Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXV.
L’Illirico posto a sacco dagli Sclabeni. — Giustiniano si lega co’ Gepidi, quindi spedisce aiuti per guerreggiarli, ai Langobardi. Costoro vittoria. — Città rovesciata dai terremoti. Marittima inondazione. Crotone assediata dai Gotti.
I. Introdottosi nell’Illirico un disterminato numero di Sclabeni e commettendovi nefandissime azioni, Giustiniano Augusto mandò a combatterli un esercito capitanato, intra gli altri, dalla prole di Germano; questo non di meno vedendosi per iscarezza di gente ben inferiore al nemico non osò affrontarlo, ma seguendone da tergo le vestigie sfogava grandemente il suo sdegno colla uccisione degli arretrati, e fattane molta strage indirizzò a Bizanzio anche piccola mano di prigionieri. Impertanto i barbari non rifiutavano di guastare que’ luoghi con tale effusione di sangue che tutte le contrade poteansi lastricare di morti; dopo di che liberissimi procedevano alle proprie case traricchi di schiavi e del raccolto bottino. Nè dato era ai Romani di tender loro insidie al valicare del fiume, o di molestarli in altra guisa, venendo essi accolti dai Gepidi e condotti all’opposta riva in forza di pattuita mercede non minore per singulo d’un aureo statere. Giustiniano adunque dispiacentissimo della sua impotenza a salvare dalle continue loro devastazioni il suo imperio, e nel mettervi piede al trapassare dell’Istro e nell’abbandonarlo con repentina partita, era bramoso di strignere amicizia coi Gepidi.
II. In questo mezzo e Gepidi e Langobardi apprestavano gli eserciti per venire alle mani, ed i primi tutto al buio sin qui de’ giurati accordi intra Giustiniano ed i Langobardi e d’altronde paurosissimi delle romane truppe aspiravano sommamente ad averle amiche e confederate. Spedivano così un’ambasceria in Bizanzio pregando l’imperatore che si unisse in lega seco loro, nè questi tardò a consentirvi, dodici senatori, a richiesta de’ legati, fermandone con giuramento le convenzioni. Trascorso quindi breve tempo Giustiniano Augusto fece partire gli altri domandati per diritto sociale dai Langobardi coll’intendimento di valersene contro ai Gepidi, che violatori de’ patti condotto aveano di qua dall’Istro una caterva di Sclabeni a guastare il suolo romano. Queste truppe capitavavansi da Giustino e Giustiniano, prole di Germano, da Arazio e Suartua già dichiarato dall’imperatore monarca degli Eruli; ma costretto quindi a partirne dalla ribellione dei tornati dall’isola Tule, come scrissi ne’ precedenti libri, riparò in Bisanzio, dove fu eletto a maestro de’ militi quivi a stanza. Intra que’ duci aveavi parimente Amalafrido di gottica schiatta, per donna nipote di Amalafrida sorella di Teuderico re de’ Gotti, e figlio di Ermenefrido re de’ Toringii. Costui mandato da Belisario in Bizanzio con Vitige fuvvi creato duce dei Romani, e sposò ad Auduino re de’ Langobardi una sorella. Ora di quell’esercito il solo Amalafrido colle sue truppe arrivò presso de’ confederati, rimasi gli altri tutti per comando imperiale ad Ulpiana, città dell’Illirico, per quietarvi un tumulto nato da religiose controversie de’ Cristiani, argomento propostomi di trattare in altri libri. L’esercito langobardo adunque con Amalafrido arrivato alle frontiere de’ Gepidi sconfigge in ostinatissima battaglia quanti contrastavangli il passo uccidendone, come suona la fama, pur molti. Re Auduino allora spedisce a Giustiniano alcuni de’ suoi col lieto annunzio della nemica strage e con forti lamentanze ad un tempo di non averne ricevuto, giusta gli accordi, aiuti di truppe, sebbene i Langobardi essersi recati colle proprie armi a soccorrere Narsete in campo contro a Totila ed a’ Gotti. Non altrimenti correvano quelle bisogne.
III. Ebbonvi di que’ tempi in Grecia funestissimi terremoti scuotendo sì la Beozia, l’Acaia e tutto il paese intorno al seno Criseo che atterraronvi otto città ed innumerevoli borgate. Infra le prime voglionsi ricordare Cheronia, Coronia, Patre e Naupatto, questa in ispecie compiutamente distrutta. Moltissime furono le umane vittime, ed il suolo scomparso in più e più luoghi passò altrove a far mostra di sè nelle sue prime forme. Hannovi ancora squarciamenti di terra incomodissimi ai trafficatori, obbligati a far lunghe giravolte per trasferirsi ne’ luoghi vicini. Ritrattosi a un’ora il mare in su quel de’ Tessali e Beoti largo si diffuse intorno alle città Echineo e beotica Scarfia, dove ristagnando abbattè incontanente ogni edificio. Tal poi ne allagò la regione che i terrazzani poteano pedestri visitare le isole del seno, le acque ingombrando, in modo superiore a qual tu vuoi pensamento, il suolo infino alle radici de’ circostanti poggi; restituitesi quindi nel proprio letto abbandonarono pe’ campi sì grande copia di pesci che maravigliatine gli spettatori aveanla un vero portento, e credutili idoneo cibo pigliavanne il bisogno loro; se non che approssimati alle fiamme li miravi tosto disciolti e convertiti in fetentissima sanie. Là dove poi la terra s’ebbe nome da quello squarciamento l’orribile terremoto fece d’uomini strage maggiore di quanta lamentava la rimanente Grecia, nel giorno stesso, perchè si fosse ben in colmo la sciagura, celebrandovisi una solennità cui erano accorse genti da tutta la regione; tali furono i destini della Grecia. I Crotoniati col militare presidio sotto il duce Palladio stretti da fierissimo gottico assedio ed in diffalta di vittuaglia inviarono ascosamente più e più volte nella Sicilia esponendo ai comandanti del romano esercito, ed in ispecie ad Artabano, che ove per poco e’ tardassero a soccorrerli, avrebbero dovuto sebbene a malincorpo rimettere sè stessi in uno colla città alla discrezione de’ Gotti; ma vane furono le istanze loro. In questa ebbe fine il verno e l’anno decimo settimo della presente guerra da Procopio scritta.