Istoria del Concilio tridentino/Libro ottavo/Capitolo VIII
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CAPITOLO VIII
(ottobre-10 novembre 1563).
[Dolorosa impressione a Roma pel discorso del Ferrier e lagnanze del Lorena. — Il papa deciso a finire rapidamente il concilio. — Gli ambasciatori francesi abbandonano Trento. — Rinvio della riforma dei principi ad altra sessione. — Contrastata azione del papa contro i vescovi francesi calvinisti e la regina di Navarra. — Si riparla del convegno dei sovrani cattolici. — In Trento s’inizia l’esame degli articoli sulle indulgenze, il purgatorio, il culto dei santi e delle immagini. — Nuove difficoltá degli spagnoli sugli articoli di riforma giá stabiliti. — Ancora della formula Proponentibus legatis. — Ritorno del Lorena e sua azione persuaditrice presso il conte di Luna. — Formulazione definitiva ed approvazione dei decreti. — Concorde proposito di affrettare la fine del concilio. Istruzioni del pontefice.]
Andato a Roma l’avviso della protesta dell’ambasciator francese, commosse maravigliosamente il pontefice e tutta la corte, quali credettero che studiosamente fosse fatta per trovar occasione di dissolver il concilio e imputarlo a loro. Ma sopra tutto si doleva il pontefice che, mentre il re li dimandava grazia e concessione delli cento mila scudi d’entrata del clero in Francia, li suoi ambasciatori in faccia di tutto il concilio dicessero che poteva pigliarli senza di lui. E maggior molestia diede al Cardinal di Lorena, il quale l’ebbe per un grande attraversamento alla negoziazione che trattava col pontefice. Si affaticò con grand’efficacia a mostrare che era accidente successo contra suo volere, il quale indubitatamente sarebbe stato divertito da lui, se si fosse trovato in Trento; che quella instruzione mandata agli ambasciatori era reliquia delli consegli presi vivendo ancora il re di Navarra, e l’esecuzione procurata dalli dependenti di quella fazione, tra’ quali il presidente Ferriero era uno; che quella fazione, quantonque professasse la religione cattolica in esterno, aveva però stretta intelligenzia con gli ugonotti, li quali vorrebbono qualche dissoluzione del concilio senza fine quieto, acciocché non si venisse ad anatematizzarli. Non però esser senza colpa ancora quelli che guidano li negozi in Trento, atteso che, inanzi la partita sua da quella cittá, le cose intorno quella materia erano accomodate in buon termine, avendo li legati promesso due cose, con che gli ambasciatori erano restati quieti: l’una, che non si sarebbe parlato delli re e principi supremi, ma solamente di certi signorotti, li quali non concedono a’ vescovi nessun esercizio della giurisdizione ecclesiastica; l’altra, che sarebbono eccettuate tutte le cose dependenti da grazie fatte dal papa, come indulti, privilegi e concessioni di quella santa sede: e con tutto ciò, dopo la sua partita, avevano dato alli padri la prima formula con le medesime cose che avevano promesso di levare. Certificava però che, tutto ciò non ostante, non sarebbe impedito il quieto fine del concilio, e promise che averebbe scritto al re, e dolutosi delle cose fatte, e procurato che li ambasciatori tornassero a Trento: il che sperava d’ottenere.
