Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XVIII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XVIII.
Pronta guerra tra Gepidi e Longobardi spenta da panico timore. — Tregua di Torisino e Auduino loro capi. Cuturguri mandati dai Gepidi contro l’impero. Uturguri in armi, ad instigamento di Giustiniano, contro ai Cuturguri. Pugna tra essi.
I. Mentre le cose di colà non altrimenti avvicendavansi, i Gepidi appaciati, come ho detto negli antecedenti libri, co’ Longobardi loro nemici, trovando insuperabili difficoltà nel comporre affatto le insorte controversie risolverono passato breve tempo di ripigliare le armi. Dato così principio a nuova guerra muovono co’ loro eserciti, capitanati i primi da Torisino, da Auduino gli altri, ed entrambi aventi seco truppe a miriadi. Approssimatisi, ma non ancora di fronte, un panico timore, come suol dirsi, ne investe gli animi e costringeli a stolta fuga, rimanendo ben pochi fedeli ai duci, tutto che questi procurasserne la tornata vuoi con belle parole, vuoi con terribili minacce. Auduino smagato per così inesplicabile costernazione de’ suoi, nè sapendo avvenuto il simile ai nemici, manda tosto loro chiedendo pace. I legati accolti nel campo di Torisino duce dei Gepidi, e pur quivi osservato immenso vano ben compresero, fatti esperti dalle proprie vicende, in che mare navigassero eglino stessi; venuti quindi a colloquio col duce addimandangli ove abbia la sterminata moltitudine delle truppe condotte seco, e costui bonariamente risponde: «voltarono le spalle senza motivo al mondo.» I legati aggiungono: «L’egual sciagura incolse anche i Longobardi; ed a te veritiero nei tuoi racconti manifestiamo pur noi le occorrenze nostre. Il Nume adunque pietoso della vita di queste genti dispersele in sul combattere, incutendo loro un salutare spavento; il perchè dobbiamo senza più conformarci alla volontà di lui col troncare la guerra.» Torisino: «E bene ciò sia.» Di questo modo si passò a conchiudere una tregua di due anni, acciocchè entrambe le fazioni con reciproche ambascerie avessero mezzo di amichevolmente comporsi, e soscritti gli accordi gli inviati si fecero indietro.
II. Nel tempo della tregua le due parti, conoscendo vano ogni mezzo di accomodamento, apprestaronsi di nuovo alle armi; e siccome andava la fama che i Romani avrebbero porto aiuto ai Longobardi, temendone i Gepidi stabilirono di entrare in taglia con alcune genti degli Unni. Mandavano per tanto ambasceria ai capi de’ Cuturguri di qua dalla Palude Meotide pregandoli che volessero parteggiar seco nella guerra; e quelli di subito vi spediscono dodici mila armati sotto il duce Chinialo, per tacere degli altri, personaggio di sommo valore. I Gepidi, mal tolleranti la costoro precipitosa comparsa in epoca ben lontana dal combattere, avendovi tuttavia un anno allo spirare della convenuta tregua, li persuadono a scorrazzare nel volgere di esse le imperiali terre a confine, covertando in simigliente guisa il motivo della intempestiva loro venuta: di più sapevoli che nell’Illirico e nella Tracia i Romani vegliavano in tutto e per tutto il valico dell’Istro, eglino fattili passare il fiume per entro i limiti del proprio suolo appianarono tosto la via d’introdursi nell’impero. Questi barbari poi aveano quasi compiutamente guastate le imperiali frontiere quando Giustiniano deliberò spedire un’ambasceria di là dalla Palude ai capi degli Unni Uturguri forte rimproverandoli del iniquo loro poltrire ai tanti danni arrecatigli dai Cuturguri e del non porre in tra le pessime azioni il permettere che gli amici per tale negligenza soggiacciano a sì gravi molestie. Si commove a simile in invettive contro l’arroganza degli assalitori, i quali ed annoiano di continuo i prossimani, e sebbene abbiano da lui ogni anno molto danaro, non cessano dal contaminarsi empiamente di atti ostili contro ai Romani, scalpitandone e devastandone senza cagione al mondo le terre; da ultimo ricorda come e’ non ritraggano dai Cuturguri il minor profitto, non partecipando tampoco delle prede loro, e manchino di fede verso i danneggiati, avendovi antico e strettissimo legame di amicizia: con tali rimprocci e col rammemorare loro di quanti doni fossero stati da lui ricolmi per lo passato, col blandimento inoltre di qualche danaro giunse a persuaderli ch’e’ dovessero tosto combattere que’ barbari. Ora essi avendo pigliato seco due mila dei confinanti Gotti Tetrassiti valicarono il Tausi coll’esercito capitanato da Sandilo, uomo di grandissima prudenza e lungamente ammaestrato nella guerra; oltrepassato il fiume azzuffansi col nemico in gran numero mosso ad incontrarli, e la battaglia mercè di valorosissima resistenza durò assai tempo. Gli Uturguri alla fine volti in foga soggiacquero a gravissima strage, ed i ben pochi in vita ripararono dove meglio la fortuna dirizzolli; i vincitori allora colle mogli e colla prole de’ vinti ritrassersi nelle proprie stanze.