Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXVII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXVII.
Ildigisal Langobardo, all’Imperatore disertato, fugge da Bizanzio unitamente al gotto Goar. Quindi entrambi in compagnia de’ paesani loro combattono e vincono nella Tracia i Cuturguri, ed uccisi gl’imperiali duci mal vigilanti nell’Illirico riparano presso ai Gepidi. — Ustrigotto gepida legasi co’ Langobardi. Costui e Ildigisal per frode spenti dai re loro confederati.
I. Nel mezzo di tali faccende Ildigisal, altri de’ Langobardi già da me ricordato, fattosi nemico d’Auduino, re dei barbari e violento usurpatore del suo regno devolutogli per ereditarj diritti, abbandonata la patria si riparava in Bizanzio, ove fu accolto liberalissimamente da Giustiniano e creato duce d’una scuola, nome dato alle compagnie de’ militi curatori dell’imperiale palazzo, capitanandovi trecento e non più coraggiosissimi Langobardi per lo avanti di stanza seco nella Tracia. Auduino siccome confederato ed amico dei Romani aveane dimandato la restituzione, pretendendo in grazia dell’amicizia sua che venisse tradito un supplichevole; ma fu vana l’inchiesta. Ildigisal di poi cominciò a lamentare sua fortuna divisando non ricevere in parità dei proprj meriti onori e stipendj, di maniera che nell’animo erane gravemente offeso. Goar di schiatta gottica, e nelle guerre di Vitige contro ai Romani là condotto prigioniero dalla Dalmazia, ne conobbe le disposizioni, e siccome di tempera focosa ed inquieta soffriva pur egli a malincuore la presente sua vita. Ora sconfitto Vitige e dai Gotti, armatisi in prima contro all’imperatore, tentata una sedizione fu anch’egli convinto reo di quelle insidiose mene, e sbandeggiato insiem cogli altri nell’Egitto. Lunga pezza durato nel gastigo, Giustiniano alla fin fine compassionandone la trista sorte ebbegli permesso di tornare a Bizanzio. Restituitovisi adunque ed osservando Ildigisal in preda a gravissimo dolore, come ho detto, lo instigava di continuo e persuadeva alla fuga, promettendo farglisi compagno in essa. Approvato il consiglio ambo all’improvviso di là sottrattisi con altri pochi ed entrati in Apri città della Tracia fanno lega coi Langobardi quivi a stanza; rinvenutevi di più le imperiali scuderie ne tolgono ben molti cavalli e quindi procedon oltre. Giustiniano uditone spedì messi da tutta quella regione e nell’Illirico ordinando ai duci ed alle truppe di opporsi del lor meglio ai fuggitivi. E primi a combatterli furono pochi Unni Cuturguri, i quali abbandonata la patria, giusta il detto, si viveano d’imperiale consentimento nella Tracia; ma rimasi colla peggio nel conflitto, mortine alcuni e sbaragliati gl’altri, depongon le armi non volendo incontrare nuovi perigli, di guisa che i due fuggitivi co’ loro subordinati liberi da ogni impaccio poterono trascorrerla da ogni banda; messo quindi piede nell’Illirico vi rinvennero il romano esercito raccoltovisi con grande accuratezza per assalirli, avendone il comando, intra gli altri, Arazio, Recitango, Leoniano ed Arimuto; questo poi tenutosi tutto il dì in arcione perveniva sull’annottare in un boscoso luogo e fattovi alto ebbelo idoneo a ristorare le stanche membra sino al vegnente giorno. Ora quei due, intra le molte cose, imperarono alle schiere di prestare lor cure ai cavalli, e di andare poscia eglino stessi a rinfrescarsi nel fiume ivi da presso a ristoramento delle fatiche durate nella via. A simile i duci, ognuno di per sè e scortato da sole tre o quattro lance, si diressero ad un segregato luogo per bere, assetatissimi come è facile arguire dalle circostanze loro, di quelle acque. Goar ed Ildigisal fattine consapevoli per opera degli esploratori con pronto e repentino assalto mentre stannosi tuttavia dissetando li uccidono, ed in questo modo raggiungono sicurissimi la propostasi meta. Imperciocchè gli imperiali privi dei condottieri, oppressi dalla maggior tristezza e sconsigliati ritiraronsi, lasciando che il nemico liberamente raggiungesse i Gepidi.
II. Altri parimente di nome Ustrigotto, abbandonati di fresco i Gepidi, erasi posto in salvo presso dei Langobardi, eccone il fatto. Elemundo re de’ Gepidi, spento poco anzi da morbo, lasciato avea un sol figlio Ustrigotto, il quale per anche giovinetto fu di leggieri privato del trono da Torisino. Egli per tanto non potendosi vendicare della ingiuria si trasferì presso ai Langobardi nemici di sua gente; questa passato breve tempo rappattumossi con Giustiniano Augusto e co’ Langobardi, un’amicizia perpetua sagramentandosi religiosissimamente dalle due parti. In virtù a simile di non meno fermi accordi riconciliatisi tra loro Giustiniano Augusto ed Auduino re dei Langobardi fecero ambedue domanda a Torisino monarca dei Gepidi del comune lor nemico Ildigisal, pretendendo che la tradigione contro del supplichevole mallevasse innanzi tutto gli stipulati accordi. Torisino, venutone a colloquio cogli ottimati suoi richieseli vivamente di consiglio in proposito, e queglino tenner duro per la negativa; protestando anzi preferire lo sterminio di lor nazione colle donne e la prole che vedersi contaminati di sì nefanda colpa. Dopo tale risposta Torisino fu in grande perplessitade non osando consentire altrui a disgrado delle sue genti, nè riaccendere contra de’ Romani e Langobardi una guerra con tante e sì lunghe molestie terminata; escogitò quindi tale spediente. Mandava ambasceria ad Auduino perchè gli venisse restituito Ustrigotto figlio di Elemundo, scelleraggine dell’egual tempra, e con esso ad uno tutti i ricovrati sotto il patrocinio loro; di questo modo rendea la pariglia ai Langobardi sollecitandoli ad altra non memo turpe azione, e di colpo obbligando Auduino stesso ad un vituperosissimo baratto. Ambeduni per tanto ben sapendo i loro sudditi alienissimi dal commettere sì grande malvagità nulla impresero alla scoperta, ma diedero insidiosa morte al proprio nemico, ed ometto di esporne le guise rinvenendo i relatori di tali uccisioni intra loro discrepantissimi, come ognora è il caso quando si prende a trattare di alti arcani. Ildigisal ed Ustrigotto non altrimenti compierono la mortale carriera.