Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXIX
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXIX.
Totila, in aspettazione di Teia, udita la morte di Usdrila si dirige all’Appennino, dove raggiunto da Narsete ne riceve officiosi consigli. Inoltratosi poscia contro de’ Romani fa replicati, ma sempre vani tentativi di cacciarli da un poggio. — Bellissime imprese di Paolo e di Ausila.
I. Il romano esercito non procedeva altramente. Re Totila, saputo il sinistro de’ suoi nell’agro veneto, si rimase da principio in Roma per attendervi Teia colle truppe, ed appena arrivate, meno due mila cavalli ancora indietro, mosse coll’esercito voglioso d’incontrare opportunamente i nemici. Rifertogli quindi per istrada che, morto Usdrila, eglino eransi di posta fatti di qua da Arimini e portati, da banda a banda calcando la Tuscia, a piè dell’Appennino, pose il campo in vicinanza ad una borgata, che nomano i paesani Le Tagine, ed ivi si stette. Non guari dopo anche Narsete steccò sua oste presso a quel monte, nè più forse di cento stadj lunge dai Gotti, in una pianura a breve distanza seminata di tombe; dove appunto ab antico da Camillo condottiero delle romane legioni, come narra la fama, vennero sconfitte in battaglia ed uccise le truppe dei Galli, del che il nome stesso perinfino a dì nostri rimase al luogo, I busti de’ Galli, rende testimonianza, e conserva la memoria di quella strage, chiamandosi latinamente busti le reliquie del rogo, e quivi appunto surgono moltissime tombe erette con terra ammonticellata sopra le ceneri di que’ trapassati. Di là Narsete manda a Totila esortandolo a deporre le armi, ed a piegare una volta l’animo suo a pacifici pensieri, essendo che attorniato da poche e frettolosamente raccolte cerne e’ spererebbe invano di resistere assai tempo alle forze di tutto il romano impero. Fece pure a’ suoi legati comandamento che allo scorgere in lui eccessiva brama di guerra lo invitassero tosto a stabilire il giorno della pugna. Queglino venuti alla presenza del re eseguirono esattamente la mandata, e udendosi rispondere che i Romani dovean cimentare ad ogni modo la sorte d’una battaglia pronti soggiunsero: E bene, o valentissimo re, determina il quando; ed egli: dopo non più d’otto giorni saremo a combattervi. I messi fatto ritorno esposero a Narsete in quali termini stessero le cose, ma questi paventando insidie si apprestò nella dimane medesima a tenzonare, nè mal s’appose, imperciocchè in essa il re prevenendo la voce della sua venuta distese in ordinanza l’esercito. Gli uni e gli altri allora miraronsi di fronte, nè a maggior intervallo d’un due balestrate.
II. Una collina ivi posta in entrambi accese vivissima brama di sè, sembrando loro vantaggioso il potere offendere da alto a basso la contraria fazione. Di più, in quel suolo sparso di tombe, come ho detto, i Gotti ad investire da tergo il nemico doveano di necessità valersi d’un sentiero alle radici dell’altura, che se per lo contrario fossersi al possesso di lei molesterebbonlo da quinci e da quindi cogli archi, e fors’anche nel fervor della pugna verrebbero a circondarlo; i Romani poi chiaro veggenti le costoro mene voleano pur guarentirsene, occupandola. Narsete adunque di fitta notte vi spedì cinquanta scelti pedoni coll’ordine di stabilirvisi e difenderla valorosamente; questi giuntivi senza incontrar uom de’ nemici vi si tennero in quiete, aventi a basso e lungo il sentiero testè da me ricordato un torrente, sì uniti che toccavansi l’un l’altro, ed in ordinanza tanto quanto lo comportavano le angustie del luogo. Non appena l’aurora ebbe disvelato la faccenda il re adoperossi del suo meglio per iscacciarneli, ordinando a tal uopo ad una mano di cavalieri che li volgessero in fuga. Costoro con grande strepito ed alte grida si avanzano tutti speranza che al primo assalto forzerebbonli a ritirarsi; ma i Romani strette vie più le file e riparati dagli scudi stavansi pronti ad accogliere la turma che di galoppo ed alla rinfusa traeva a quella volta. Di più insiem percuotendo gli scudi e spesso ed acconciamente vibrando le aste fecero valorosissima resistenza spaventandone i cavalli col non interrotto fracasso ed i cavalieri colle punte delle aste rivolte lor contro. Gli animali addivenuti fieri per la malagevolezza del suolo e per l’inudito romore erano sul cedere nè aveanne, chiuso ogni passo, il mezzo, e quelli in arcione più non sapevano che si fare vedendosi impotenti a vincerne la pertinacia, e di fronte ad uomini cotanto ardimentosi e fermi. Disperati allora della riuscita rinculano per cimentarsi ad un secondo assalimento, e scontratavi la eguale opposizione danno altra fiata le spalle: in fine dopo ripetute pruove cessano di molestarli. Speditevi poscia replicatamente nuove truppe queste ebbero mai sempre a sperimentare l’egual fortuna, il perchè Totila invilito da cotanti vani tentativi rinunziò affatto alla difficile impresa. I cinquanta Romani poi furono proclamati valorosissimi, e più che tutti Paolo ed Ausila, i quali usciti dell’ordinanza illustraronsi con luminosissime prove d’intrepidezza. Imperciocchè messe a terra le impugnate aste e volti gli archi ai nemici avventanne sì accuratamente gli strali che menarono strage d’uomini e cavalli. Votati da ultimo i loro turcassi imbrandirono le spade, e fattosi co’ proprj scudi riparo sostennero, quantunque da soli, l’impeto de’ nemici1. Che se tale de’ cavalieri spronava lor contro per ferirli d’asta, di subito troncavanne la punta colle spade; or mentre respingono siffattamente i continui attacchi de’ barbari la spada di Paolo col lungo tagliar aste si ruppe, addivenendogli così del tutto inutile. Ma egli gittatala di subito in terra, ed abbrancando le armi nemiche strappale di forza agli assalitori; disarmatine di questo modo quattro, al valore di lui è mestieri ascrivere che i Gotti, perduta ogni speranza, desistessero dall’impresa: Narsete poi lo annoverò, in premio di tanto coraggio, tra gli scudati a guardia della sua persona.
Note
- ↑ Orazio sol contro Toscana tutta.