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LIBRO QUARTO 545

altri barbari singolarmente eranne amantissimi vedendosi con bontà senza pari da lui trattati.

III. Giunto a breve distanza da quel dei Veneti spedì ai duci de’ Franchi postivi a guardia chiedendo come truppe amiche il passo. Negativa fu la risposta, e passando compiutamente con silenzio vuoi per interessi proprj, vuoi l’amicizia che strignevali ai Gotti adducon altro ben meschino pretesto, di militare, intendomi, con Narsete i Langobardi loro capitali nemici. Il condottiero, uditone, da principio n’andò pensoso alquanto, quindi si fece ad interrogare gli Italiani a crocchio insieme, animandoli ad appalesargli i divisamenti loro sul partito da prendere, ed alcuni di essi protestavangli che sebbene i Franchi avessero consentito alla inchiesta mai più l’esercito per quella via sarebbesi trasferito a Ravenna senza incontrare gravissimi ostacoli di là da Verona, poichè Totila scelto il buono e il meglio dall’intero esercito avealo spedito sotto la capitananza di Teia, famosissimo Gotto, a guernire quelle mura tutta via in poter suo, commettendogli insieme di opporsi ostinatamente al proceder altre delle romane truppe, nè mentivan punto. Il duce poi non appena arrivatovi chiuse al nemico ogni via, e rendè con grande artifizio inaccessibili tutti gli approcciamenti del Po con accatastati alberi, con fosse, e scommettendone il suolo, o convertendolo in profonde maremme e limacciose voragini; quindi apprestossi colle sue truppe a combattere chiunque de’ Romani osasse inoltrare per que’ luoghi. Ma egli erasi determinato a questi provvedimenti nella persuasione che mai più il nemico marcerebbe radendo il

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