontamente le acque; così Giovanni, e Narsete applauditogli pigliò marina marina con tutte le sue truppe la via di Ravenna.