Scrisse pertanto, secondo questo appontamento, in Francia e agli ambasciatori. A questi, con dire che l’azione loro aveva questa scusa, che ella era fatta; pertanto che continuassero per l’avvenire a far il debito loro, e a non innovare cosa alcuna di piú. Al re scrisse che l’opposizione fatta dagli ambasciatori gli era parsa molto strana, e maggiormente che l’avessero fatta senza comunicar con lui; e non vi era né ragione né occasione di farla; che la sua assenzia da Trento era stata la causa di quel male, perché gli ambasciatori poco opportunamente avevano applicato un aspro rimedio ad un leggier male; che al suo ritorno al concilio egli averebbe provveduto con molta facilitá; ma che, non potendosi tornar indietro le cose fatte, pregava Sua Maestá a scriver agli ambasciatori di continuar a far il debito loro e astenersi dai consegli violenti. Soggionse di aver trovato il pontefice inclinato e ben disposto ad una santa e seria riforma della Chiesa; che la cristianitá è ben felice avendo un sí degno pastore, il qual rimandava lui a Trento cosí ben instrutto di tutte le sue sante intenzioni per metter fine e conclusione al concilio, in modo che si poteva sperare un felice successo. E perché nel fine del concilio li decreti doveranno esser sottoscritti dalli padri e dalli ambasciatori che hanno prestato l’assistenzia per nome dei suoi principi, pregava Sua Maestá a far ritornar gli ambasciatori, acciò fossero presenti e complissero a quello che era il complemento di tutti li favori fatti e protezione tenuta di quel concilio dalla Maestá sua, dal fratello, dal padre e dall’avo.
Ebbe il Cardinal a defendersi non solo col pontefice, ma anco col collegio de’ cardinali in consistoro, li quali dicevano che li principi volevano la libertá del concilio, non però in cosa alcuna, benché minima e giustissima, qual a loro toccasse, ma solo a destruzione degli ecclesiastici. Il pontefice ordinò che fosse pensato meglio quello che si dovesse scriver a Trento in materia di quella riforma, dicendo che non lo faceva per metter mano nelle cose del concilio, perché voleva lasciar far alli padri, ma solo ad instruzione delli legati per via di conseglio. Ma fra tanto rispose alli legati che se li francesi volevano partire, partissero, ma che essi non gliene dassero occasione, e attendessero sollecitamente a far la sessione al tempo deliberato, nel quale Lorena sarebbe stato di ritorno; e a finir il concilio con un’altra sessione, facendola in termine di due o tre settimane, tenendo però secreto quest’ordine e non comunicandolo se non a Lorena; e se dalli cesarei li fosse parlato, respondessero che, gionto quel cardinale, averebbono risoluto che fare. E li fece animo, avvisandoli che aveva condotto la Germania e la Francia al suo disegno; e non vi restava se non Spagna, il qual aveva risposto non esser bene finirlo, poiché restavano molte cose, e le piú principali, a trattare; con tutto ciò aveva anco speranza di ridurlo e mettervi fine con sodisfazione comune. E veramente di Francia e Germania era sicuro, imperocché, oltra la trattazione avuta sopra questo con Lorena che rassicurava abbondantemente di Francia, in questi medesimi tempi anco aveva avuto resoluzione dall’imperatore che si contentava e averebbe coadiuvato al fine. E se ben il noncio avvisava che quella Maestá era stata dubbiosa a risolversi, e che vi era pericolo che non si mutasse, nondimeno, intendendo che il re de’ romani era stato autore di farlo deliberare, dicendo che era ben finirlo, perché non faceva né vi restava punto di speranza che facesse alcun buon frutto, restava certo che quel re, da se stesso e da buona ragion mosso, averebbe perseverato in proposito, e per consequenza mantenuto il padre in opinione.
Ma in Trento li ambasciatori francesi, dopo l’orazione, non comparvero piú in pubblico. Fecero intender a quei pochi prelati che restavano l’intenzione del re essere che si opponessero al quinto capo e al secondo, in quanto le persone e cause di Francia per virtú di quelli potessero esser tirate a litigar fuori del regno; e al decimonono, in quanto le prevenzioni venivano canonizzate e privati li parlamenti delle loro prerogative nelle cose beneficiali.
