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LIBRO QUARTO 507


II. Nel tempo della tregua le due parti, conoscendo vano ogni mezzo di accomodamento, apprestaronsi di nuovo alle armi; e siccome andava la fama che i Romani avrebbero porto aiuto ai Longobardi, temendone i Gepidi stabilirono di entrare in taglia con alcune genti degli Unni. Mandavano per tanto ambasceria ai capi de’ Cuturguri di qua dalla Palude Meotide pregandoli che volessero parteggiar seco nella guerra; e quelli di subito vi spediscono dodici mila armati sotto il duce Chinialo, per tacere degli altri, personaggio di sommo valore. I Gepidi, mal tolleranti la costoro precipitosa comparsa in epoca ben lontana dal combattere, avendovi tuttavia un anno allo spirare della convenuta tregua, li persuadono a scorrazzare nel volgere di esse le imperiali terre a confine, covertando in simigliente guisa il motivo della intempestiva loro venuta: di più sapevoli che nell’Illirico e nella Tracia i Romani vegliavano in tutto e per tutto il valico dell’Istro, eglino fattili passare il fiume per entro i limiti del proprio suolo appianarono tosto la via d’introdursi nell’impero. Questi barbari poi aveano quasi compiutamente guastate le imperiali frontiere quando Giustiniano deliberò spedire un’ambasceria di là dalla Palude ai capi degli Unni Uturguri forte rimproverandoli del iniquo loro poltrire ai tanti danni arrecatigli dai Cuturguri e del non porre in tra le pessime azioni il permettere che gli amici per tale negligenza soggiacciano a sì gravi molestie. Si commove a simile in invettive contro l’arroganza degli assalitori, i quali ed annoiano di continuo i prossimani, e sebbene abbiano da lui ogni anno molto danaro, non