Li legati, finito che fu di dire il parer di tutti sopra li ventuno capitoli, proposero di parlar sopra gli altri; a che tutti gli ambasciatori s’opposero per il capo dei principi. Si dolevano li padri che trattandosi di reformar, come sempre s’era detto, tutta la Chiesa nel capo e nei membri, in fine li principi non volessero alcuna riforma se non per l’ordine clericale, il qual anco non poteva esser reformato, se li prelati erano impediti nel far li carichi loro e se non era conservata la libertá ecclesiastica; e pur tuttavia li principi, che mostravano desiderar riforma, si opponevano a quel decreto che restituiva loro la libertá e la giurisdizione necessaria per riformare. Li legati si scusavano che non potevano mancar di dar qualche sodisfazione al li prelati; che li ambasciatori avevano avuto tempo di allegar li loro gravami e di trattar la causa con ragione, ma che era troppo violenzia l’opponersi solamente de facto e mostrar che il concilio sia solamente per l’ordine ecclesiastico e non per riforma di tutta la Chiesa.
In quei medesimi giorni arrivò nova che l’imperator era gravemente ammalato; e li ambasciatori cesarei avvertirono che, se fosse morto, il concilio non sarebbe stato sicuro, perché il salvacondotto sarebbe finito: di che li legati spedirono in diligenzia al papa, dimandando ordine di quello che dovessero fare; e per quello anco li prelati si disposero al pensar piú al partir di Trento che al reformar li principi. Per il che il di 7 ottobre fu tenuta una congregazione per risolver quello che si dovesse fare delli altri capi di riforma oltra li ventuno, e massime di quello toccante li principi. Nella quale, dopo longa discussione, fu concluso che si celebrasse la sessione con la materia del matrimonio e con li ventuno capi di riforma, e si differisse quella dei principi. E il dí seguente gli ambasciatori francesi partirono da Trento per Venezia, secondo l’ordine ricevuto dal re.
Il pontefice, se ben sodisfatto del Cardinal di Lorena e delli francesi dependenti da lui, nondimeno, irritato contra quella fazione di onde teneva che fosse venuto il motivo della protesta fatta in concilio, ripigliò la deliberazione fatta sino al tempo dell’editto di pacificazione con gli ugonotti, che a Trento si procedesse contra la regina di Navarra (la qual aveva tralasciato, prevedendo che dalli ambasciatori cesarei sarebbe fatto opposizione, come fecero quando si trattava di proceder contra la regina d’Inghilterra), e risolvè di dar esecuzione al suo pensiero in Roma. E a’ 13 del mese fece pubblicar la sentenzia contra li cinque vescovi francesi giá citati, come s’è detto, e fece affiggere alle porte di San Pietro e in altri luochi pubblici una citazione contra Giovanna regina di Navarra, relitta di Antonio, che in termine di sei mesi dovesse comparir a defendersi e render le ragioni, perché non dovesse esser dechiarata privata di tutte le dignitá, stati e domini, e nullo il matrimonio contratto tra il giá Antonio di Vandomo e lei, e la prole illegittima, e incorsa in altre pene dechiarate dalli canoni contra gli eretici. Il Cardinal di Lorena, inanzi che il papa venisse a quelle sentenzie e processo, fece con lui uffici, raccordando che le massime tenute in Francia erano molto differenti da quelle di Roma, per il che in quel regno sarebbe stato sentito male che fossero giudicate cause de vescovi in prima instanza, e che la citazione contra la regina, cosí per la medesima causa, come perché era con pene temporali, averebbe dato che dire e mala sodisfazione a molti. Ma quelli uffici, essendo intesi dal papa sí come erano fatti, non partorirono altro frutto, se non quello che il medesimo cardinale in suo secreto desiderava.
Nel negozio dell’abboccamento, tanto desiderato dalla regina che con ogni corriero ne faceva novo ufficio appresso il pontefice, quantonque fosse venuto avviso dalla corte imperiale che Cesare non voleva darci orecchie; e di Spagna, se ben parole molto compite di desiderio che il re aveva di effettuarlo, nondimeno con risoluzione che li tempi e le congionture non lo comportavano; fu però di parere il cardinale che, quantonque non vi fosse alcuna speranza, il papa nondimeno non dovesse restar di mandarci li nonci espressi destinati per questo, come ufficio dal qual avessero a depender molte altre negoziazioni in servizio della sede apostolica; e in particolare per levar li impedimenti alla conclusione del concilio, se alcuni fossero nati. Onde furono espediti il Visconti in Spagna e il Santa Croce in Germania, in apparenzia con carico di trattar l’abboccamento, in esistenza con altre instruzioni particolari.
In Trento, aspettando il tempo della sessione, e tra tanto non volendo dar occasione ad alcuna difficoltá, li legati proposero da trattar delle indulgenzie, purgatorio, venerazione de’ santi e immagini, ma per pubblicarne li decreti non nella sessione immediata, ma nell’altra susseguente, aggiongendo il modo che si doveva tenere dalli teologi nell’esaminar quelle materie, cioè che dassero il loro parere in scritto sopra l’uso solamente di quelle, non si estendendo a parlar sopra gli altri capi; e con ordine alli padri di dover dir il voto loro brevemente sopra l’istesso, con protestazione che sarebbe stato interrotto qualonque avesse voluto allongarsi fuori della proposta. Con tutto ciò dai teologi furono fatte scritture longhissime, e tanto varie tra loro, che li padri non sapevano risolversi che dire in quella dottrina.
Della materia della riforma, se bene li venti capi erano conclusi e del ventuno si trattava col conte di Luna, li prelati spagnoli fecero indoglienza che il capo dell’esenzione dei capitoli e l’ultimo delle prime instanzie e appellazioni fossero stati alterati da quello che li prelati avevano notato; di che sdegnati li legati e li deputati sopra li decreti, risposero che o giustificassero quello che dicevano o tacessero. Ed essendo passate qualche parole di disgusto, il conte di Luna comparve in loro favore, dimandando che fossero messe in considerazione le opposizioni che a quei dui capi facevano li suoi prelati. Ricercò appresso che nel quinto capo, dove erano riservate al papa le cause criminali de’ vescovi, fosse fatta dechiarazione che non si facesse pregiudicio all’inquisizione di Spagna; la qual richiesta aveva fatto prima l’ambasciator di Portogallo per il suo regno. E rispondendo li legati quelle materie esser giá decise, replicò il conte che, se si proponeranno in quel modo, egli non anderá in sessione, né lascerá intervenirvi alcuno delli suoi prelati: a che disse il Cardinal Morone che, se non andaranno in sessione, si fará senza di loro. Il conte, ascrivendo quella durezza che pareva aver trovato nelli legati ad uffici fatti dal procurator delli capitoli di Spagna, li comandò che si partisse immediate da Trento; il che alli legati dispiacque. E tuttavia, acciò nessun impedimento fosse al far la sessione, il cui tempo era prossimo, per compiacere l’ambasciatore, nel capo delle cause de’ vescovi fecero eccettuar li regni dove era inquisizione. Quanto a quello delle prime instanzie, perché volevano levar totalmente l’autoritá al pontefice di poterne commetter a Roma, pareva cosa troppo ardua alli legati. Il sesto ancora molto importava, perché li capitoli di Spagna sono un membro molto principale, e piú dependenti dalla sede apostolica che li vescovi: perché questi sono tutti a nominazione del re, ma delli canonicati piú della metá sono di pura collazione del papa. Però risolverono, piú tosto che fare pregiudicio alli canonici, differir quel capo alla seguente sessione, e adoperarono li ambasciatori cesarei a fare che di tanto il conte si contentasse. E cosí anco quella difficoltá fu sopita.
Restava la dechiarazione del Proponentibus legatis: alla quale non trovando temperamento, dissero al conte che esso dovesse proponer una formula come desiderava che si facesse. Da che scusandosi egli, deputarono tre canonisti a trattar con lui e trovar modo che li piacesse, purché non fosse con alterazione del modo dato dal papa. Ma opportunamente in quell’occasione era arrivato il Cardinal di Lorena, il qual essendo partito da Roma con instruzione e conclusione di tutte le cose, e passato da Venezia per trattar con li ambasciatori che ritornassero inanzi il fine del concilio, gionto a Trento, con la sua destrezza fece ricever al conte con sodisfazione quel modo. Con che fu posto fine a questa tanto agitata difficoltá con sodisfazione di tutti; e fu posto per ventun capo della riforma; il qual fu proposto in congregazione tenuta il di 9 novembre a questo effetto, e approvato con poca repugnanzia. Dopo che, fu levato il sesto; onde, stabilito questo, furono reietti tutti li capi e detti brevemente li voti. Nei quali il Cardinal di Lorena, per salvar l’onor suo, disse che, quantonque desiderasse maggior riforma, nondimeno, sapendo che non si può nel principio venir alli estremi rimedi, assentiva alli decreti, non giudicandoli bastanti, ma sperando che il pontefice, o con rimetter in uso li vecchi canoni, o con celebrar altri concili generali, li darebbe compimento. Ed è cosa degna di memoria che in quella congregazione fece una longa digressione in forma di encomio della buona volontá del papa, del desiderio di veder la Chiesa riformata e il grado episcopale restituito alla sua antica dignitá, e il concilio finito con frutto di tutta la cristianitá. L’arcivescovo di Granata, quando toccò a lui a parlare, esso ancora passò nelle laudi del papa, e li attribuí altrettanta buona volontá, quanto il cardinale aveva fatto; ma soggionse che o veramente il papa giudica di non poter ordinare come sente, o vero non ha autoritá di far che li suoi ministri e dependenti esequiscano.
Qui mi convien far una gran mutazione di stile; e dove nelle narrazioni passate ho sempre usato quello che è proprio per descrivere varietá d’animi e di pareri, attraversamenti alli disegni l’uno dell’altro e dilazioni interposte alle resoluzioni, fermandomi per esplicare li consegli de diversi, spesso tra loro repugnanti; da qui inanzi ho da narrare una mira unica e concordi operazioni, le quali pareranno volare piú tosto che correre ad un sol fine. Delle quali una sol causa ho da rendere, per non replicarla in tutti li luochi, cioè la concorde risoluzione a precipitar il fine concilio.
Per il che, semplicemente narrando, mi resta dire che vennero alli legati lettere del pontefice, con risoluzione che il concilio si finisse, quantonque il re di Spagna ne ricevesse disgusto, perché egli aveva maniera d’accomodarsi con lui; che stabilissero il decreto del clandestino con maggior unione che fosse possibile, non restando però di farlo, quantonque continuasse la medesima opposizione; che quanto alla riforma dei principi e restituzione della giurisdizione e libertá ecclesiastica non si descendesse ad alcun particolare; solo si renovassero li canoni antichi, e senza anatemi. E se sopra altri articoli nascesse difficoltá, si riservassero a lui, che averebbe provvisto; rimettendosi a quel di piú che li averebbe detto il Cardinal di Lorena, informatissimo d’ogni sua volontá, al quale dovessero credere. Li mandò appresso un formulario di finir il concilio, il qual conteneva che dovessero esser confirmate tutte le cose fatte sotto Paulo e Giulio, e dechiarato che fossero tutte in un concilio con quello, e che in tutto sia salva l’autoritá della sede apostolica; che di ogni cosa decretata fosse dimandata la conferma al pontefice; che sottoscrivessero tutti li padri, e dopo quelli, ad esempio delli antichi imperatori, vi fosse la sottoscrizione degli ambasciatori, acciocché li principi fossero ubbligati all’osservanza dei decreti e a perseguitar con le arme quelli di contraria religione; lasciando però in potestá di essi legati che insieme con Lorena aggiongessero, sminuissero e alterassero secondo l’opportunitá. Le qual cose tutte furono tenute secretissime sin dopo la sessione, per maneggiarle, come si dirá.